L’offensiva turca contro i curdi è un insulto al mondo

Non ci sono, forse, altri termini adatti a definire la pericolosa iniziativa di Ankara. Un insulto, un vero e proprio smacco al resto della comunità internazionale e ai valori che, nonostante tutto, l’hanno tenuta insieme negli ultimi settant’anni. E si tratta di un insulto, principalmente, perché finora nessun attore politico di rilievo sembra essere stato in grado di mettere freno all’azione militare turca: questo, si intende, quando la posizione non è stata di aperto supporto, come nel caso della Spagna che promette aiuti a Erdogan e soci. Gli Stati Uniti, come il più classico dei Ponzio Pilato, se ne sono lavati le mani nelle parole del presidente Trump, che ha poi giustificato goffamente la propria decisione di abbandonare gli alleati curdi, affermando che questi non avessero aiutato l’America nella Seconda guerra mondiale.Ed è proprio alla Seconda guerra mondiale che va il pensiero: quando l’Onu non esisteva e l’aggressione indiscriminata alle nazioni vicine era un’eventualità che poteva sempre verificarsi – e spesso lo faceva. Richiama il dramma nazista anche l’entità dell’odio che i turchi provano da sempre per la popolazione curda, un vero e proprio nemico da sterminare per eliminarne ogni ambizione sulle regioni sud-orientali della Turchia. I curdi, si può ben temere adesso, non solo si vedranno privare del proprio diritto all’autodeterminazione in uno Stato, il Kurdistan, da sempre agognato; è sensato credere che si assisterà, forse nell’impotenza, a una serie di crimini di guerra più o meno mascherati e volti a ridurre la presenza curda nelle aree di interesse turco.

Fortunatamente, non esistono solo Usa e Spagna: il resto d’Europa, se non del mondo, si dice scandalizzato e promette conseguenze e coinvolgimento delle Nazioni Unite, oltre che un prevedibile allontanamento di Ankara dall’entrata nell’Ue. Ma quanto si potrà davvero concludere? Al di là di piccoli ricatti sull’invio dei migranti in Europa, che difficilmente avranno seguito, non bisogna dimenticarsi che la Turchia è la seconda potenza militare della Nato, della quale fa parte in ottica anti-russa e principalmente per la strategica vicinanza a Mosca. In passato, il piazzamento di testate nucleari in Turchia è stato visto come uno dei più efficaci deterrenti contro l’Unione Sovietica, e considerato diretto corrispettivo dei missili russi a Cuba. Tanto che l’accordo sullo smantellamento fra Kennedy e Khrushchev riguardò proprio Cuba e Turchia.

Oggi, la situazione è diversa ma non troppo: la Nato è sì, spesso e volentieri, in discussione, ma la minaccia russa è sempre presente e tende anzi a farsi più insistente a partire dagli ultimi anni. La Turchia, in alterni rapporti di amicizia e inimicizia tanto con Washington che con Mosca, è una dama volubile il cui corteggiamento efficace può facilitare di molto le cose sul piano geopolitico.

C’è da sperare, però, che nessuna ragion di Stato sia abbastanza forte da giustificare l’attacco contro i curdi, né tra i paesi Nato e tantomeno all’esterno di questa. Le parole servono a poco. La Siria si infiamma di nuovo e, almeno questa volta, occorre evitare l’avvento di una nuova, lunga, sanguinosa carneficina.

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