La nuova Ministra della Giustizia si è insediata. Marta Cartabia, prima donna Presidente della Corte Costituzionale e professoressa di diritto Costituzionale all’Università Bocconi. Il problema che dovrà essere sottoposto alla sua attenzione è la presunta pericolosità del suo libro “Un’altra storia inizia qui”, pubblicato dalla Bompiani qualche mese fa e scritto con il criminologo Adolfo Ceretti. L’opera letteraria in questione è oggetto di una triste vicenda arrivata anche al parlamento con una interrogazione parlamentare del deputato Giacchetti. Il libro analizza e riflette sul sistema carcerario e delle pene e sull’istituto del carcere e prende le mosse dagli studi e riflessioni del cardinale Carlo Maria Martini. Il libro di Cartabia e Ceretti è stato richiesto in lettura da un detenuto sottoposto al regime di 41-bis nel carcere di Viterbo unitamente ad altro volume di Luigi Manconi, politico e sociologo, e Federica Graziani, studiosa di filosofia e letteratura, “Per il tuo bene ti mozzerò la testa – Contro il giustizialismo morale”. Il Magistrato di Sorveglianza del carcere ha rifiutato i libri in questione in quanto il testo di Cartabia e Ceretti: “Darebbe più carisma criminale al detenuto” mentre quello di Manconi e Graziano” comporterebbe una sorta di privilegio”. Tale decisone lascia perplessi. Il Magistrato di sorveglianza forse ha temuto che “sono la più forte contraddizione delle sbarre, i libri. Al prigioniero steso sulla branda spalancano il soffitto” (Erri D Luca). La giurisprudenza della Corte Costituzionale sul tema è costante e univoca, affermando il diritto dei detenuti, anche se sottoposti a regime speciale, “a ricevere e a tenere con sé pubblicazioni di loro scelta”; e che il controllo dell’amministrazione su quelle stesse pubblicazioni non deve tradursi in “lungaggini e barriere di fatto” che penalizzino “le legittime aspettative del detenuto”. Il sistema penitenziario italiano è al collasso e di certo non deve essere sottoposto a queste inutile ed incostituzionali problematiche. L’art. 27 della costituzione è chiaro: la pena è rieducativa. Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Dostoevskij).