LA QUALITÀ DELLA VITA NEL LAVORO

Lo stress e il mobbing sono termini che sentiamo sempre più spesso nominare nella quotidianità. Ma quando stress e mobbing sono riconosciute come malattie professionali?

Le radici del sistema di protezione della salute del lavoratore hanno origine dalla Costituzione, che all’art. 32 riporta: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La Corte costituzionale ha infatti più volte sottolineato che il bene della salute umana rappresenta, in forza dell’articolo 32 Cost., quel diritto primario e fondamentale che –per tali premesse – impone piena ed esaustiva tutela (Corte Cost. 27.10.1988, n.992; 31.07.1990, n.396). Inoltre, l’art. 2087 del Codice civile sancisce il diritto all’integrità psico-fisica del lavoratore e l’obbligo a carico del datore di lavoro di utilizzare tutti i mezzi idonei ai fini di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore. Pertanto, il datore di lavoro ha l’obbligo di osservanza della normativa antinfortunistica, compresa quella relativa all’organizzazione del lavoro finalizzata a rendere l’ambiente lavorativo esente da tutti i possibili rischi, compresi i rischi c.d. psicosociali. Tali rischi sono stati oggetto di previsione anche dal D.lgs 81/2008, Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che ha individuato lo stress lavoro-correlato come uno dei rischi che devono essere oggetto di valutazione.

Secondo una definizione fornita dal National Institute for Occupational Safety and Health “lo stress dovuto al lavoro può essere definito come un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore. Lo stress connesso al lavoro può influire negativamente sulle condizioni di salute e provocare persino infortuni”.

Il termine Mobbing è stato adottato da H. Leymann per definire particolari situazioni di conflitto nell’ambiente di lavoro: la grave e perdurante distorsione delle relazioni interpersonali che si verifica in questi casi è fonte di intense sofferenze psichiche e spesso di alterazioni permanenti dell’umore o della personalità.

Ma quando stress e mobbing sono riconosciute come malattie professionali? Prima della “storica” sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale venivano considerate tutelabili

soltanto le malattie elencate nelle tabelle di cui agli allegati 4 e 5 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che in nessuna voce prevedevano lo stress quale causa di malattia tutelabile; dunque lo stress veniva considerato solo come causa violenta e, quindi, come causa di infortunio sul lavoro. La sentenza n. 179/1988 ha introdotto il c.d. “sistema misto” che prevede sia la esistenza delle tabelle con le favorevoli presunzioni di legge sia la possibilità per il lavoratore di dimostrare, con mezzi di prova ordinari, l’origine professionale di malattie non tabellate oppure provocate da lavorazioni non previste nelle tabelle o, infine, manifestarsi oltre il periodo massimo di indennizzabilità stabilito dalle tabelle stesse. Il principio sopra indicato formulato dalla Corte costituzionale è stato poi confermato nell’articolo 10, comma 4, del D. Lgs. n. 38/2000, laddove è prevista la possibilità di considerare “…malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”.

Con l’emanazione della circolare. 71/2003, l’obiettivo dell’INAIL è quello di fornire linee guida per le indagini in caso di denuncia di malattie non tabellate che l’assicurato ritiene causate da stress lavorativo, tenendo conto dell’evoluzione delle forme organizzative e delle crescenti problematiche sui problemi di salute e sicurezza sul lavoro. Si è ritenuto, pertanto, che il rischio tecnopatico assicurativamente rilevante sia non solo quello collegato alla nocività delle lavorazioni tabellate e non, ma anche quello riconducibile a particolari condizioni dell’attività e dell’organizzazione aziendale, anche se attualmente non esiste uno specifico riferimento normativo di carattere preventivo.

Oggetto della circolare è la tutela di quelle malattie che abbiano comprovati nessi causali con specifiche condizioni di prestazione lavorativa, che siano oggettivamente legate all’organizzazione del lavoro e non siano riconducibili alla scelta autonoma del lavoratore. Il principio della tutela delle malattie psicosomatiche da stress lavorativo si può trovare, come visto in precedenza, nella sentenza n. 179 del 18 febbraio 1988, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 3 e 211 del T.U. n. 1124/1965, per violazione dell’articolo 38, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentivano la tutela di malattie professionali diverse da quelle elencate nelle tabelle allegate al Testo Unico, concernenti quelle malattie che risultano causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse.

Nel sistema misto, così introdotto nell’ordinamento, coesistono, quindi, le malattie professionali “tabellate”, che costituiscono le fattispecie tipizzate in ragione della loro espressa elencazione in tabella, e le malattie professionali “non tabellate”, che costituiscono fattispecie atipiche, in quanto non predeterminate, per le quali non opera alcuna presunzione di derivazione eziologia dal lavoro.

Nel sistema giuridico, l’elemento che caratterizza e distingue le malattie tabellate da quelle non tabellate, è costituito dal fatto che le prime sono assistite dalla presunzione juris tantum, mentre le seconde sono tutelabili esclusivamente a condizione che sia provato, che la patologia che ha colpito il lavoratore sia causalmente riconducibile al rischio lavorativo.

Nella circolare n. 71/2003 dell’Istituto viene precisato che i disturbi psichici possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati da specifiche e particolari condizioni dell’attività e della organizzazione del lavoro.

Si è ritenuto, infatti, che il rischio tecnopatico tutelabile sia non soltanto quello collegato alle situazioni di pericolo per la persona del lavoratore dovute a non conformità delle apparecchiature, o alla strutturazione dei cicli produttivi in modo da mettere a repentaglio la salute e l’incolumità del lavoratore, o alla nocività delle lavorazioni in quanto determinanti il pericolo di inalazione di sostanze tossiche, polveri, gas, etc.; ma anche quello riconducibile a particolari condizioni legate esclusivamente alla organizzazione del lavoro, in quanto peculiari modalità organizzative possono determinare situazioni di disagio del lavoratore e quindi sfociare, tra l’altro, in disturbi della psiche.

Quanto al problema della prova del nesso eziologico, in tutti i casi di malattie psichiche, rivestono un’importanza specifica la valutazione dello stato anteriore del soggetto nonché la valutazione delle concause simultanee o sopravvenute.

In questo caso, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la concorrenza di fattori causali, professionali e non professionali, comporta l’applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni di cui all’ articolo 41 cod. pen., per cui va attribuita efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito – anche in maniera indiretta – alla produzione dell’evento.

Con la sentenza n. 1576/2009, il Consiglio di Stato ha affermato che, pur dopo la pronuncia n.

179/1988 della Corte Costituzionale che ha introdotto il c.d. “sistema misto”, il riconoscimento dell’origine professionale di una malattia non tabellata è possibile soltanto quando la malattia stessa sia causalmente ricollegata al “rischio specifico” di una delle lavorazioni elencate negli articoli 1 e 4 del T.U. n.1124/1965.

Il Consiglio di Stato ha osservato, inoltre, che dall’elenco di cui al citato articolo 1 del T.U. non sono comprese le costrittività organizzative previste dalla circolare, che l’ambito del rischio assicurato può essere esteso solo con intervento del legislatore e che tale operazione non può essere compiuta mediante una circolare interpretativa dell’INAIL (Cons. Stato n. 1596 del 17 marzo 2009, in Foro It., 2009, III, 433). Nella stessa decisione, il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello incidentale, proposto dai resistenti, annullava anche il decreto ministeriale 27.4.2004. L’annullamento della circolare da parte della giustizia

amministrativa è stato improduttiva di effetti, poiché l’Istituto continua a operare trattando le domande di riconoscimento delle malattie psicosomatiche da stress e costrittività organizzativa ed ammetterle all’indennizzo come le altre malattie non tabellate.

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