Navajo Bill», il suo vero nome era Wilfred Billey ed era un pellerossa di una delle tribù native dell’Arizona e del New Mexico è morto all’età di 90 anni.Negli Stati Uniti era considerato una leggenda di guerra, anche se lui, come tutti i veterani ritornati dal fronte, ci teneva a dirlo: «Non sono un eroe». Arruolatosi nell’esercito degli Stati Uniti, finì a combattere con il corpo dei marines sul fronte del Pacifico, durante l’ultimo conflitto mondiale. Anche lui aggregato a quel corpo di nativi americani che risultò una delle «armi segrete» nelle battaglie, atollo per atollo, da Tarawa a Okinawa, combattute contro i giapponesi. L’idea originaria fu diPhilip Johnston, il quale propose ai Marines degli Stati Uniti di usare la lingua Navajo, all’inizio della seconda guerra mondiale. Johnston, veterano della prima guerra mondiale, era cresciuto nella riserva Navajo come figlio di un missionario e fu uno dei pochi non-Navajo a parlare fluentemente la loro lingua. Dato che la lingua Navajo possiede una grammatica molto complessa, non si riesce ad avere una mutua intelligibilità con nessun’altra lingua, nemmeno con gli altri idiomi della famiglia Na-Dené, senza contare che la lingua Navajo, oggi, è praticamente solo una lingua orale. In questo senso Johnston riconobbe nei Navajo la soluzione alla richiesta dei militari di trovare un codice indecifrabile. La lingua Navajo viene parlata solo nelle terre Navajo del sud-est degli Stati Uniti e la sua sintassi e la qualità dei toni, non menzionando i dialetti, fanno di essa una lingua non comprensibile ad alcuno senza un’esposizione prolungata ed un insegnamento della lingua stessa. Una stima indica che allo scoppio della seconda guerra mondiale poco più di 30 non-Navajo, nessuno di essi giapponese, potevano comprendere la lingua Navajo.All’inizio del 1942, Johnston incontrò il maggior generale Clayton B. Vogel, il comandante generale dei Corpi Anfibi, della Flotta del Pacifico statunitense, con il suo staff. Johnston fece dei test simulando delle condizioni di battaglia che dimostrarono che i Navajo potevano cifrare, trasmettere e decifrare un messaggio di tre righe, in inglese, in appena 20 secondi, contro i 30 minuti richiesti da una macchina dell’epoca. Il generale Vogel accettò di reclutare 200 Navajo nei Marines. I primi 29 reclutati erano già in addestramento nel maggio 1942. Il primo gruppo di Navajo creò il codice Navajo, presso Camp Pendleton, Oceanside, California.[13] Il codice Navajo fu ufficialmente sviluppato e modellato secondo il “Joint Army/Navy Phonetic Alphabet”, precursore dell’alfabeto fonetico NATO, che associava alle lettere dell’alfabeto inglese a delle parole in lingua inglese. Come è stato dimostrato, a fare lo spelling a voce di tutti i termini, lettera per lettera, si impiega troppo tempo, così furono usate parole identificative per alcuni termini, concetti, tattiche e strumenti della guerra moderna (come “patata” per le bombe a mano o “tartaruga” per i corazzati). Alcuni di queste parole entrarono a far parte del vocabolario dei Marines e sono comunemente usate ancora oggi per riferirsi agli oggetti a cui fanno riferimento.Ne risultò un indiscusso successo bellico, il quale investì l’intera comunità nativa Navajo, per via dei suoi preziosissimi uomini, improvvisamente rivalutati dallo stesso Stato che li aveva rinchiusi in riserve solo pochi decenni prima. Abitudine così squisitamente americana, questa, ripetuta più volte nel corso della sua storia marziale.L’impiego dei code talker Navajo continuò per tutta la guerra di Corea e dopo, quando fu messa da parte nei primi anni della guerra del Vietnam.