Il 4 novembre 1979 un gruppo di studenti iraniani attaccò l’ambasciata statunitense a Teheran, prendendo in ostaggio il personale, compreso l’ambasciatore William Sullivan. Altre tre persone, fra cui l’incaricato d’affari Bruce Laingen, furono trattenute al Ministero degli Esteri, dove si trovavano per una riunione. Il 20 novembre, a 16 giorni da questo gesto eclatante, che sconvolse gli equilibri diplomatici tra i due paesi, furono rilasciate tredici donne e gli uomini di colore, probabilmente al fine di accattivarsi l’opinione pubblica americana. Questi studenti si facevano chiamare Khat-e Imam (“Seguaci della linea dell’Imam”) ed erano guidati dall’hojatolleslam Muhammad Musavi Khoeniha. In principio l’obiettivo era un sit in davanti l’ambasciata, messo a punto per chiedere l’estradizione dello scià, che in seguito alla Rivoluzione scoppiata nei mesi precedenti, era entrato negli Stati Uniti il 22 ottobre del 1979, con il pretesto di essere ricoverato in una clinica. Non mancò l’appoggio dell’Ayatollah Khomeini all’impresa eclatante dei suoi connazionali. Anzi, proprio suo figlio Ahmad, si arrampicò su un muro dell’ambasciata, unendosi agli altri studenti. Fu un gesto plateale e come comprensibile, portò alla rottura delle relazioni diplomatiche fra Usa e Iran. Bazargan, capo del governo provvisorio, revocò l’accordo militare con gli Stati Uniti e questi ultimi a loro volta bloccarono i depositi iraniani nelle banche americane. In tale situazione critica, non stupisce il fatto che il primo ministro iraniano diede le sue dimissioni il 6 novembre. La crisi terminò con la liberazione degli ultimi 52 ostaggi, dopo un accordo favorito dall’Algeria e firmato il 19 gennaio 1981 ad Algeri. In base a questo, Washington non avrebbe più interferito nella politica interna del paese mediorientale, rendendo nuovamente disponibili i capitali depositati nelle banche statunitensi. In realtà il gigante atlantico restituì all’Iran solo 2,3 miliardi di dollari, trattenendone 7,7. Ma il danno peggiore fu sicuramente l’isolamento internazionale della nuova Repubblica Islamica, non solo verso i paesi occidentali, ma anche verso il restante mondo musulmano. Ora, detto ciò, immaginate che un videogame possa essere in grado di farvi catapultare lì, in quei giorni e in quelle ore tragiche, mentre siete comodamente seduti sulla vostra poltrona di casa. Questo non è uno scherzo, ma il progetto, ormai giunto quasi al termine, di Navid Khonsari, uno dei più famosi creatori di videogiochi al mondo, tra cui Grand Theft Auto III, che gli amanti del genere conoscono bene. Già due anni fa Navid, nato a Montreal, in Quebec, ma cresciuto e rimasto in Iran fino a 10 anni per poi tornare nella patria d’origine, aveva espresso la volontà di creare un videogioco che si basasse sulla vicenda degli ostaggi americani a Teheran. Sotto la presidenza Ahmadinejad, non sono mancate ovviamente le critiche per tale progetto da parte del quotidiano di regime, Kayhan, direttamente controllato dall’ufficio della Guida Suprema, che ha visto chiaramente nel videogame un affronto ai fatti del 1979. Eppure ciò non pare aver impaurito il 44enne Navid, il quale seppur messo in guardia dai propri parenti ancora residenti nel paese circa la pericolosità di un suo possibile rientro in Iran, ha deciso di portare avanti l’obiettivo. Sembra però che il videogioco, probabilmente sul mercato nella prossima primavera, comprenda un arco di tempo più ampio rispetto a quello della sola crisi degli ostaggi. “1979 Revolution”, è il nome scelto da Khonsari per il videogame e “Black Friday”, quello del primo episodio, che si rifà ai fatti dell’8 settembre 1978, quando iniziarono le proteste contro lo scià e le forze armate della capitale spararono in Piazza Jalé sulla gente che aveva violato il divieto di scendere in strada. Il protagonista di “1979 Revolution” si chiama Reza ed è un fotoreporter iraniano, il quale nei giorni della rivoluzione si trova a girare per le strade di Teheran. Scenografie, personaggi, tutto è curato in maniera realistica per far sì che il giocatore possa rivivere quell’esperienza in maniera virtuale. Quanto a possibili nuove condanne da parte del regime iraniano, con la nuova presidenza Rohani, probabilmente il videogioco avrà una vita più facile, sia chiaro, purché fuori dall’Iran.
Silvia Di Pasquale