Nelle mattinate pigre trascorse davanti allo schermo; quando si è immersi integralmente nei pensieri al punto che la presenza in ufficio risulta una sorpresa, in quelle mattine vengono a trovarci pensieri inaspettati e creduti persi dietro chissà quale curva della memoria.
Perché ci vuole impegno, occorre volontà anche per perdersi. Quando si sta diventando grandi, quando il tempo si trasforma in un animale cacciato e divorato davanti ai nostri occhi da attività che perdono valore ad ogni risveglio.
Il tempo… questo strano elemento a volte solido, monolitico, pesante; a volte liquido, sfuggente fra le dita incapace perfino di destarne il tatto. Il tempo in scorrimento rapido, torrenziale; quello che si fa subito Passato, che asciuga in un respiro.
E può capitare che riesca un piccolo miracolo. E’ possibile riuscire -senza sapere come- a vivere entrambi i movimenti.
Il Tempo monolitico e lento, delle ore che si srotolano come un filo, così tipico delle giornate lavorative può portare a frugare nei cassetti disordinati del passato, dove tutto è uguale a com’era e così disperatamente diverso da come lo si ricorda (per questo il passato può ancora sorprenderci, col miracolo nel miracolo) che si fa fatica a vedere bene. In uno di questi cassetti, delicatamente posate in mezzo a inutile ciarpame, possono apparire davanti agli occhi tesori dimenticati. Ritrovare il significato di una parola inflazionata, ricordarsi il colore di una luce non vista da tempo oppure inciampare in vecchie lettere d’amore.
Quanta tenerezza, quanto calore, quanti colori prigionieri felici di quelle righe, guardiane magnanime a trattenere in un eterno presente le parole.Lucenti e cariche come uccelli in volo verso il sole, verso luoghi meravigliosi e mitici perché sconosciuti alla vista. Parole nate negli anni in cui il mondo sembra ai propri piedi, piegato in ginocchio davanti alla potenza dei vent’anni. E proprio sulle parole esita il pensiero.
Quand’è che si possono dire “perdute” le parole? Lo sono davvero quelle lontane dagli occhi?
Qual è il loro destino? Dove vanno a morire dopo averle dette?
Quelle che restano si possono dire vive? Questo sì. Ne sono certo.
Questo sì. Perché la vita delle parole non è il fiato che le genera; la vita delle parole è la memoria di chi le riceve.
Le parole sono il corpo vivente della memoria, di cui le immagini sono l’anima.Così, immerso in questi pensieri, impregnato dal miracolo di aver innestato il tempo liquido della bellezza nel tempo solido della fatica; , a rileggere vecchie lettere d’amore. Salvate dalle mani avide di una tecnologia che consuma il presente, nascoste agli occhi degli uomini il tempo necessario a renderle splendenti.
Lettere d’amore.
Di quando l’Amore era pulito e leggero come neve, fresco, libero, profumato; prima che la Vita lo educasse coi suoi modi rudi, prima che la Vita gli insegnasse come nascondersi, come mascherarsi. Prima di sentire il cuore tossire polvere, la notte.
Lettere di un Amore immacolato, come non ce ne sono stati più; di cui tutti gli altri sembrano copia sbiadita.Le lettere d’amore che ancorano il cuore al sogno ed alla realtà che, seppure per qualche istante, gli somiglia.
Giampaolo Giudice