Nel corso di una verifica fiscale, il consulente fiscale (es. avvocato, commercialista, consulente del lavoro) può detenere anche fascicoli del cliente, nonché altra documentazione contabile ed extracontabile conservata nello studio. Per tale motivo, l’ordinamento giuridico contiene particolari tutele a garanzia della privacy del cliente. Nel presente intervento, saranno quindi tracciati i profili sostanziali relativi alle disposizioni che regolano l’accesso dei verificatori nei locali aziendali, nonché esaminati i casi in cui il professionista può eccepire il segreto professionale.
La verifica fiscale è uno strumento di analisi contabile ed extracontabile finalizzata a prevenire, ricercare e reprimere l’evasione fiscale e quantificare, allo stesso tempo, la reale capacità contributiva del soggetto economico sottoposto a controllo.
Il Comando Generale della Guardia di Finanza, nella circolare 1/98, definisce la verifica fiscale come “una indagine di polizia amministrativa finalizzata a: prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie; qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto”.
La verifica fiscale può essere eseguita nei confronti di qualunque persona fisica (compreso i professionisti), giuridica, società di persone o ente, che abbia effettuato un’attività in relazione alla quale le norme tributarie o finanziarie pongono obblighi o divieti, la cui inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale.
Gli accessi, le ispezioni e le verifiche costituiscono le c.d. “attività di indagine/ispettive”, mediante le quali si articola la verifica fiscale eseguita nei confronti del contribuente. In merito, i poteri del fisco che legittimano i controlli tributari, sono contenuti nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (accertamento delle imposte sui redditi) e nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. La Guardia di Finanza, ai sensi degli art. 33, comma 3, del D.P.R. 600/1973 e 63 del D.P.R. n. 633/1972, coopera con gli uffici delle imposte e dell’I.V.A. per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici stessi.
Prima di avviare un qualunque controllo fiscale a carico del contribuente da ispezionare, è necessario predisporre un’articolata attività finalizzata a raccogliere tutta una serie di elementi informativi relativi al soggetto economico da verificare.
La fase preparatoria del controllo fiscale consiste nell’analisi del bilancio, effettuata preventivamente con il precipuo scopo di ricostruire analiticamente la posizione reddituale, economica e patrimoniale dell’impresa, la presenza di operazioni straordinarie (es. trasformazioni, fusioni, scissioni), il possesso di partecipazioni in imprese estere, la struttura del Gruppo, nonché individuare altri elementi informativi ricavabili dalla nota integrativa e della relazione sulla gestione.
Interrogazioni banche dati in uso all’amministrazione finanziaria (es. camera di commercio, anagrafe tributaria, pubblico registro automobilistico, archivio Enel etc.), individuazione della sede legale e amministrativa, eventuale presenza di unità locali, il numero di dipendenti, l’importo del volume d’affari e del reddito imponibile.
Esame di tutti gli atti, documenti ed informazioni già in possesso dell’ufficio finanziario (es. presenza di esposti e di precedenti fiscali a carico del contribuente, nonché di ulteriori elementi informativi desumibili dalle c.d. fonti aperte).
Terminata la fase della preparazione, con l’accesso ha formalmente inizio la verifica fiscale. A questo punto i verificatori, muniti di regolare tessera personale di riconoscimento e dell’ordine di accesso, si
presenteranno presso i locali ove il contribuente svolte la propria attività, per avviare il controllo fiscale.
L’accesso si concretizza nel potere riconosciuto ai militari della Guardia di Finanza ed ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, dall’art. 52, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, richiamato dall’art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600/73, nonché dall’art. 35 della Legge n. 4/29, e consiste nel potere di entrare in un determinato luogo ove il contribuente esercita un’attività commerciale, agricola, artistica o professionale, anche senza il consenso del soggetto che ne ha la disponibilità, al fine di eseguirvi un controllo fiscale.
Con l’introduzione dello Statuto dei diritti del Contribuente, il presupposto generale legittimante il potere di accesso presso i locali destinati all’esercizio di attività di impresa, agricola o di lavoro autonomo, è attualmente subordinato alla sussistenza di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo.
Ad esempio, possono giustificare l’accesso presso la sede della società le seguenti effettive esigenze di indagine. Nella fattispecie, l’effettuazione dell’inventario «fisico» della merce presente presso i magazzini aziendali; identificazione del personale dipendente, che si trova al momento dell’accesso all’interno dei locali dell’impresa, al fine di individuare eventuali lavoratori in «nero»; rilevazione della consistenza di cassa; acquisizione di documentazione extra – contabile utile al controllo fiscale, reperita in esito alle ricerche effettuate presso i locali aziendali (uffici, magazzini, automezzi ecc.), avvalendosi delle facoltà previste dall’art. 52 del D.P.R. n.633/1972 e 33 del D.P.R. n.600/1973.
I controlli devono svolgersi, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente.
Anzitutto preme evidenziare che l’accesso presso i locali destinati all’esercizio di attività professionali, deve necessariamente essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
Ad esempio, si analizza, di seguito, il caso di un accesso effettuato presso un professionista iscritto all’albo professionale (es. un medico, un architetto, un commercialista, un avvocato), qualora non venga constatata la presenza del titolare dello studio, in quanto fuori sede per motivi professionali o personali.
In tale circostanza, i verificatori prima si presenteranno al soggetto presente presso i locali dello studio professionale e, successivamente, chiederanno allo stesso di contattare tempestivamente il titolare dello studio al fine di ottenere, nel più breve tempo possibile, il rilascio di una delega, possibilmente da inviare via fax, ovvero tramite posta elettronica.
In merito, il Comando Generale della Guardia di Finanza, nella circolare 1/2008, volume I, parte II – poteri ispettivi in materia fiscale – capitolo 3, pagina n. 86, nel caso di accesso effettuato presso i locali destinati all’esercizio di attività professionali prescrive che, in caso di assenza del titolare dello studio professionale, i verificatori devono, di norma chiedere al soggetto presente presso lo studio di contattare tempestivamente il titolare e farsi rilasciare, ove necessario, la delega prevista, possibilmente via fax o via posta elettronica; in caso di irreperibilità del titolare, adottare ogni opportuna cautela per impedire che, durante l’attesa, possano essere perpetrati tentativi di distruzione od occultamento della documentazione utile ai fini della verifica; a tale scopo, ove l’assenza si protragga oltre il normale orario di lavoro, deve essere assicurata la continuità dell’azione amministrativa fino al momento in cui sarà possibile l’accesso, anche disponendo l’effettuazione di apposita sorveglianza esterna; evitare in ogni caso, una volta manifestate a terzi le qualifiche dei verificatori e le finalità dell’intervento, di rinviare ad altro momento l’intervento stesso.
Il contenuto della delega non può peraltro ridursi ad una mera rappresentanza formale in atti, ma deve consistere in una vera e propria attribuzione sostitutiva della presenza del titolare per assistere alle operazioni di accesso; solo un atto avente tali caratteristiche abilita, infatti, il delegato anche all’eventuale opposizione del segreto professionale, per le ipotesi previste dall’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633/72. L’articolo 52, comma 3, del D.P.R. n. 633/72, richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità Giudiziaria più vicina anche per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale, fermo restando quanto disposto dall’art. 103 c.p.p. Il segreto professionale gode di una particolare tutela prevista nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 200, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, in base al quale non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’Autorità giudiziaria, i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici ed i notai, i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria, gli esercenti altri uffici e professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
Qualora nel corso delle operazioni di accesso venga opposto il segreto professionale, i verificatori devono al più presto contattare il Procuratore della Repubblica competente per territorio, al quale dovranno essere rappresentati tutti i necessari elementi di valutazione, nonché i motivi che rendono necessario, ai fini fiscali, l’acquisizione della documentazione per la quale è stato opposto il segreto professionale (es. i funzionari del fisco ritengono che i documenti acquisiti siano di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione del volume d’affari e del reddito del soggetto ispezionato).
In merito, in attesa delle determinazioni assunte dal magistrato all’uopo interessato, i verificatori dovranno cautelare la documentazione oggetto di segreto in modo tale da assicurarne l’integrità della stessa, fino a quando non sarà eventualmente ottenuta l’autorizzazione all’esame, riportando analiticamente le operazioni compiute nel processo verbale di verifica.
La Suprema Corte di cassazione ha confermato che i documenti e le notizie sui quali è stato eccepito il segreto professionale devono avere un contenuto relativo all’interesse del diritto alla difesa. La protezione del segreto professionale, svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attività inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista. Qualora il professionista opponga il segreto, questo potrà essere superato con l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria cui dovrà essere inoltrata tempestiva e formale richiesta scritta. Tuttavia, i documenti che esulano da un rapporto di stretta inerenza professionale, andranno considerati come atti rispetto ai quali il professionista assume la veste di mero depositario. Non opera quindi per essi il vincolo di cui all’art. 103 c.p.p., ma, in relazione al contenuto dei medesimi, rimane la facoltà del professionista di eccepire il segreto professionale, peraltro superabile attraverso il rilascio, da parte dell’Autorità Giudiziaria, di apposita autorizzazione.
Il Comando Generale della Guardia di Finanza (circolare 1/2018, volume II, parte III – esecuzione delle verifiche e dei controlli – capitolo 2, pagina n. 25) ha chiarito che, sul piano operativo in caso di opposizione, anche verbale, del segreto professionale da parte del contribuente in relazione a specifici atti e documenti diversi da quelli previsti dalle disposizioni tributarie e connotati da una valenza eminentemente fiscale, gli operanti desisteranno, in ogni caso, dalla consultazione e dall’acquisizione, anche in copia, del documento per il quale è eccepito il segreto; effettueranno, nell’immediatezza dei fatti, ogni possibile accertamento per valutare se l’eccezione avanzata dal contribuente è fondata e legittima, assumendo ogni utile informazione da quest’ultimo o dalle altre
persone in grado di riferire su circostanze utili, dandone atto nel processo verbale di verifica ovvero nei processi verbali di operazioni compiute, nonché nei processi verbali di acquisizione di informazioni sottoscritti dai soggetti sentiti; assumeranno tempestivi contatti con l’Autorità Giudiziaria territorialmente competente per ottenere, ricorrendone i presupposti, l’autorizzazione a procedere all’acquisizione e al successivo esame dei documenti, ai sensi dell’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, avendo cura di informarla sull’esito degli accertamenti già esperiti; adotteranno, ove ricorra la concreta possibilità che le informazioni ritenute segrete possano essere irrimediabilmente disperse nelle more del pronunciamento dell’Autorità Giudiziaria, ogni misura necessaria ad assicurarne l’integrità e la conservazione, provvedendo, se del caso, a cautelare il documento cartaceo o il dispositivo digitale in cui risiede il documento informatico.
L’acquisizione della documentazione extracontabile detenuta presso uno studio professionale comporta indubbi profili di delicatezza, in quanto molto spesso il soggetto detiene dati e notizie dei clienti. Il segreto professionale gode, come illustrato, di una particolare tutela prevista nel nostro ordinamento giuridico per il c.d. “fascicolo difensivo” come sancito dall’art. 200, commi 1 e 2, del codice di procedura penale.
Per espressa disposizione normativa non possono infatti essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’Autorità giudiziaria, i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici ed i notai, i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria, gli esercenti altri uffici e professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
Ai fini fiscali, sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale di riferimento, i documenti e le notizie sui quali è stato eccepito il segreto professionale devono avere un contenuto relativo all’interesse del diritto alla difesa.
Infatti, la protezione del segreto professionale svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attività inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista.