Tocqueville, tra il 1831 e il 1832, compì il viaggio che gli permise di scrivere la sua opera più conosciuta, La democrazia in America. Il concetto fondamentale che fa da sfondo a questo libro è l’avvento della grande rivoluzione democratica. Democrazia tuttavia in Tocqueville non è solamente una forma di governo, bensì un processo sociale capace di spazzare via la divisione cetuale della società e portare ad una tendenziale uguaglianza delle condizioni. Egli non è preoccupato tanto per tale rivoluzione, quanto piuttosto per ciò che essa potrebbe diventare. È preoccupato, cioè, di ciò che egli definisce dispotismo della democrazia (o tirannide della maggioranza). Secondo l’autore, quest’ultima è addirittura peggiore del dispotismo stesso. Nel dispotismo infatti chi esercita il potere ti dice ciò che puoi fare e ciò che non puoi fare e, se fai qualcosa di vietato, vieni punito. Nel dispotismo della democrazia, invece, nessuno ti vieterà di fare qualcosa. Questo perché tale tipo di dispotismo ti colpisce nell’anima. Ti priva cioè di pensare, di ragionare e di farti creare opinioni che siano in contrasto con quelle della maggioranza. Esso è un potere tutelare che permea l’intera società. Si occupa di ogni aspetto della vita dell’individuo. Detto ciò, io mi chiedo se le paure di Tocqueville riguardo la democrazia si siano avverate. In Italia, come in altri paesi, si avverte, senza dubbio, una tendenza del potere politico a controllare l’informazione. Tale controllo dell’informazione, sia diretto che indiretto da parte della politica, è infatti cruciale per l’indottrinamento e per creare opinioni condivise dalla maggioranza delle persone. Dunque credo che si possa dire che Tocqueville, con 150 anni di anticipo, abbia anticipato alcune tendenze proprie della democrazia