Ti è mai capitato di parlare con un tuo amico di un argomento e qualche giorno dopo su Facebook ti compare “stranamente” un’inserzione a tema?
Tipo che racconti ai tuoi amici di un viaggio da fare in una determinata città e che poi sia capitata una cosa davvero strana, ma strana strana, e cioè che dopo qualche ora sui social tra i consigli pubblicitari sia apparso tra le inserzioni i voli o gli alberghi per quella meta?
A più di qualche persona questa cosa è successa davvero, e c’è da dire che in fin dei conti non è una proprio una semplice coincidenza, anche se però non dobbiamo credere di esser dei paranoici se i nostri cellulari crediamo ci origlino.
Secondo Peter Hannay (consulente di cybersicurezza presso l’agenzia Asterisk e professore all’Università Edith Cowan in Australia) la conclusione è che i nostri telefonini ci ascoltano, ma forse in modo meno allarmante di quanto crediamo.
Per ascoltare e registrare le tue conversazioni lo smartphone deve ricevere un input, proprio come quando attivi Siri oppure Okay Google.
In mancanza di questo segnale, qualsiasi dato raccolto può essere processato solo all’interno del tuo telefono.
Per quanto innocuo tutto questo possa sembrare in realtà qualsiasi app presente sul tuo cellulare (e tra queste Facebook) ha accesso a questi dati rivelati “involontariamente”, e starà poi a loro decidere se utilizzarli o meno.
«A volte certi stralci di audio vengono inviati ai server, ma non c’è chiarezza su quali siano i fattori scatenanti di questo invio – spiega Peter – e non è chiaro se avvenga in base all’orario, alla posizione o all’attivazione di determinate funzioni. Quello che è certo è che le app sfruttano periodicamente l’accesso al microfono, e i dati vengono inviati in forma criptata, quindi è molto difficile stabilire quale sia la causa scatenante».
Peter illustra che app come Facebook o Instagram potrebbero essere programmate per attivare l’acquisizione di dati con migliaia di segnali diversi, e una normalissima conversazione tra amici sull’acquisto di un paio di jeans potrebbe essere sufficiente.
Anche se il beneficio del dubbio in questo caso è d’obbligo, visto che aziende come Facebook negano fermamente di ascoltare le nostre conversazioni.
Peter racconta anche che «Google non lo nasconde, quindi non mi sorprenderebbe che altre aziende stessero facendo la stessa cosa, non vedo perché non dovrebbe essere così. Dal punto di vista del marketing è una strategia sensata, gli accordi di utilizzo dei dati e la legge lo consentono, quindi personalmente credo che anche altre aziende lo facciano, ma non possiamo averne la certezza».
Come spiega Peter, sebbene nessun dato sia sicuro al 100% per l’eternità, nel 2018 nessuna azienda vende i propri dati agli inserzionisti, ma sappiamo bene che gli inserzionisti non hanno bisogno dei nostri dati per farci visualizzare gli annunci.
Piuttosto che vendere agli inserzionisti i dati degli utenti in target le aziende che gestiscono i social network si fanno pagare dai brand e assicurano loro che l’annuncio verrà visualizzato dal loro target di riferimento e da chiunque possa essere interessato al prodotto.
«È una sorta di estensione della vecchia pubblicità in televisione» secondo Peter, solo che ora invece di analizzare il pubblico della prima serata tutti sono concentrati sull’analisi delle nostre abitudini online.