C’è chi scrive contro la mafia e chi lo fa contro le associazioni antimafia, senza che tutto questo, appaia come un controsenso. Ogni tanto qualcuno si sveglia e tenta di diventare paladino della legalità. Allora sceglie il nome di una o più vittime dello stato, uno a caso, magari Luigi Falcone o Paolo Borsellino (i più gettonati). In alternativa può usare le parole mafia o legalità. Poi crea un’associazione che deve avere un atto costitutivo ed uno statuto e il gioco è fatto. Vanno bene anche le fondazioni o altri enti similari. L’importante è iscriversi all’albo dei comuni e, ad oggi,sono più di duemila ad averlo già fatto. Sicuramente molti di coloro che iniziano sono pieni delle migliori intenzioni, ma come spesso avviene anche in politica, “l’appetito vien mangiando” e visto che al banchetto dell’elargizione dei soldi pubblici, in questo settore, sono seduti in tanti, è facile aggiungere qualche posto a tavola. Il fenomeno, nato negli anni ottanta con Libera ((l’unica iscritta nel registro nazionale del ministero del Lavoro per le attività di promozione sociale), si è esteso a macchia d’olio tra onlus che accedono al cinque per mille e tanti comitati ed enti di promozione sociale che si spartiscono centinaia di migliaia di euro messi a disposizione dallo stato per organizzare manifestazioni contro la malavita, convegni e incontri. Così, a fronte di pochi che, in maniera organizzata, il fenomeno mafioso tentano di combatterlo seriamente e non solo sventolando bandierine in piazza, ce ne sono tanti altri che hanno intrapreso tra loro una vera e propria guerra, per accaparrarsi il finanziamento pubblico. Progetti per le scuole, cortei di piazza e attività varie portati avanti da novelli e improvvisati combattenti e costati svariate centinaia di migliaia di euro, mentre le vere vittime delle mafie si rivoltano nella tomba. Un programma operativo nazionale (pon) che continua ad elargire fondi per la legalità che spesso finiscono addirittura nella costruzione di campi di calcetto, la cui utilità in questo tipo di battaglia, lascia quantomeno perplessi. Per non parlare del fondo per le vittime della mafia, al quale tutti cercano di attingere. Qualora non si riuscisse ad adire questi canali, ci si potrà sempre costituire parte civile, puntando ad enormi risarcimenti: molte aggregazioni lo fanno per mestiere, saltellando di processo in processo su tutto il territorio nazionale. A pagare, si sa, non è quasi mai l’imputato, per mancanza di conti in banca e di proprietà immobiliari, ma lo stato. A pagare, dunque, siamo noi.
A conti fatti, siamo davvero certi che la l’antimafia, ad un certo punto, non si sia mescolata, in qualche modo, con la sua antagonista? La preoccupazione maggiore potrebbe non essere più il reclutamento di uomini da parte della criminalità organizzata, ma la consapevolezza da parte dei cittadini che essere onesti non serva più a nulla.