In merito alle società di comodo il comma 4-bis, dell’articolo 30 L. 724/1994, prevede, in presenza di situazioni oggettive, la possibilità di presentare all’Amministrazione Finanziaria istanza di interpello diretta a ottenere la disapplicazione della disciplina. Con riferimento alle società immobiliari esiste una possibilità concreta per disapplicare la normativa delle società di comodo, nel caso in cui i ricavi dichiarati siano congrui rispetto ai valori risultanti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare “OMI”. La Corte di Cassazione con la sentenza 2785/2021 ha confermato la possibilità di prendere in considerazione anche i ricavi provenienti dai beni non iscritti nelle immobilizzazioni assunte a riferimento per la stima dei redditi presunti.
L’articolo 30 della Legge 724/1994 stabilisce un ammontare di ricavi minimi, assunto in base a determinate percentuali applicate ai valori dell’attivo patrimoniale e determinato in via presuntiva. La medesima norma prevede l’imputazione di un reddito minimo ai fini IRES e ai fini IRAP, anch’esso determinato in via presuntiva, alle società che non hanno realizzato un ammontare di ricavi almeno pari a quello dei ricavi presunti.
Il comma 36-decies, dell’articolo 2 D.L. 138/2011, ha introdotto una nuova presunzione di non operatività che prescinde dai requisiti menzionati, si tratta delle società in perdita sistemica.
In particolare, tale disposizione prevede che le società, che hanno conseguito per cinque periodi di imposta consecutivi una perdita fiscale, devono essere considerate non operative e, quindi, ricadere nella disciplina delle società di comodo.
Il D.L. 21 giugno 2022, n. 73 cancella la normativa sulle società in perdita sistematica, a decorrere dal periodo d’imposta 2022, pertanto il monitoraggio e l’applicazione per l’anno 2021 permane.
La finalità delle disposizioni citate è quella di disincentivare il ricorso a strutture societarie che costituiscono meri centri di imputazione di costi per beni destinati all’utilizzo da parte dei soci o di terzi, senza un collegamento diretto con l’attività di fatto esercitata.
Pertanto possiamo avere 2 categorie di società di comodo, ovvero Società non operative, cioè quelle che non raggiungono il limite di ricavi presunto; Società in perdita sistematica, cioè società che conseguono in un quinquennio perdite fiscali o conseguono in quattro anni perdite fiscali e nel quinto anno non arrivano al reddito minimo delle società di comodo.
Quando una società non supera il test di operatività e risulta di comodo ha come conseguenze l’imposizione di un reddito minimo e le limitazioni al recupero dell’eventuale credito IVA.
La situazione emergenziale dovuta alla pandemia causata dal COVID19 non costituisce una causa esimente dall’applicazione della normativa in esame, infatti il Ministero dell’economia e delle finanze, in risposta all’interrogazione dell’8 settembre 2021, n. 5-06627 ha ritenuto che nessuna sospensione o alleggerimento dell’applicazione della normativa sulle società di comodo possa essere automaticamente concessa in ragione della crisi economica dovuta alla pandemia da Covid-19.
Il legislatore ha cercato di mitigare gli effetti della normativa che resta pur sempre di carattere presuntivo, prevedendo delle cause di esclusione o di disapplicazione.
Le cause di esclusione, che valgono sia per le società non operative sia per quelle in perdita sistematica, sono indicate dall’articolo 30 L. 724/1994. Sono esclusi dalla normativa speciale in materia di società di comodo i soggetti obbligati a costituirsi sotto forma di società di capitali; i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; le società in amministrazione controllata e straordinaria; le società quotate, società che controllano società quotate, nonché società controllate, anche indirettamente, da società quotate; le società esercenti pubblici servizi di trasporto; le società con un numero di soci non inferiore a 50; le società
che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiori alle 10 unità; le società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa e in concordato preventivo; le società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione superiore al totale dell’attivo dello Stato patrimoniale; le società partecipate da enti pubblici nella misura minima del 20%; le società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.
Ove non operino le precedenti cause di esclusione sarà possibile fare riferimento alle cause di disapplicazione individuate dell’agenzia delle entrate ai sensi del comma 4-ter, dell’articolo 30 L. 724/1994 dal Provvedimento 87956/2012, che ha previsto le seguenti cause di disapplicazione, riferite alle società in perdita sistemica. Nella fattispecie, le società in stato di liquidazione che, con impegno assunto in dichiarazione dei redditi, richiedono la cancellazione dal registro delle imprese entro il termine di presentazione della successiva dichiarazione dei redditi; le società assoggettate a procedure concorsuali; le società sottoposte a sequestro penale o a confisca in determinate fattispecie; le società che detengono partecipazioni, iscritte esclusivamente tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore economico sia prevalentemente riconducibile a società considerate non in perdita sistematica, ovvero a società escluse dall’applicazione della disciplina società in perdita sistemica, nonché a società estere CFC; le società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistemica in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza, che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta successivi; le società che conseguono un margine operativo lordo (MOL) positivo; le società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza; le società per le quali risulta positiva la somma algebrica della perdita fiscale di periodo e degli importi che non concorrono a formare il reddito imponibile per effetto di proventi esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative; le società che esercitano esclusivamente attività agricola; le società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore; le società che si trovano nel primo periodo di imposta.
Sempre in merito alle cause di esclusione dall’applicazione delle società non operative, il provvedimento 143350/2022 delle Entrate ha definito i benefici premiali previsti dall’articolo 9-bis, comma 11 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, che prevede uno specifico regime premiale con riferimento ai contribuenti per i quali si applicano gli ISA previsti dal comma 1 del medesimo articolo 9-bis.
E’ prevista infatti l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle società non operative per il periodo d’imposta 2021 quando si raggiungano i seguenti livelli di affidabilità: a) ai contribuenti con un livello di affidabilità almeno pari a 9 per il periodo di imposta 2021; b) ai contribuenti che presentano un livello di affidabilità medio, per i periodi d’imposta 2020 e 2021, almeno pari a 9.
Il comma 4-bis, dell’articolo 30 L. 724/1994, prevede, in presenza di situazioni oggettive, la possibilità di presentare all’Amministrazione finanziaria istanza di interpello diretta a ottenere la disapplicazione della disciplina.
In merito alle società immobiliari esiste una possibilità concreta per riuscire a disapplicare la normativa delle società di comodo che si rinviene analizzando alcuni interventi di prassi dell’Agenzia delle Entrate. In particolare con la circolare n. 5/E del 2 febbraio 2007, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, in riferimento alle società immobiliari (paragrafo n. 4.5), che: è consentito disapplicare la normativa sulle società non operative in presenza di particolari situazioni oggettive quali, ad esempio, la “2. dimostrata impossibilità, per la società immobiliare, di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il “test di operatività” ovvero per conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto. Ciò si verifica, ad esempio, nei casi in cui i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli di mercato, determinabili ai sensi dell’art. 9 del
TUIR”; e che “le oggettive situazioni sopra elencate potranno essere fatte valere, ai fini della disapplicazione della disciplina in commento, anche da società o enti non immobiliari, in relazione a determinati immobili dai medesimi posseduti”.
Successivamente con la circolare n. 25/E del 2007, paragrafo 8, l’Agenzia delle Entrate ha ulteriormente precisato che: “Per la determinazione del valore di mercato dei canoni di locazione si potrà fare riferimento ai valori (espressi in euro per mq al mese) riportati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare …”.
Con la risposta n. 68 del 20.02.2019 l’Agenzia delle Entrate ha accolto le medesime argomentazioni concludendo come segue: “Ciò premesso, , sulla base delle dichiarazioni e delle affermazioni dell’istante, nonché dell’analisi del contenuto dell’istanza di interpello e dei suoi allegati e della documentazione integrativa, sinteticamente riportate nell’esposizione del quesito, la scrivente fornisce parere positivo per il periodo d’imposta 2019 alla disapplicazione dell’articolo 30 della legge n. 724 del 1994”.
L’utilizzo dell’interpello nel caso di valori dei canoni di locazione di società immobiliari congrui rispetto ai valori OMI rappresenta una concreta possibilità per uscire dal regime delle società di comodo.
Sempre nel settore immobiliare è interessante la sentenza della Corte di Cassazione n. 2785 del 2021. La Suprema Corte prima esamina l’aspetto relativo alla corretta classificazione contabile degli immobili statuendo che: “con specifico riferimento agli immobili, la disciplina antielusiva sulle società non operative contempla i terreni e i fabbricati e gli stessi rilevano ai fini del calcolo dei ricavi minimi presunti solo ed esclusivamente se iscritti in bilancio fra le immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole, mentre non assumono rilevanza a tali fini i c.d. immobili merce, ossia quelli che, in quanto destinati alla vendita, sono iscritti nell’attivo circolante fra le rimanenze: questi ultimi, quindi, non rientrano nel test di operatività, a condizione che la classificazione fra gli immobili merce sia improntata a corretti principi contabili. Ciò impone di ritenere che la classificazione dell’immobile fra i beni del circolante, anziché fra le immobilizzazioni, deve essere motivata dalla effettiva destinazione alla vendita, dovendosi includere nel test di operatività gli immobili che, sebbene iscritti fra le rimanenze, risultino oggetto di locazione a terzi da lungo tempo.”
La sentenza affronta il caso di utilizzo di unità abitative rimaste non locate ritenendo che le stesse vadano classificate in bilancio in base ai corretti principi contabili con riferimento alla singola identificazione catastale. Ciò comporterà che gli immobili temporaneamente locati, anche se effettivamente destinati alla vendita, si dovranno includere nel test delle società di comodo anche se iscritti nelle rimanenze, qualora la locazione sia a lungo termine.
Nella stessa sentenza la Corte di Cassazione affronta il tema dei ricavi evidenziando che: “per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio, occorre tenere conto: per i ricavi, della somma degli importi risultanti dalle voci A1 e A5 dello schema di conto economico previsto dall’art. 2425 c.c., (ossia “ricavi delle vendite e delle prestazioni”, “altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio”); per gli incrementi di rimanenze, della somma delle variazioni positive delle voci A2, A3 e B11 (ossia “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, “variazioni dei lavori in corso su ordinazione”, “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie di consumo e merci”). L’ammontare delle predette voci va assunto così come risulta dal conto economico anche quando il relativo importo deriva dalla somma algebrica di sottovoci con opposto segno algebrico”.
Sono diverse le sentenze della suprema corte depositate che hanno affrontato il delicato tema del settore immobiliare. La sentenza in oggetto dapprima richiama la Cass. 24/01/2022, n. 1898 osservando che “La disciplina opera su due diversi livelli.
Ad un primo livello, fornisce la definizione di “non operatività” degli enti (cd. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall’attività d’impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, delle partecipazioni e delle altre immobilizzazioni della società.
Ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test di operatività, scatta la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti (…)” (Cass. 24/01/2022, n. 1898).
Ripercorrendo quanto già statuito dalle Cass. 24/02/2021, n. 4946 e Cass. 28/09/2021, n. 26219 la sentenza conferma che:
La presunzione legale relativa di non operatività, può essere superata dimostrando: 1. l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica giacche’ il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; 2. dando prova delle circostanze che determinino la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale anche se il test di operatività non viene superato.
Tale conclusione, del resto, appare coerente con la formula “salvo prova contraria”, inserita già nell’articolo 30, comma 1 (applicabile ratione temporis), a prescindere dal successivo comma 4-bis.
Nel caso di specie la Cassazione afferma che “ non è sostanzialmente in contestazione che i contratti di locazione commerciale in questione fossero sottoposti alla disciplina vincolante della L. 27 luglio 1978, n. 392, articoli 27, 28 e 29 che imponeva la durata minima di sei anni di ciascuno dei due contratti ed il loro rinnovo tacito per mancata disdetta; ne’ è specificamente contestata l’assenza dei motivi che avrebbero potuto legittimare quest’ultima, da parte del locatore, alla prima scadenza contrattuale”.
Viene definita “carente sotto diversi profili” quanto sostenuto dalla CTR ovvero che tale situazione non rileverebbe ai sensi del ridetto comma 4-bis in quanto i canoni convenuti non sarebbero congrui, ma antieconomici, con riferimento alla tipologia degli immobili locati, non essendo sufficiente valutarne la coerenza rispetto ai valori o.m.i.., come dedotto dalla società.
L’argomentazione della CTR è definita “ambigua, e comunque non specifica, in ordine all’individuazione del momento rispetto al quale valutare la congruità economica dei canoni, che, sul presupposto incontestato della disciplina vincolata del rinnovo dei contratti e della vigenza nell’anno d’imposta accertato, deve essere quello della stipula iniziale”… “E del resto anche questa Corte, in un caso nel quale la società aveva precisato che gli importi delle locazioni immobiliari non risultavano sufficienti al superamento del cd. test di operatività,
ma erano compresi nel range dei valori o.m.i., ha sottolineato che, comunque, il giudice del merito aveva accertato, in punto di fatto, che si trattava comunque di un canone congruo rispetto alle condizioni di mercato e del tutto remunerativo (Cass.24/01/2022, n. 1898”.
Risulta, pertanto, evidente che nel calcolo dei ricavi effettivi, debbano essere presi in considerazione anche i ricavi provenienti dai beni non iscritti nelle immobilizzazioni assunte a riferimento per la stima dei redditi presunti.”
Ciò rappresenta un’altra interpretazione corretta e che può consentire di “uscire” dalla normativa delle società di comodo includendo tra i ricavi anche quelli che derivano da beni che non sono a loro volta rilevanti nel calcolo dei redditi presunti.