IL PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO AZIENDALE

Le nuove regole potenziano il piano attestato limitando alla sola ipotesi di dolo o colpa grave la revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione.

Le nuove regole sulla crisi di impresa prevedono una disciplina autonoma del piano attestato di risanamento, inserito tra gli strumenti di regolazione della crisi cui gli imprenditori possono ricorrere per recuperare l’equilibrio economico finanziario e la continuità aziendale. Lo strumento viene potenziato grazie al rafforzamento della protezione per gli atti compiuti in sua applicazione contro l’azione revocatoria – anche ordinaria – limitando la successiva azione contro gli atti compiuti alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.

Il piano attestato di risanamento è uno strumento per la soluzione della crisi già previsto dalla Legge fallimentare (in breve l.f. – RD 267/1942) che il CCII disciplina in maniera autonoma. Nella legge fallimentare l’art. 67 co. 3 lett. d), introdotto dal DL 35/2005, si limitava a disporre esclusivamente degli effetti del piano attestato di risanamento, prevedendo l’esclusione dalla revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie concesse su beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione del piano attestato, qualora (il piano) appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. L’art. 217-bis l.f., introdotto successivamente dal DL 83/2012, aveva stabilito un ulteriore incentivo all’utilizzo del piano attestato di risanamento, stabilendo che gli atti compiuti in esecuzione del piano sono esenti dai reati di bancarotta di cui agli artt. 216, co. 3 (bancarotta fraudolenta) e 217 (bancarotta semplice) l.f.

Prima del CCII, quindi, la disciplina generale del piano attestato di risanamento e suo contenuto era stata individuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, mancando una disciplina di diritto positivo.

Il CCII attribuisce al piano attestato diversa importanza e dignità, inserendolo tra gli strumenti per la regolazione della crisi con autonoma disciplina a disposizione degli imprenditori per il recupero dell’equilibrio e la continuità aziendale.

Il piano attestato di risanamento trova collocazione tra gli strumenti di regolazione della crisi. Nella fattispecie, nella Parte I – Codice delle Crisi di impresa e dell’insolvenza, Titolo IV – Strumenti di regolazione della crisi, Capo I – Accordi, Sezione I – Piano attestato di risanamento, Art. 56 – Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento.

Il CCII attribuisce, quindi, un’autonomia normativa e specifica collocazione al piano attestato di risanamento, inserendolo per primo tra gli strumenti di tipo negoziale previsti per la risoluzione della crisi disciplinati al Titolo IV.

La norma dell’art. 56 CCII si riferisce all’esecuzione dei piani attestati di risanamento i cui atti godono di specifica garanzia, non essendo soggetti ad azione revocatoria. Pertanto, lo strumento (aveva) e mantiene un interesse per i suoi effetti che, esentando gli atti da revocatoria, possono consentire e facilitare il raggiungimento di accordi idonei a risanare l’impresa.

Tuttavia, l’art. 56 CCII, diversamente da quanto stabiliva la legge fallimentare disciplina in positivo il piano attestato di risanamento, le cui conseguenze in termini di esenzione da revocatoria e da reati trovano disciplina in altri articoli del CCII, precisamente negli artt. 166, co. 3 lett. d) e 324 CCII rispettivamente.

L’art. 56 CCII disciplina il piano attestato di risanamento relativamente a: Scopo dello strumento, Soggetti cui si rivolge, Natura volontaria e stragiudiziale, Condizioni oggettive che ne rendono possibile l’applicazione, Legittimazione attiva, Contenuto del piano e gli allegati, Formalità obbligatorie ed eventuali.

L’utilizzo del piano attestato di risanamento presenta diversi benefici quali l’esclusione dall’azione revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione, come espressamente previsto dall’art. 166, co. 3 lett. d)

CCII; l’esenzione dai reati di bancarotta semplice, di cui all’art. 322 co. 3 CCII, e fraudolenta, di cui all’art. 323 CCII, per pagamenti e operazioni compiute in esecuzione del piano attestato, come prevede l’art. 324 CCII; l’esenzione dalla responsabilità penale ai sensi dell’art. 324 CCII, nel caso la crisi venga definita con procedure diverse dalla liquidazione giudiziale quali il concordato preventivo, accordi a efficacia estesa e convenzione di moratoria, che comunque prevedono le ipotesi di reato di bancarotta semplice e fraudolenta; l’esclusione da tassazione delle sopravvenienze attive conseguenti alla rinegoziazione dei debiti in esecuzione di piani attestati di risanamento, ai sensi dell’art. 84 co. 4 TUIR.

Gli effetti di maggior rilievo per cui diviene utile ricorrere al piano attestato di risanamento, ossia la stabilità degli atti posti in essere in esecuzione del piano e l’esenzione dai reati di bancarotta, trovano applicazione quando il risanamento non si realizza (ex post).

Lo strumento, dunque, ha una sua autonomia nella misura in cui facilita il raggiungimento di accordi, non soggetti poi all’azione revocatoria e alle ipotesi di reato di bancarotta, ma la sua finalità è ovviamente il risanamento non certamente le richiamate esclusioni che operano proprio nel caso il salvataggio attraverso il piano non si raggiunga. In altri termini le esenzioni dovrebbero facilitare il raggiungimento di accordi idonei a risanare l’impresa, in quanto nel caso il risanamento non abbia successo, gli atti compiuti in esecuzione del piano – apparentemente idoneo a consentire il risanamento e assicurare il riequilibrio al momento della sua predisposizione – restano fermi e garantiti contro eventuali azioni revocatorie nelle fasi di liquidazione giudiziale.

Il piano attestato rappresenta una via per la soluzione della crisi di impresa che l’imprenditore può volontariamente seguire. Lo strumento non presenta i caratteri di una procedura concorsuale, in quanto manca sia una procedura giudiziale, sia il concorso dei creditori.

La mancanza della procedura trova ragione nel fatto che non vi è alcun intervento giudiziale in termini di valutazione e controllo, in quanto il piano formalizza le convenzioni stragiudiziali raggiunte, espressione delle scelte delle parti e della loro libertà contrattuale, nonché i relativi impatti economici- finanziari e patrimoniali. L’intervento del tribunale è meramente eventuale, nel caso si arrivi alla liquidazione e vengano esperite azioni revocatorie che possono produrre effetti, sugli atti posti in essere in esecuzione del piano, nell’ipotesi venga costata la manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati (infra).

Il piano attestato resta quindi un documento tra privati, potenzialmente riservato nel caso si decida di non darne pubblicità, lasciando all’imprenditore la piena titolarità e autonomia gestionale e sul patrimonio aziendale.

Il CCII lo colloca proprio tra gli strumenti di regolazione della crisi ma che prevedono il raggiungimento di accordi, senza incidere sui diritti dei creditori se non in maniera concordata e negoziale.

Rispetto agli altri strumenti in cui è necessario l’intervento del tribunale il piano non consente: di estendere gli effetti delle pattuizioni ai creditori estranei agli accordi, la protezione del patrimonio, la dilazione nei pagamenti ai creditori estranei, deroghe alla disciplina societaria in materia di perdite del capitale sociale, di accedere ai benefici in tema di prededuzione per i finanziamenti.

Il piano espone gli aspetti qualitativi e quantitativi dell’accordo o accordi raggiunti con uno o più creditori per il rinegoziare dei debiti, idonei a consentire il risanamento aziendale, il recupero degli equilibri finanziari ed economici e, quindi, la continuità. Il contenuto del piano deve poi superare lo scrutinio del professionista indipendente tenuto ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano.

Il piano si compone quindi idealmente delle fasi illustrate nei seguenti tre punti, che non necessariamente seguono un ordine temporale preciso. Potrebbe infatti essere ben possibile che l’imprenditore raggiunga

un accordo preliminare con uno o più creditori, condizionato all’asseverazione del Piano di risanamento, pronto soltanto in bozza o come progetto di piano al momento dell’accordo preliminare. Successivamente viene finalizzato il Piano e sottomesso all’attestatore il quale potrebbe evidenziare la necessità di apporre alcune modifiche. Ciò potrebbe rendere necessario ritrattare con i creditori gli accordi preliminari raggiunti, modificare alcuni termini e, quindi, riavviare il processo di pianificazione con le modifiche concordate e poi ripassare attraverso il vaglio dell’asseverazione.

1) Predisposizione del Piano secondo i principi di redazione dei piani di risanamento: Piano elaborato dal debitore che appaia idoneo a superare lo stato di crisi o di insolvenza in cui si trova ed assicuri il riequilibrio della situazione finanziaria; 2) Accordi: Raggiungimento di accordi che consentono di risanare la debitoria e il riequilibrio della situazione economico finanziaria; 3) Attestazione: Resa da un professionista indipendente sulla veridicità dei dati e dalla fattibilità economica.

La norma prevede che l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria.

La disposizione si riferisce all’imprenditore in generale, senza specificare se deve essere un’impresa fallibile o quanto meno commerciale. Ciò ha fatto sorgere dubbi circa il possibile utilizzo dello strumento da parte di tutti gli imprenditori, anche agricoli o sottosoglia, ossia non soggetti alla liquidazione giudiziale. Una possibile interpretazione porterebbe a considerare precluso l’utilizzo del piano attestato agli imprenditori non soggetti alla liquidazione giudiziale, in quanto il beneficio dell’esclusione dall’azione revocatoria trova applicazione solo nell’ipotesi in cui si apra la liquidazione giudiziale. Il richiamato orientamento trova limiti nel fatto che il piano si inserisce nel novero degli strumenti di risoluzione della crisi e, diversamente dagli accordi di ristrutturazione, non reca alcuna limitazione espressa alla sua applicazione, per cui molti in dottrina privilegiano una applicazione estensiva dell’istituto, considerato che il piano protegge non solo dall’azione revocatoria fallimentare ma anche ordinaria.

Oltre al richiamato presupposto soggettivo, per l’applicazione del piano attestato di risanamento è necessario il presupposto oggettivo dato dallo stato di crisi o di insolvenza, ossia gli stessi requisiti che consento l’accesso al concordato preventivo di cui all’art. 84 co. 1 CCII.

Stante la finalità del piano attestato di risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria, il piano attestato non può essere impiegato nelle ipotesi in cui si preveda esclusivamente la liquidazione del patrimonio. La necessità prevista dall’art. 56 co. 2 CCII lett. g) del CCII di predisporre un piano industriale rende, a parere di chi scrive, ancor più esplicita la possibilità di impiegare lo strumento in commento nelle sole ipotesi di continuità aziendale, al più indiretta.

Il piano deve rivolgersi ai creditori, ciò è espressamente previsto da uno specifico inciso dell’art. 56 co. 1 CCII facendo sorgere alcuni dubbi interpretativi. In particolare, viene da chiedersi se il piano debba rivolgersi a tutti i creditori, rendendoli edotti della situazione e dei relativi accordi, anche se l’imprenditore non ritiene di doverli coinvolgere. La risposta a questo dubbio, a parere di chi scrive, dovrebbe essere negativa in quanto il piano non prevede obblighi di pubblicità e consente all’imprenditore di mantenere la completa riservatezza circa il suo impiego. Pertanto, si ritiene possibile finalizzare un efficace piano attestato pur non coinvolgendo tutti i creditori.

Altresì, il piano dovrà tenere conto di tutti i creditori ma per una diversa ragione e non come parte attiva degli accordi oggetto di piano o della situazione aziendale. Il piano deve risanare l’esposizione debitoria complessiva di partenza, perciò, anche i creditori estranei all’accordo e al piano dovranno essere considerati nella formazione del debito da risanare, tra l’altro avranno diritto all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza.

Un altro elemento di dubbio riguarda il fatto che il piano debba coinvolgere nell’accordo soltanto i creditori oppure possa rivolgersi anche a soggetti terzi. La norma facendo riferimento anche agli atti unilaterali e ai contratti, nell’ultimo comma dell’art. 56 in commento, porterebbe a leggere tale dato letterale in maniera estensiva, considerando possibili atti unilaterali, non rivolti ai creditori, e per tale ragione potrebbero ben essere posti in essere anche accordi con altri soggetti. Si pensi a un’impresa con la necessità di finanziare alcune attività che, invece di trovare un accordo conveniente con la sua banca, ritenga più aderente alle esigenze accedere a un leasing non offerto dal proprio istituto ma offerto da un altro intermediario finanziario. In questo caso sostenere che il piano attestato di risanamento deve rivolgersi solo ai creditori esistenti, potrebbe causare la non realizzazione del risanamento in assenza della possibilità di contrarre un leasing, contraddicendo la ratio legis della norma in commento che vuole favorire il risanamento e la continuità aziendale.

Ulteriore conferma della tesi che si sta sostenendo, ossia la possibilità di estendere il piano anche a soggetti estranei ai rapporti di credito esistenti alla data di sua predisposizione, si ritrova nelle norme che disciplinano gli effetti protettivi del piano attestato nel caso si apra la liquidazione giudiziale.

In particolare, l’art. 166 co. 3 del CCII prevede che “Non sono soggetti all’azione revocatoria: […] d) gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati. […] L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria; l’art. 324 del CCII stabilisce che: “le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione […] del piano attestato.

La disciplina letterale, appena richiamata, sugli effetti del piano attestato di risanamento sembra non precludere gli effetti ai soli atti che interessano i creditori esistenti al momento della redazione del piano di risanamento, quindi, anche per gli atti con soggetti terzi, in esecuzione del piano attestato di risanamento, dovrebbe trovare applicazione la protezione da revocatoria.

Il Codice della crisi introduce una disciplina positiva in relazione al contenuto del piano attestato di risanamento, analiticamente dettagliata nel secondo comma dell’art. 56 del CCII ove si precisano altresì i requisiti di forma e relativi alla data certa che deve avere il piano perché sia in grado di produrre quegli effetti che, nell’ipotesi di insuccesso con conseguente liquidazione giudiziale, consentono di proteggere da azioni revocatorie le parti che hanno fatto affidamento sul piano.

In particolare, la disposizione dell’art. 56 co. 2 del CCII prevede che il piano abbia una data certa e indichi i seguenti elementi: a) Situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa; b) Principali cause della crisi; c) Strategie d’intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; d) lista dei creditori e ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza; e) Apporti di finanza nuova; f) Tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto; g) il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario. Il contenuto del piano prevista dalla norma in commento positivizza quanto già indicato dalla prassi professionale nei Principi di redazione dei piani di risanamento adottati a maggio 2022.

La definizione del piano di risanamento e del suo contenuto minimo vuole altresì prevenire l’utilizzo dello strumento in maniera incompleta, per esempio con piani parziali che sottovalutano aspetti rilevanti per il recupero dell’equilibrio, come per esempio il piano industriale. Le indicazioni che si ricavano dall’analitica descrizione del contenuto del piano di risanamento consentono di individuare un percorso ideale, ipotizzato dalla norma, per la sua predisposizione.

Il dato di partenza è chiaramente la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, rappresentata contabilmente come un bilancio intermedio da redigere secondo le regole dell’OIC 30, comprensivo di un rendiconto finanziario.

Dalla situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, con adeguate descrizioni delle poste e che non si limita alla mera indicazione dei dati numerici, si passa alla presentazione delle cause della crisi, ossia i motivi che hanno condotto l’impresa alla situazione di crisi o di insolvenza cui si vuole porre rimedio attraverso il piano. Le cause della crisi consentiranno anche di individuare idonee strategie per superare la situazione di difficoltà, terzo passo da compiere nella redazione del piano di risanamento. Le strategie dovranno essere idonee al superamento dello stato di crisi, credibili, in grado di trovare riscontro nei dati storici oppure nelle iniziative in discontinuità da compiere.

Le strategie dovranno consentire di risanare il debito, formato da tutti creditori dell’impresa di cui si richiede di predisporre una lista completa, distinguendo i creditori con cui sono raggiunti gli accordi e i creditori estranei all’accordo, per i quali vanno indicate le risorse destinate al loro integrale soddisfacimento alla data di scadenza.

Le tempistiche del piano sono lasciate alla discrezione dell’imprenditore. La norma, quindi, non ha posto limiti temporali all’esecuzione del piano, aspetto che, secondo la prassi professionale, ha una sua rilevanza essendo difficile fare piani attendibili con previsione spostate molto avanti nel tempo. Le tempistiche ritenute generalmente idonee per un piano prevedono un arco per l’esecuzione di 3 o 5 anni.

L’eventuale apporto di nuova finanza dovrà trovare una sua rappresentazione nel piano di risanamento, in quanto generalmente le imprese in crisi necessitano di rifinanziare le attività e utilizzare le risolse per il rilancio economico. Infine, nel piano devono trovare rappresentazione le modalità di monitoraggio delle azioni pianificate, inclusi gli strumenti da adottare in caso di scostamenti.

L’ultimo aspetto indicato dalla norma è il piano industriale, non essendo possibile pensare a un piano di una impresa in crisi che non abbia una strategia industriale alle spalle e una sua declinazione finanziaria. I Principi di redazione dei piani di risanamento di maggio 2022, individuano i seguenti aspetti, a titolo di esempio, da considerare nella definizione della strategia industriale: definizione dei mercati da servire, in termini incrementali e decrementali e delle modalità con cui farlo; revisione delle linee di prodotto sia in termini incrementali, sia decrementali; definizione della piattaforma produttiva target decisioni di “make or buy” relativamente a talune attività revisione della struttura di costo di prodotto/servizio anche mediante una revisione/riallocazione degli organici; diversificazione del portafoglio prodotti se rilevante; correzione dell’assetto organizzativo al fine di renderlo coerente con gli obiettivi di medio termine.

Nell’ipotesi il Piano preveda l’esecuzione di operazioni straordinarie o operazioni sul capitale quali trasformazioni, fusioni, scissioni, conferimenti in società, aumenti o riduzioni di capitale, si dovranno indicare gli elementi tecnico-giuridici essenziali dell’operazione, le tempistiche di esecuzione, gli effetti patrimoniali e le ricadute sui creditori.

Una volta finalizzato l’inquadramento della strategia industriale, il Piano dovrà descrivere gli interventi sull’assetto finanziario con riferimento a: poste riconducibili a capitale circolante netto commerciale; copertura finanziaria degli investimenti e del loro mantenimento; consistenza del patrimonio netto; posizione finanziaria netta e la sua composizione.

La strategia di risanamento, infatti, produce effetti economici e finanziari e ha incidenza sul risanamento finanziario (c.d. manovra finanziaria), identificando, con precisione, azioni e misure da intraprendere e i relativi effetti sulle componenti patrimoniali. In tema di data certa, la normativa in commento recepisce la prassi professionale che raccomanda l’indicazione della data del piano di risanamento da certificare con

strumenti, come per esempio, l’utilizzo della PEC o di altri strumenti digitali che consentono di apporre una marca temporale sul documento.

La disposizione dell’art. 56 co. 2 CCII non prevede la necessità di allegare al piano attestato di risanamento la documentazione prevista dall’art. 39, ove vengono indicati i documenti che l’imprenditore che chiede di accedere a uno strumento di regolazione della crisi devo produrre. La previgente formulazione dell’art. 56 prevedeva, invece, al comma 3 l’obbligo di allegare al piano la documentazione di cui all’art. 39 CCII.

Si ritiene che la scelta legislativa, che nella nuova formulazione dell’art. 56 CCII non prevede più di allegare la documentazione indicata nell’art. 39 CCII, vada letta nel senso che non vi è un obbligo in tal senso. Contro tale lettura vi potrebbe essere una interpretazione che ritenga comunque presente l’obbligo, in quanto la richiamata norma si rivolge anche agli imprenditori che accedono a uno strumento di regolazione della crisi e il piano attestato di risanamento è un tale strumento.

La posizione di chi scrive considera superato l’obbligo di allegare tutta la documentazione di cui all’art. 39 CCII, ma molti dei documenti indicati nel richiamato articolo saranno comunque necessari per la predisposizione del piano di risanamento e in fase di attestazione per le verifiche sulla veridicità e fattibilità economica del piano.

Il piano di risanamento deve essere attestato da un professionista indipendente, figura professionale espressamente prevista dal CCII. Di seguito, sono elencati i requisiti richiesti al professionista indipendente per poter asseverare il piano: essere iscritto all’albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali; essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile; non essere legato all’impresa o ad altre parti interessate all’operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale; il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi 5 anni attività̀ di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell’impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa.

L’attestazione deve avere ad oggetto la veridicità dei dati aziendali nonché la fattibilità economica del piano. Le verifiche invece non includono alcun scrutinio circa la fattibilità giuridica quale per esempio la possibilità di ristrutturazioni che incidono sul personale, sulla possibilità di concludere alcune tipologie di contratti da un punto di vista legale. La mancanza della verifica sulla fattibilità giuridica, di regola riservata al tribunale, può generare problemi in sede di controllo giudiziale postumo, ossia nel momento in cui il tribunale è chiamato a valutare la tenuta della protezione da azioni revocatorie e dai reati di bancarotta degli atti compiuti in esecuzione del piano. La predisposizione del piano, quindi, dovrà coinvolgere debitamente consulenti legali e avvocati, per garantire una tenuta anche legale del piano attestato di risanamento.

L’attestazione e la relativa relazione rilasciata dal professionista indipendente dovranno avere ad oggetto la veridicità dei dati aziendali, nonché la valutazione sull’idoneità del piano a realizzare gli obiettivi prefissati. L’attività di attestazione dovrà avvenire nel rispetto dei principi di attestazione dei Piani approvati dal CNDCEC il 16 dicembre 2020.

Il debitore, nel caso ritenga, può chiedere la pubblicazione del piano, dell’attestazione e degli accordi conclusi con i creditori. La pubblicità renderebbe il piano e gli accordi di pubblico dominio, con vantaggi in termini di trasparenza. Tuttavia, l’impresa perderebbe la riservatezza con eventuali svantaggi sull’attività imprenditoriale. In ogni caso la pubblicità rimane una facoltà rimessa alla valutazione dell’imprenditore.

Gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del paiano attestato di risanamento devono essere provati per iscritto ed avere una data certa. Le richiamate prescrizioni formali sono obbligatorie e trovano motivazione nella necessità di avere un documento che provi il compimento degli atti in

esecuzione del piano, la cui data di esecuzione sia certa. In questo modo si garantiscono i creditori da possibili comportamenti abusivi da parte dell’imprenditore, in caso di successiva apertura della liquidazione giudiziale. La protezione dall’azione revocatoria opererebbe soltanto per quegli atti provati per iscritto e con data certa, evitando così che vengano inseriti in maniera opportunistica altri atti magari successivi ed estranei al piano di risanamento.

Il Codice della crisi rende più forte la protezione da eventuali azioni revocatorie, in caso di liquidazione giudiziale. Il testo dell’art. 166 co. 3 CCII prevede che non sono soggetti all’azione revocatoria gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento e in esso indicati.

La protezione, per espressa disposizione normativa, non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. La norma, quindi, sembra limitare lo scrutinio da parte del giudice nel valutare gli atti, rispetto alla posizione della giurisprudenza di legittimità che aveva tracciato un percorso in cui la protezione era stata ridimensionata.

Il tribunale chiamato a decidere sulla revocatoria di un atto compiuto in esecuzione di un piano attestato di risanamento dovrà verificare la sussistenza dei requisiti di legge per la predisposizione del piano e la sua attestazione, senza spingersi nella valutazione della fattibilità del piano; verificare la presenza di dolo o colpa grave in capo all’attestatore o all’imprenditore; verificare, in presenza di dolo o colpa grave dell’imprenditore o dell’attestatore, se il creditore era a conoscenza di tale situazione al momento del compimento dell’atto.

La giurisprudenza avrà il compito di determinare le condizioni in base alle quali potrà ritenersi essere presente una ipotesi di dolo o colpa grave da parte dell’imprenditore o dell’attestatore.

La norma letteralmente specifica che gli atti non solo devono essere compiuti in esecuzione del piano attestato di risanamento, ma devono essere indicati nel piano stesso. La lettura rigida della prescrizione renderebbe necessaria l’elencazione, in fase di predisposizione del piano di risanamento, di tutti gli atti compiuti in sua esecuzione. Una impostazione più flessibile potrebbe ritenere possibile far rientrare negli atti che godono di protezione dall’azione revocatoria quelli rientranti in una certa categoria indicati, non nel dettaglio, ma per tipologia o specie di atto da compiere, anche questa possibilità dovrà passare per il vaglio della giurisprudenza.

Infine, diversamente da quanto previsto dalla legge fallimentare, la protezione opera anche in caso di revocatoria ordinaria, non solo di revocatoria fallimentare.

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