Sul palco del teatro Keramikos di Atene le parole di Alexis Tsipras hanno incantato la folla. Il suo carisma ha riempito la sala e perfino le strade adiacenti. In cinque anni il giovane Alexis è riuscito a ricomporre l’estrema sinistra greca, portandola Syriza dal 4,9% ad essere il primo partito del Paese, almeno nei sondaggi. È poi accaduto quello che Tsipras si aspettava da tempo, vale a dire lo scioglimento del Parlamento dopo tre tentativi falliti di elezione del nuovo Presidente. Il suo rivale, l’attuale e impopolare Antonis Samaras capo della formazione conservatrice Nea Demokratia è visto dai greci come il migliore amico della Troika. Le politiche di austerity volute da Commissione Europea, Banca Centrale e FMI hanno colpito in maniera durissima il ceto medio impiegatizio, i pensionati e i giovani. Queste categorie hanno dovuto pagare il prezzo più alto per gli aiuti alla Grecia, che ne hanno scongiurato il default. I ricchi evasori non hanno vissuto alcun deterioramento del proprio tenore di vita. A fronte di tante e tali sperequazioni sociali – dai tagli agli stipendi e alle pensioni ai licenziamenti nel pubblico e nel privato – il verbo di Tsipras ha attecchito con facilità, facendo grande proselitismo in un paese socialmente ed economicamente al collasso. La prospettiva di un futuro governo guidato da Syriza ha dapprima spaventato i mercati che si sono poi tranquillizzati, perché consapevoli che la sinistra dovrà allearsi con altri partiti più moderati. In fondo lo stesso Tsipras ha parlato di speranza più che di rivoluzione, ribadendo che la Grecia non uscirà dall’euro. Il suo obiettivo, che lo fa assomigliare nella retorica politica come nell’immagine a Renzi più che a Guevara, è quello di rinegoziare le condizioni imposte per l’erogazione degli aiuti finanziari. Il programma politico di taglio riformista, incardinato sulla lotta all’evasione fiscale, vuole dare un po’ di ossigeno alla classe media, innalzando le pensioni al minimo e il salario minimo, fornendo energia elettrica gratuita alle famiglie povere, promuovendo gli investimenti pubblici. Con un Pil in crescita questi sono obiettivi tutto sommato ragionevoli anche perché in Europa di sostegno alla crescita e di flessibilità nel rispetto dei trattati si parla sempre più insistentemente.