E’ l’ennesima strage fra i curdi però questa volta sul territorio turco. Ci troviamo a Suruc, una piccola cittadina al confine fra Siria e Turchia a qualche chilometro da Kobane, il vero fulcro della guerra fra miliziani islamici e curdi. E’ il 20 luglio 2015 (a qualche minuto da mezzogiorno) quando un’esplosione da parte di una kamikaze diciottenne (evidentemente schieratasi con gruppo dell’Isis) avviene davanti al Centro culturale Amara (un edificio che ospita circa 300 giovani socialisti appartenenti all’ Associazione SGDF). Sono 32 i morti e 104 i feriti: un numero piuttosto elevato, dovuto soprattutto all’ “astuzia” dell’attentatrice, che si è fatta esplodere nel momento in cui molti dei giovani erano usciti nel giardino per esporre alla cittadinanza le proprie idee e soprattutto il loro piano d’aiuto per la ricostruzione della città di Kobane. Suruc vista la vicinanza geografica accoglie ormai da diversi mesi siriani e curdi che sono in fuga dalla guerra e dalla brutalità del califfato islamico. A far discutere è però l’atteggiamento della Turchia e in particolare del suo presidente Erdogan, da tempo al centro di pesanti polemiche su presunte alleanze segrete con lo stesso Isis. Posizioni piuttosto contrastanti e conflittuali, che però gettano inesorabilmente una grande ombra su un intero Stato, il cui atteggiamento nei confronti del terrorismo è stato fin troppo morbido. Erdogan (in particolar modo nelle prime fasi della guerra civile in Siria) ha giocato un ruolo ambiguo, impedendo di fatto a migliaia di combattenti turco-curdi di sconfinare in Siria per combattere sul terreno contro l’Isis, militarizzando la frontiera, lasciando che gli uomini di Al Baghdadi continuassero indisturbati a fare affari con i mediatori contrabbandieri turchi lungo il confine. Petrolio, antiche reliquie trafugate dai musei siriani, e non solo, rivendute a prezzo stracciato dagli uomini vicini all’Isis attraverso la frontiera colabrodo tra Siria e Turchia, senza che il Sultano facesse nulla per impedirlo, mentre impediva la partenza di migliaia di volontari curdi desiderosi di combattere armi in pugno contro lo Stato islamico in Siria. Di questo è accusato Erdogan di aver preferito (in nome della realpolitik e dei disegni neo-imperiali turchi) una Siria divisa e in perenne guerra civile, piuttosto che un Paese forte, militarizzato e pacificato ai propri confini.