Una nuova ondata di proteste sta scuotendo alcuni paesi del mondo. Dal Venezuela all’Ucraina, due nazioni distanti geograficamente e politicamente, arrivano immagini di ribellione al potere governativo. Nel primo caso il bersaglio è il Presidente Nicolás Maduro, successore di Hugo Chávez, nel secondo l’ormai ex presidente filorusso Viktor Yanukovic, che la sera di sabato 22 febbraio, dopo tre mesi di rivolte, è stato costretto a fuggire dalla capitale Kiev. Tralasciando quelle che sono le peculiarità dei due movimenti di protesta, che meriterebbero ciascuno un lungo approfondimento, dovremmo soffermare la nostra attenzione su una realtà di fatto incontrovertibile: in questi paesi c’è gente pronta a morire per difendere i propri ideali. Se quest’ultimo termine vi sembra esagerato, perché, di fatto, il tempo degli ideali è ormai finito, mettiamola così: sono disposti a rimetterci la pelle per cambiare ciò che ritengono sia la causa del malessere della loro nazione. In Ucraina oltre 70 persone sono rimaste uccise negli scontri, in Venezuela il numero delle vittime sarebbe salito a 10. NOI italiani possiamo limitarci solo a guardare e commentare l’atteggiamento di chi, stanco, si ribella al potere, perché NOI “subiamo” il potere della politica e andiamo avanti. Non abbiamo scelto Monti, non abbiamo scelto Letta e non abbiamo scelto Renzi. Quest’ultimo, come i due precedenti, è letteralmente “piovuto dall’alto”, dall’alto della casta politica (sempre casta è, seppur svecchiata), che ha voluto mandare un chiaro messaggio all’elettore italiano: “Non sei in grado, tantomeno in diritto, di scegliere chi ti governa. Perciò, lo facciamo noi per te, per il tuo bene”. Ricordate le parole della celebre canzone di Giorgio Gaber, La libertà?
“La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.”
La libertà non è solo un’opinione, è partecipazione. Purtroppo noi abbiamo perso il diritto di compiere tale “partecipazione”. Nel nome del “buon fine”, gli italiani, elettori “mutilati”, devono accettare tutto. Questo è il Paese malato, in perenne stato di crisi, che ha sempre bisogno di un salvatore della Patria. Renzi ha scelto la sua squadra di ministri, a malapena ne conosciamo la metà. Non scendiamo in piazza e non manifestiamo la nostra opposizione. Ci hanno abituato a dare, in questo caso la fiducia, continuamente, senza però ricevere. Siamo stati educati ad accettare per la nostra politica ogni tipo di escamotage, non ci stupiamo più. Riflettiamo qualche secondo e poi diciamo a noi stessi: “Proviamo a vedere cosa farà questo. Tanto peggio di così non può andare”. Ci perdiamo nei meandri degli infiniti discorsi di chi si prepara a salire al potere, convinto che nella sua illegittima ascesa non incontrerà ostacoli. Quando vediamo immagini come quelle provenienti in queste ore da Kiev o da Caracas, iniziamo a capire la distanza che ci separa dall’atteggiamento di chi utilizza non solo le parole, ma anche i fatti, per difendere la sua posizione politica. E lo fa scendendo in strada. Vero è che l’Italia non è l’Ucraina. Tuttavia dovremmo raccogliere un minimo la lezione proveniente da quelle piazze in rivolta. Riacquistare l’entusiasmo di partecipare alla vita politica, evitando di limitarci al semplice commento o analisi a posteriori. Renzi si è caricato di una grande responsabilità. «Sappiamo che viviamo un tempo di grande difficoltà e struggente responsabilità. Dobbiamo provare a fare dei sogni più grandi di quelli fatti fino ad oggi e accompagnarli con concretezza», ha detto nel suo discorso programmatico il 24 febbraio al Senato. “Oggi, ha aggiunto, chiedere la fiducia è un gesto controcorrente. Significa provare ad andare controcorrente. Oggi è sempre più difficile chiedere la fiducia, non va di moda. Noi chiediamo fiducia perché pensiamo che l’Italia ha una necessità urgente per recuperare la fiducia e uscire dalla crisi”. Adesso che Renzi ha indirettamente ottenuto questa fiducia da parte nostra, ci chiediamo: se dovesse fallire, qualcuno scenderà in piazza a dirglielo? Le sue parole sono piene di ottimismo. Anche noi vorremmo tornare ad esserlo. Ma se così non fosse? Finora le nostre aspettative sono sempre state tradite. “Verba volant”, le parole volano, servono i fatti.
Silvia Di Pasquale