È stata pubblicata nella GU n. 204 del 1 settembre 2022 la Legge n 130 del 31 agosto 2022, recante Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario, entrata in vigore il 16 settembre 2022 (salvo specifiche disposizioni).
La recente riforma del contenzioso tributario, in particolare, è intervenuta a disciplinare in modo più incisivo la ripartizione dell’onere della prova nell’ambito del procedimento giudiziale tributario.
L’art. 6 della legge di riforma citata introduce infatti una disciplina specifica che sancisce apertis verbis la ripartizione dell’honus probandi tra amministrazione e contribuente.
Con l’entrata in vigore della riforma in materia di giustizia e di processo tributario, il giudice di merito è chiamato ad applicare nuove regole in materia di ripartizione dell’onere probatorio tra le parti del processo.
La nuova disciplina è racchiusa in una norma ad hoc ovvero il nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
In sostanza con la riforma della legge 130/2022 si è voluto fissare una disciplina in materia di onere della prova “specifica” ed “autonoma” per il diritto tributario, che prende le mosse dall’articolo 2697 del c.c. (norma che sino alla riforma aveva improntato la disciplina probatoria in ambito tributario) ma che tenesse conto della peculiarità della materia. È opportuno sottolineare che la disposizione in commento non modifica nessun’altra precedente norma, ma introduce per la prima volta nell’ordinamento tributario una disposizione, con la quale viene disciplinato in modo specifico il giusto criterio di ripartizione dell’onere della prova tra le parti del processo tributario.
In materia tributaria, in passato si riteneva che l’onere della prova gravasse esclusivamente sul contribuente, in forza della «presunzione di legittimità» degli atti amministrativi in base alla quale il fatto posto a fondamento dell’atto impositivo doveva considerarsi processualmente provato fino a che il ricorrente non fosse riuscito a provarne il contrario.
Tale impostazione ad oggi risulta ampiamente superata, ed anche nel processo tributario si assume vigente la regola secondo cui l’onere della prova deve essere ripartito secondo le regole ordinarie proprie del processo civile, ossia quella dettata dall’art. 2697 cod. civ.
La citata norma prevede in particolare che: «Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».
La Corte di Cassazione sul punto ha infatti espressamente statuito che «l’art. 2697 cod. civ, in quanto norma generale, si applica anche al contenzioso tributario» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8439 del 04/05/2004).
Da tale impostazione discende il riconoscimento dell’ente impositivo quale attore sostanziale del processo tributario ovvero soggetto chiamato a dimostrare in giudizio i fatti costitutivi del diritto vantato con l’avviso di accertamento, come richiesto dall’articolo 2697 del codice civile. Secondo tale prospettiva l’onere della prova grava in primis sull’Amministrazione Finanziaria e si trasferisce sul contribuente nel solo caso in cui la prima fornisca elementi sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’obbligazione tributaria.
Secondo la giurisprudenza ove sia in contestazione la sussistenza del presupposto impositivo, “l’onere della prova circa i fatti costitutivi del presupposto impositivo medesimo incombe all’ente impositore e, per esso, al concessionario della riscossione”.
L’onere della prova grava però sul contribuente, nelle liti di rimborso del tributo, in qualsivoglia fattispecie, sia a seguito di rifiuto espresso che di rifiuto tacito dell’Amministrazione Finanziaria. Il contribuente ha altresì l’onere di provare la sussistenza delle circostanze da cui derivano l’esenzione o l’agevolazione. In sostanza l’onere della prova si articola, in modo differente a seconda dell’oggetto del giudizio.
Le regole generali testè richiamate, tuttavia, hanno delle eccezioni o per l’effetto di specifiche disposizioni normative (si pensi ad esempio alle varie presunzioni legali relative che invertono gli oneri probatori) o in ottemperanza ai consolidati principi di diritto di derivazione giurisprudenziale. Tra queste ultime, l’affermazione del principio secondo cui per i componenti negativi di reddito d’impresa l’onere probatorio competerebbe al contribuente.
Sempre in base alla disciplina civilistica viene statuito che, qualora non sia raggiunta la prova del fatto dedotto in giudizio, il giudice è tenuto a decidere la controversia in senso sfavorevole a chi non sia stato in grado di dimostrare la sussistenza della sua pretesa.
L’articolo 6 della Legge 31 agosto 2022, n. 130, detta, per la prima volta espressamente, le regole di ripartizione dell’onere della prova nell’ambito del processo tributario.
Le citate disposizioni, nello specifico, sono contenute all’interno del nuovo comma 5-bis all’articolo 7 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
L’art. 7 co. 5-bis del DLgs. 546/92 come riformato dalla L. 31.8.2022 n. 130 così prevede: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».”
In base alla nuova norma spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato; nelle richieste di rimborso, salvo quando queste si riferiscano alla restituzione di somme oggetto di accertamenti impugnati, spetta invece al contribuente fornire le ragioni della propria richiesta.
La nuova norma, in buona sostanza, ribadisce il principio già vigente nel processo tributario, in base al quale l’onere della prova in primis deve essere assolto dall’ente impositore il quale riveste il ruolo di attore in senso sostanziale. Spetta invece al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso.
Il giudice deve fondare la sua decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio.
Il giudice annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
In base alla nuova norma se la pretesa dell’amministrazione finanziaria è fondata su prove poco solide, contraddittorie o addirittura su un substrato probatorio fragile o inesistente il giudice annulla l’atto impugnato non ritenendo assolta per la fattispecie in esame l’onere probatorio.
L’art. 7 co. 5-bis del DLgs. 546/92 riguarda la prova delle violazioni contestate con l’atto impugnato. Per le fattispecie non rientranti in detta casistica rimangono in vigore le precedenti regole. Per cui il contribuente deve continuare a dover provare i fatti idonei a paralizzare la pretesa, come il vizio di notifica o la decadenza dall’attività accertatrice. Nelle liti di rimborso l’onere della prova spetta sempre al contribuente, tanto per il diniego espresso quanto per il silenzio-rifiuto.
Rimane da capire se per le fattispecie in cui si determina una riduzione dell’imposta o dell’imponibile (deduzione dei costi, detrazione IVA, agevolazioni fiscali), nelle quali tradizionalmente la giurisprudenza ha ritenuto che l’onere della prova spetti al contribuente, continueranno a trovare applicazione i principi giurisdizionali preesistenti.
La nuova norma però in ogni caso dovrebbe esercitare i suoi effetti sulle fattispecie affette da incertezza o da una non chiara ricostruzione del fatto evasivo. In tali ipotesi, infatti, alla luce del nuovo disposto normativo, si può ipotizzare che se sulla base della documentazione prodotta dal contribuente o reperita in sede di indagine, la indeducibilità del costo è non certa ma dubbia, il giudice dovrebbe in ragione di ciò accogliere il ricorso. Si pensi ad esempio alle ipotesi di una frode IVA, perpetrata mediante l’emissione di fatture oggettivamente o soggettivamente inesistenti.
In tali casi alla luce della nuova norma l’ente impositore dovrebbe essere tenuto a dimostrare in modo puntuale, circostanziato e non contraddittorio che il contribuente ha partecipato alla frode.
In altri termini, la mancanza di prova nel senso descritto dovrebbe avere come effetto l’automatico accoglimento del ricorso, non dovendo il contribuente fornire alcuna controprova.
Tuttavia, il condizionale è d’obbligo in quanto essendo l’art. 7 co. 5-bis del DLgs. 546/92 una norma di principio spetterà sempre alla giurisprudenza, in specie quella di legittimità, definire i reali confini e limiti applicativi della nuova disposizione.
Le disposizioni contenute nel nuovo art. 7 co. 5-bis del DLgs. 546/92 non dovrebbero incidere sull’efficacia delle presunzioni legali (relative o assolute) vigenti in materia tributaria.
In particolare, si ricorda che l’effetto di tali presunzioni è quello di assumere un certo dato come provato (presunzione assoluta) o di invertire automaticamente l’onere della prova in capo al contribuente (presunzioni relative).
Il riferimento è ad esempio alla presunzione legale assoluta di attribuzione del reddito ai soci nelle società di persone ex art. 5 del TUIR; alle presunzioni legali relative sull’imponibilità dei movimenti bancari non giustificati ex art. 32 del DPR 600/73; alle presunzioni legali relative inerenti all’imponibilità dei capitali detenuti in paradisi fiscali in assenza di compilazione del quadro RW ex art. 12 del DL 78/2009; alle presunzioni legali relative derivanti dall’accertamento sintetico ex art. 38 co. 4 e 5 del DPR 600/73; alla presunzione legale relativa di residenza in Italia per i contribuenti che si sono trasferiti in paradisi fiscali ex art. 2 co. 2-bis del TUIR.
È necessario evidenziare però che anche in questo caso un auspicabile effetto dell’introduzione del nuovo co. 5-bis sia che dopo la riforma qualsiasi prova, inclusa dunque la prova presuntiva, dovrà essere puntuale, circostanziata e non contraddittoria. Anche in questo caso, spetterà alla giurisprudenza dettare le regole per la concreta applicazione delle nuove disposizioni.
La nuova norma inoltre non incide sulla possibilità di accertare il contribuente induttivamente. Per cui sarà ancora possibile accertare il reddito mediante presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti. Rimangono in vigore altresì le “agevolazioni probatorie” concesse agli enti impositori dalla normativa vigente, in caso di gravi inadempienze del contribuente (ad esempio in caso di omessa dichiarazione o scritture contabili inattendibili). Per cui sarà ancora possibile accertare induttivamente il reddito del contribuente basandosi meramente su presunzioni c.d “semplicissime”, prive cioè dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.
La disposizione si applica ai ricorsi notificati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, ossia dal 16 settembre 2022. Le nuove regole di ripartizione dell’onere della prova, si ritiene però che possano trovare immediata applicazione anche per i procedimenti pendenti all’entrata in vigore della riforma.