È questa una scelta che ho assimilato alla nascita da mia madre, profondamente votata all’approccio olistico delle cose.
Sono stato vaccinato a tutte le patologie disponibili ed ancora oggi diligentemente mi sottopongo ai necessari richiami.
Non mi oppongo, però, alla farmacologia tradizionale, distinguendo l’uso consapevole del rimedio utile alla patologia da affrontare.
In questi giorni è divampata la polemica sull’uso della medicina alternativa, ma, credo, il dibattito sia distorto da una tifoseria, talvolta esacerbata e violenta, che richiama più i cori da stadio che tesi mediche.
Non bisogna trascurare l’origine della medicina e dell’essere su cui va innestata; non va dimenticata la costante ricerca che attesta il bisogno dell’essere umano di assoggettare a se gli elementi naturali; non va sottovalutato il valore segnaletico del sintomo sulle ragioni della malattia.
È difficile, di questi tempi, accettare l’idea che l’umanità sia fallibile, che esistano epidemie non curabili, che, seppur capaci di esplorare nuovi pianeti, nella parte fortunata della nostra Terra, ancora si possa morire per una otite o per una appendicite.
Non voglio addentrarmi in disquisizioni tecniche, non sono medico e non ne ho le competenze, preferisco restare su un piano metafisico: la società occidentale contemporanea ha creato una immagine stereotipata del cittadino, cui è difficile adeguarsi e da cui è altrettanto complesso allontanarsi. L’ideale di (falsamente) bello che ricorre alla chirurgia estetica per replicare modelli poco realistici ed, ove non può, al ritocco digitale dell’ossessiva ricerca di immagini, prima ancora che di contenuti; che non tollera il diverso, il difforme, il non omologato; che considera reietto chi non ce la fa a stare al ritmo; che emargina chi fallisce; che cela in cronicari l’età che avanza o la malattia di lungodegenza…si affida ciecamente al valore della medicina chimica come panacea del “sempre-bello-sano-in forma”, affabulando i farmaci di un valore quasi magico del “c’è un rimedio a tutto”. Ed invece questo mondo olografico, consumista e superficiale, sempre più appestato da scorie da bruciare, anziché riciclare, da pesticidi e fertilizzanti irrorati su sementi omologate e spesso geneticamente modificate, con un uso indiscriminato di antibiotici per allevamenti di bestiame intensivi e macelli impietosi dove il profitto ha preso il posto della sussistenza, ha stravolto l’ambiente che ci sta presentando il conto. Siamo al paradosso dove un terzo della popolazione mondiale soffre di obesità e gli altri due terzi di fame, dove il mondo industrializzato ha inquinato acqua, aria e terra e, sotto ricatto, sta distruggendo il resto delle riserve ecologiche del pianeta, dove l’arroganza del potere ha trovato nella globalizzazione la sua eco ed al posto di creare una rete solidale mondiale, ha esportato lo sfruttamento ed ha importato impoverimento delle strutture produttive locali.
In tutto questo vorticoso modernismo il silenzio, la contemplazione, l’ascolto interiore non trovano albergo e la malattia resta unico strumento di livella per le spoglie mortali, cui tutti, volenti o nolenti devono soggiacere…
Federico Mattia Ricci