Non riposano in pace

Ai funerali di Stato indetti dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, furono solo 18 i feretri esposti, invece delle 38 vittime causate. Molti familiari avevano preferito i funerali in forma privata. Non volevano passerelle, ma solo verità. Arrabbiati e indignati di fronte al sospetto che una qualche forma di negligenza fosse stata determinante e che quelle che stavano apparendo vittime del fato crudele, fossero in realtà uomini e donne ammazzati dallo inadempienze dello stato o, peggio ancora, dalla delinquenza organizzata che degli appalti truccati ha fatto un metodo di lavoro. Dubbi sulla costruzione, dubbi sulla manutenzione, dubbi che avevano ed hanno ancora poco a che fare con il destino e molto con la mano dell’uomo. E mentre l’inchiesta in atto cerca di scoprire la verità, la longa manus della camorra si è infiltrata anche nei lavori post crollo. Solo un caso o può esistere un legame con i motivi che hanno causato il cedimento strutturale? In attesa che si faccia luce, è stato il prefetto Fiamma Spena ad emettere un’interdittiva antimafia notificata poi dalla Dia alla Tecnodem Srl unipersonale con sede a Napoli, ditta impegnata nelle attività di demolizione connesse alla ricostruzione del ponte Morandi. La stessa è, infatti, ritenuta permeabile ed esposta al pericolo di infiltrazione mafiosa. L’azienda in questione che si occupa di demolizione industriale di materiale ferroso, lo scorso febbraio, è stata inserita tra le ditte sub-appaltatrici per la demolizione e la bonifica degli impianti tecnologici, per una cifra pari a 100 mila euro. Il committente è la Fratelli Omini Spa. La cosa singolare è che amministratrice e socio unico della Tecnodem sia Marigliano Consiglia e il fatto di essere priva di titoli o esperienze professionali nel settore, è passato in secondo piano rispetto a quello di essere consuocera di Ferdinando Varlese, pluripregiudicato 65enne della città partenopea, domiciliato a Rapallo e dipendente della società stessa. Tra le condanne riportate dal Varlese -come si legge nella nota-è presente la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli nel 1986 per associazione a delinquere insieme ad affiliati del clan Misso-Mazzarella-Sarno, appartenente all’organizzazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”, con Zaza Michele e suo nipote Mazzarella Ciro come boss di riferimento. Altra sentenza rilevante, sempre della Corte d’appello di Napoli, questa volta nel 2006, per estorsione tentata in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità “mafiose”, da cui si evidenziano i legami di Varlese con il sodalizio camorristico “D’Amico”, a cui risulta legato da rapporti di parentela. La strada per potersi affrancare da questo stato di cose è lunga e tortuosa. Un primo passo sarebbe poter fare giustizia, concedendo la possibilità ai morti di riposare in pace ed ai loro congiunti di trovare un po’ di pace. Come la gramigna, la criminalità organizzata, si riproduce e sembra non dover morire mai, ma attecchisce soprattutto dove, chi dovrebbe tutelare i cittadini, non vigila a dovere, rendendosi complice insieme alla classe politica ed alla mafia di omicidi che, non è azzardato ascrivere tra quelli premeditati.

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