LE CONDIZIONI E MAGGIORANZE NEL CONCORDATO

Il Codice della crisi rende più agevole l’accesso al concordato in continuità rispetto alla previgente disciplina.

Il Codice della crisi di impresa modifica la disciplina del concordato in continuità, agevolando l’accesso allo strumento nonché rendendo più semplice l’approvazione della Proposta. Il concordato in continuità aziendale, storicamente la soluzione maggiormente ricercata per risolvere situazioni di crisi, subisce alcune modifiche di rilievo per favorire il mantenimento in vita dell’impresa, la conservazione dei posti di lavoro, la prosecuzione dell’idea di business. Il Piano e la proposta dovranno tenere conto delle nuove disposizioni.

Il concordato in continuità, nel nuovo codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII), presenta una struttura che non si discosta di molto da quella che era in vigore nella legge fallimentare (l.f.). Tuttavia alcune modifiche in tema di condizioni per l’accesso alla procedura, nonché per l’approvazione della proposta, rendono più agevole il suo impiego per la regolazione della crisi.

In particolare, le nuove regole richiedono che la proposta ai creditori non arrechi pregiudizi rispetto alla liquidazione giudiziale, purché lo stato di crisi o di insolvenza sia reversibile.

Diversamente la previgente formulazione richiedeva la migliore soddisfazione dei creditori, la cui interpretazione restrittiva comportava un maggior sforzo finanziario per il debitore nonché ripercussioni nella redazione del Piano.

In maniera simile viene data più rilevanza alla conservazione della continuità aziendale, ammettendo l’accesso al concordato in continuità anche nel caso il Piano preveda rilevanti dismissioni, prevalenti rispetto alla liquidità prodotta dalla continuità, senza che ciò faccia assumere al concordato il carattere liquidatorio per cui sarebbe necessario il soddisfacimento dei crediti per il 20% e l’apporto di finanza esterna per il 10%. La volontà di favorire attraverso regole meno restrittive il ripristino della continuità aziendale trova conferma anche nel sistema che permette di ottenere l’approvazione del Piano in maniera più semplice, con maggioranze relative rispetto a quanto previsto in precedenza.

Le presenti note, alla luce delle richiamate considerazioni, riprenderanno alcune delle caratteristiche del nuovo concordato preventivo in continuità e del relativo Piano di ristrutturazione, evidenziando come le modifiche abbiano reso l’accesso allo strumento più agevole per la soluzione delle situazioni di crisi, rispetto alla previgente formulazione normativa contenuta nella legge fallimentare. Lo strumento, correttamente impiegato, agevola il salvataggio delle imprese in crisi anche attraverso manovre in completa discontinuità rispetto alla gestione precedente.

Il Codice della crisi, contenuto del D.Lgs. 14/2019, entra in vigore soltanto il 15 luglio 2022 nel testo oggetto di modifiche, prima ad opera del Decreto correttivo (D.Lgs. 147/2020) e successivamente ad opera del D.Lgs. 83/2022, che ha recepito la Direttiva insolvency (Dir. 2019/1023).

Il concordato in continuità aziendale rimane disciplinato dalla previgente normativa contenuta nella legge fallimentare in caso di ricorsi e domande di concordato depositati prima del 15 luglio 2022; procedure pendenti al 15 luglio 2022 nonché aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle relative domande.

Di conseguenza, le nuove regole del CCII sul concordato in continuità che verranno illustrate trovano applicazione in caso di ricorsi e domande presentati successivamente alla data del 15 luglio 2022.

Il concordato in continuità può essere richiesto, secondo quanto previsto dall’art. 84 del CCII, dagli imprenditori commerciali soggetti alla liquidazione giudiziale che superano i requisiti dimensionali dell’impresa minore. Restano quindi esclusi, tra gli altri, le imprese agricole che invece possono accedere agli accodi di ristrutturazione, vista la diversa formulazione dell’art. 57 del CCII.

In aggiunta al richiamato requisito soggettivo per l’accesso al concordato, l’impresa deve essere in stato di crisi o di insolvenza.

La crisi, secondo l’art. 2 del CCII, rappresenta lo stato dell’imprenditore che rende probabile l’insolvenza che può manifestarsi con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi. L’insolvenza riguarda uno stadio più avanzato della semplice situazione di crisi, ossia lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

L’insolvenza, nel concordato in continuità, deve essere reversibile come espressamente previsto dalla legge delega 155/2017; ciò rende lo strumento impraticabile nel caso la proposta non garantisca alcuna soddisfazione ai creditori, diversamente da quanto avvenuto nella previgente disciplina contenuta nella legge fallimentare la cui applicazione in concreto, in alcune circostanze, consentiva l’accesso al concordato in continuità anche nel caso di imprese decotte in cui il Piano destinava poco, quasi nulla, ai creditori.

La proposta ai creditori, nella nuova formulazione normativa, non deve arrecare pregiudizi rispetto alla liquidazione giudiziale, ovverosia deve garantire ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quanto realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, purché lo stato di crisi o di insolvenza sia reversibile. Si passa, quindi, dalla migliore soddisfazione dei creditori al più modesto obiettivo di garantire ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella realizzabile in caso di liquidazione. Il CCII rende, quindi, più agevole accedere allo strumento del concordato in continuità, non essendo necessario verificare che la proposta consenta la migliore soddisfazione dei creditori. Il piano di ristrutturazione e la relativa attestazione dovranno limitarsi a garantire al creditore almeno quanto a loro spetterebbe in caso di liquidazione giudiziale.

In maniera diversa la legge fallimentare, in base all’art. 186-bis, c. 2, lett. b), richiedeva che la maggiore soddisfazione dei creditori fosse oggetto di apposita attestazione, cui i Principi di attestazione dei piani di risanamento della Fondazione dei dottori commercialisti e del CNDCEC del 16 dicembre 2020 dedicavano il paragrafo 7.

La semplificazione, dunque, è di non poco conto sia in sede di redazione del piano sia in sede di attestazione, rendendo altresì più agevole il ruolo del giudice in sede di valutazione dell’ammissibilità del concordato.

Secondo l’art. 2 c. 1 lett. d per impresa minore si intende l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000 nei tre esercizi antecedenti; ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000 nei tre esercizi antecedenti; un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 50.000.

Le regole sull’ammissibilità al concordato in continuità di cui all’art. 47 del CCII, riscritte dal D.Lgs. 83/2022, non prevedono più la verifica della fattibilità economica del Piano di risanamento. Nel testo normativo in vigore, il tribunale valuta la ritualità della proposta decretando comunque inammissibile il piano manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali. Il testo normativo, quindi, consente al tribunale di verificare la mera fattibilità giuridica del piano, ossia che la sua attuazione sia compatibile con norme inderogabili di legge, nonché che l’utilizzo del concordato in continuità sia conforme ai suoi propositi. La rispondenza del concordato ai suoi propositi comprende la valutazione del recupero della continuità aziendale, nonché del riconoscimento ai creditori di utilità almeno pari a quelle cui avrebbero diritto nel caso di liquidazione giudiziale.

Il Piano di risanamento dovrà, quindi, illustrare attraverso il piano industriale e il relativo sviluppo economico, finanziario e patrimoniale l’idoneità delle strategie a superare o impedire l’insolvenza del

debitore, nel rispetto delle norme inderogabili di legge; la sostenibilità economica dell’impresa; il riconoscimento a ciascun creditore di un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.

I Principi di redazione dei piani di risanamento, della Fondazione dei dottori commercialisti e del CNDCEC del 26 maggio 2022, richiedono in più punti al redattore di evidenziare come il Piano consenta di superare lo stato di crisi e ristabilire l’equilibrio economico finanziario. Il paragrafo 2.3.2 richiede di fornire dati in grado di comparare gli andamenti consuntivi con quelli attesi in base alla strategia futura, favorendo così la comprensione di come l’impresa recuperi la continuità. Per la stessa finalità, il paragrafo 11.2, richiede che l’advisor industriale strategico valuti la situazione aziendale identificando le azioni che potrebbero permettere all’azienda di superare le criticità e realizzare gli obiettivi strategici.

Punto nodale, nella verifica dell’ammissibilità al piano, riguarda il valore da attribuire al recupero della continuità. Nel caso si seguisse un’interpretazione per cui la continuità è un mezzo per garantire la soddisfazione dei creditori in misura non inferiore alla liquidazione, verificare che il piano consenta di raggiungere tale obiettivo permetterebbe al tribunale di decretare l’ammissibilità del concordato. Diversamente nel caso venga attribuito alla continuità un valore paritetico a quello della soddisfazione dei creditori, il tribunale potrebbe trovarsi a dover verificare, in fase di ammissione, la presenza di tale requisito con le maggiori difficoltà che ne conseguono.

La questione su cui riflettere, in attesa che si consolidi un orientamento giurisprudenziale e dottrinario, riguarda il fatto che il primo comma dell’art. 84 del CCII testualmente preveda come prima finalità il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore alla liquidazione giudiziale mediante la continuità. Sembra, quindi, esistere un rapporto di fine a mezzo tra la soddisfazione dei creditori e la continuità; ciò porterebbe a ritenere che un Piano astrattamente idoneo a realizzare le pretese dei creditori (in misura non inferiore alla liquidazione giudiziale) consentirebbe di decretare l’ammissibilità del concordato. In caso contrario, il Tribunale sarebbe nuovamente tenuto a valutare la fattibilità economica attraverso cui ponderare la raggiungibilità dell’equilibrio economico finanziario e patrimoniale, prospettico, dell’impresa. Si farebbe, in altri termini, rientrare dalla finestra uno scrutinio che il legislatore ha fatto uscire dalla porta, riscrivendo l’art. 47 del CCII in recepimento della direttiva insolvency.

Si noti che i richiamati Principi di redazione dei Piani di risanamento richiedono di esporre in maniera chiara i presupposti su cui si fonda la capacità dell’impresa di recuperare la continuità. Il Piano di concordato, inoltre, deve contenere, tra i vari elementi che ne costituiscono i contenuti, il Piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, ai sensi dell’art. 87 CCII co. 1 lett. e). Su tali dettagli, non su una valutazione autonoma delle prospettive economiche e sulla tenuta del piano, dovrebbe fondarsi la valutazione del Tribunale.

Il soddisfacimento dei creditori può essere raggiunto, attraverso la continuità aziendale di tipo diretto, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato oppure di tipo indiretto se è prevista dal Piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso dal debitore in forza di cessione o usufrutto d’azienda; conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione; affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso oppure qualunque altro titolo.

La possibilità di far intervenire un soggetto diverso dal debitore nella gestione dell’impresa, in una qualsiasi forma, consente di ritenere valide operazioni straordinarie o sul capitale, che permettano l’ingresso di soggetti terzi oppure l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi. La prosecuzione dell’attività può avvenire anche per il tramite di un assuntore che si obbliga ad assolvere agli adempimenti che provengono dal Piano, assumendo con l’omologa la titolarità dell’attivo e passivo concordatario. La continuità indiretta con la cessazione di una parte significativa delle attività imprenditoriali fa sorgere il dubbio che, nella sostanza, ci si trovi davanti a un concordato liquidatorio.

Il concordato in continuità aziendale, rispetto al caso del concordato liquidatorio, presenta meno vincoli per l’imprenditore comprimendo, potenzialmente, i diritti dei creditori. In particolare, non è prevista nel concordato in continuità la percentuale minima da assicurare ai creditori chirografari, 20% dell’ammontare complessivo, nonché non sono necessari apporti di finanza che nel liquidatorio devono incrementare di almeno il 10% l’attivo disponibile. In aggiunta, il concordato in continuità permette di ripagare i debiti privilegiati in maniera dilazionata anche oltre il tempo limite, precedentemente fissato in due anni.

L’esatta individuazione dei caratteri che qualificano un concordato in continuità aziendale, dunque, assume una certa rilevanza, viste le regole diverse spesso più onerose in caso di concordato liquidatorio con conseguenti impatti nella redazione del Piano e della Proposta. Il concetto di continuità aziendale, la cui definizione ai fini delle norme sulla crisi di impresa è contenuta nell’art. 84 del CCII non sempre coincide con quella individuata dai principi contabili e di revisione, essendo questi ultimi ispirati da altre finalità. In un Concordato saranno gli specifici Principi di redazione dei piani di risanamento a dover essere applicati la cui regola di base è il ripristino degli equilibri finanziari, economici e patrimoniali.

Il recupero dell’equilibrio aziendale, per i principi di redazione dei piani di risanamento, richiederà di individuare nel piano industriale strategie con un grado di discontinuità rispetto al passato crescente al crescere della gravità dello stato di crisi. Le strategie in discontinuità possono far sorgere dubbi sulla natura del concordato, perché potrebbero prevedere larghe dismissioni con conseguente prosecuzione dell’attività limitatamente a un ramo o, addirittura, l’inizio di una nuova attività; ciò renderebbe il concordato misto con caratteri liquidatori e in continuità. La presenza di entrambi i caratteri fa sorgere dubbi su quale disciplina applicare, quella del concordato liquidatorio, maggiormente onerosa, oppure quella del concordato in continuità.

La questione potrebbe essere sciolta attraverso le teorie elaborate in tema di contratti misti secondo le quali la disciplina applicabile può essere individuata secondo il metodo della combinazione, differenziando i contenuti del Piano ed applicando a ciascuna componente la normativa del tipo di concordato affine (quella liquidatoria per le dismissioni, quella in continuità per i contenuti del Piano affini a tale obiettivo); oppure secondo il metodo della prevalenza in virtù del quale dovrebbero applicarsi solo le norme che regolano il tipo giudicato prevalente sulla base di una valutazione comparativa dei contenuti del piano.

La giurisprudenza, per la regolamentazione del concordato, segue il secondo criterio, ossia quello della prevalenza. Tuttavia, mancano riferimenti univoci circa la modalità con cui valutare la prevalenza. I tribunali a volte hanno seguito un approccio quantitativo, richiedendo al debitore di dimostrare che i creditori siano soddisfatti, in misura prevalente, con l’esercizio dell’attività di impresa. In altre occasioni si è seguito un approccio funzionalistico, ossia verificando se il Piano sia funzionale al recupero della continuità, indipendentemente da quanto i creditori ricevono grazie all’esercizio dell’attività di impresa.

Il CCII, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 83/2022, prevedeva un meccanismo quantitativo per la verifica della prevalenza, individuando come criterio il realizzo di ricavi mantenendo impiegati la metà della media dei lavoratori in forza nei due anni precedenti. Il risultato dell’applicazione di siffatta disposizione avrebbe potuto restringere, anche in maniera significativa, l’accesso al concordato e la conservazione dei valori aziendali nei casi in cui la ristrutturazione necessitava di ridurre la forza lavoro. L’art. 84 co. 3 del CCII, quindi, è stato riformulato, prevedendo che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità diretta o indiretta. La valutazione circa l’esistenza di una effettiva continuità dovrà, dunque, basarsi su una valutazione complessiva verificando che il concordato consenta il soddisfacimento dei creditori, in misura almeno pari alla liquidazione, tramite la prosecuzione dell’attività di impresa.

La nuova formulazione normativa dovrebbe facilitare l’accesso al concordato, scongiurando possibili ostacoli nel caso di concordati misti, il cui utilizzo nella prassi ha una certa diffusione. Le nuove regole dovrebbero favorire sia l’accesso al concordato sia la predisposizione del Piano, esonerando il redattore dal documentare la prevalenza quantitativa del soddisfacimento dei creditori attraverso la continuità aziendale.

Nel concordato in continuità è obbligatoria la suddivisione in classi dei creditori. Il meccanismo di voto previsto dall’art. 109 co. 5 del CCII prevede l’approvazione della proposta nel caso tutte le classi votino a favore, stabilendo che all’interno della singola classe la proposta è approvata nel caso sia raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto; in mancanza; se hanno votato favorevolmente i 2/3 dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.

I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro 180 giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti dei lavoratori, assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1, del cod. civ. l’esclusione dal voto richiede il pagamento entro 30 giorni. In mancanza del pagamento integrale oppure nel caso non sia possibile rispettare i termini di pagamento indicati, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta.

La mancata approvazione della Proposta, secondo le regole richiamate in precedenza, rende applicabile l’art. 112, co. 2 del CCII in base al quale se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa il concordato se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando il rispetto della prelazione per i crediti di lavoro anche sul valore eccedente quello di liquidazione; nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Il richiamato meccanismo dovrebbe rendere più semplice l’approvazione, dunque, la soluzione della situazione di crisi o di insolvenza attraverso lo strumento del concordato in continuità aziendale.

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