LA SINDROME LONG COVID

Successivamente all’emergenza pandemica sono diventati sempre più evidenti e riconosciuti gli effetti che il Covid-19 è in grado di causare nel medio-lungo termine (Long Covid) ai pazienti colpiti, definendo tale condizione con il termine «Sindrome post-Covid».

A tal proposito, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e Ewan MacDonald (University of Glasgow), hanno recentemente pubblicato una scheda informativa, un “discussion paper”, che riporta le stime delle persone colpite dalla sindrome e quali sono i sintomi e gli effetti.

Dopo due anni di pandemia finalmente, da due mesi abbiamo dato l’addio allo stato di emergenza da COVID-19: nonostante questo però, purtroppo l’infezione non si è ancora fermata e i casi di contagio sono tutt’ora presenti nel nostro Paese e nel mondo.

Secondo un recente studio del Johns Hopkins Coronavirus Resource Centre, al 6 aprile 2022 sono stati segnalati a livello globale oltre 494 milioni di casi di COVID-19 e più di 6 milioni di decessi associati.

In Europa invece ci sono stati oltre 181 milioni di casi e più di 2 milioni di decessi, secondo una stima della Reuters (2022).

Nonostante ciò, il numero di casi effettivi di COVID-19 potrebbe essere molto più alto a causa della presenza di persone con sintomi lievi, che non hanno segnalato la malattia per scarsa volontà, oppure dall’assenza di una conferma positiva da parte dei test.

Non dimentichiamoci poi, che dopo due anni dall’emergenza pandemica sono diventati sempre più evidenti e riconosciuti gli effetti che il Covid-19 è in grado di causare nel medio-lungo termine ai pazienti colpiti.

Già a suo tempo infatti, per definire tali effetti di lungo periodo (Long Covid) è stato coniato il termine «Sindrome post-Covid», espressione che definisce appunto i sintomi Covid-correlati che perdurano nel tempo.

A tal proposito, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e Ewan MacDonald (University of Glasgow), hanno recentemente pubblicato una scheda informativa, un “discussion paper”, che riporta le stime delle persone colpite dalla sindrome e quali sono i sintomi e gli effetti.

Innanzitutto la scheda intitolata “Impact of long covid on workers and workplaces and the role of OSH” (Impatto del long COVID sui lavoratori e sui luoghi di lavoro e ruolo della SSL) e prodotta solo in lingua inglese, indica la definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato alla sindrome post-COVID19 una condizione che si verifica in individui con una storia di probabile o confermata infezione da SARS-CoV-2, di solito a 3 mesi di distanza dall’inizio del Covid-19, con sintomi che durano per almeno 2 mesi e non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa.

Le stime prodotte da l’Office for National Statistics (ONS) del Regno Unito indicano che tra il 7% e il 18% delle persone che hanno avuto il COVID-19 ci sia probabilità di sviluppare alcuni sintomi da sindrome post-COVID-19 che persistono per almeno cinque settimane, con una stima di 1,3 milioni di persone nel Regno Unito che presentano già una condizione post-COVID.

Altre ricerche effettuate in merito hanno invece ipotizzato, nel settembre 2021, che un malato di COVID-19 su tre conservi aspetti di Long Covid per settimane, se non mesi, oltre l’infezione iniziale.

I risultati di un’altra indagine telefonica in Francia (con un tasso di risposta del 57% che ha raggiunto 478 pazienti) hanno mostrato che a quattro mesi dal ricovero per COVID-19, circa la metà dei pazienti presentava almeno una caratteristica del cosiddetto “Long Covid”.

Il documento riporta poi altre ricerche e studi effettuati e indicazioni specifiche sulle fonti.

Purtroppo, le conseguenze per i pazienti colpiti dalla sindrome post covid non sono trascurabili. Chi ne è colpito, infatti, vede ridursi drasticamente il proprio benessere psico-fisico, con un impatto negativo sullo svolgimento delle normali attività quotidiane e di conseguenza sul lavoro.

una condizione che si verifica in individui con una storia di probabile o confermata infezione da SARS-CoV-2, di solito a 3 mesi di distanza dall’inizio del Covid-19, con sintomi che durano per almeno 2 mesi e non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa.

Il documento indica che il Long Covid può colpire quasi tutti gli organi, con effetti che includono i disturbi del sistema respiratorio e del sistema nervoso, i disturbi neurocognitivi, i disturbi mentali, i disturbi metabolici, i disturbi cardiovascolari, i disturbi gastrointestinali, malessere, affaticamento, dolori muscolo-scheletrici ed anemia.

Gli effetti a lungo termine più comuni sono affaticamento e dispnea, ma anche la perdita del gusto e/o dell’olfatto può persistere nel tempo.

Il fatto positivo è che la maggior parte di questi sintomi può migliorare con il tempo e con trattamenti medici specifici, ma alcuni possono persistere.

Già tempo fa l’Agenzia aveva reso pubbliche due utili guide, di cui una rivolta ai dirigenti ed un’altra ai lavoratori, avevano come obiettivo quello di definire le soluzioni migliori per gestire in modo efficace il rientro al lavoro dei soggetti colpiti da COVID-19, sia che abbiano avuto l’infezione in forma grave sia che abbiano presentato sintomi di lunga durata.

Alla luce di questo, che effetti possono avere tali sintomi sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori?

Come indicato dalla scheda, l’affanno può essere dovuto alla cicatrizzazione dei polmoni e potrebbe causare una riduzione permanente della funzionalità polmonare, oppure un disturbo della respirazione che può essere curabile. Ciò potrebbe comportare evidenti limitazioni alla capacità lavorativa, soprattutto se allo stesso tempo sono presenti anche sintomi muscolari.

Inoltre può capitare che alcuni individui abbiano disturbi cardiovascolari che potrebbero influire sulla loro capacità di svolgere lavori fisici.

Un ulteriore problema del Long Covid è anche la sindrome da tachicardia posturale ortostatica che associa la difficoltà a stare in piedi a una frequenza cardiaca accelerata e a una sensazione di profonda stanchezza.

In circa il 10% dei lavoratori potrebbe poi manifestarsi una condizione chiamata “brain fog” (nebbia mentale), un effetto neurocognitivo, in genere temporaneo, connesso alle difficoltà di concentrazione e di memoria.

Inoltre, la sindrome da post-Covid può essere un’esperienza traumatica per lavoratori che in precedenza erano molto attivi: ciò potrebbe causare in loro ansia e depressione, a maggior ragione se arrivano da un lungo ricovero ospedaliero.

Tutte queste condizioni hanno effetti importanti per quello che riguarda la salute e sicurezza sul lavoro, perciò è necessario che i datori di lavoro siano consapevoli dei rischi e soprattutto è essenziale che vengano messi a conoscenza dei sintomi che il lavoratore rientrante presenta e anche delle sue limitazioni.

In questo modo è possibile prevedere le misure idonee e necessarie per garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

In data 18 maggio 2022 è stato raggiunto l’accordo da parte del Comitato consultivo UE per la sicurezza e la salute sul lavoro (ACSH) sulla necessità di riconoscere il contagio da Covid-19 come malattia professionale nei settori maggiormente esposti al rischio.

Si tratta in modo particolare dell’assistenza sanitaria e sociale, dell’assistenza domiciliare e, in un contesto pandemico, di quei settori in cui si verificano focolai con comprovato rischio di infezione.

La Commissione europea provvederà quindi ad aggiornare la sua raccomandazione sulle malattie professionali, con lo scopo di promuovere il riconoscimento del contagio come malattia professionale anche a livello Europeo, come invece ha già fatto l’Italia.

Il riconoscimento e l’indennizzo delle malattie professionali rimangono infatti di competenza nazionale.

Questa misura era già stata inserita all’interno del Quadro strategico UE per la salute e la sicurezza sul lavoro 2021-2027, adottato dalla Commissione europea nel giugno 2021, che ha tra gli obiettivi principali quello di rafforzare la preparazione a qualsiasi potenziale crisi sanitaria futura.

La necessità di tale riconoscimento a livello Europeo è rafforzata dalla prolungata gravità della situazione epidemiologica. A partire dal 12 maggio 2022, infatti, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha classificato alcune sotto-linee di Omicron come “varianti preoccupanti”.

Pertanto, il riconoscimento della malattia professionale garantirebbe ai lavoratori una maggiore protezione in vista di possibili future ondate di Covid-19.

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