Il referendum costituzionale del 2017 in Turchia è stata una “sorta” di consultazione popolare tenutasi il 16 aprile 2017 che riguardava l’approvazione di una serie di emendamenti (circa 18) alla costituzione turca proposti in particolare da parte del partito islamico-conservatore al governo AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) con l’accordo del partito di estrema destra all’opposizione MHP (Partito del Movimento Nazionalista).
Qualora il referendum fosse approvato la costituzione turca subirà non pochi cambiamenti concentrando soprattutto i suoi poteri su un’unica persona. Come spesso accade per queste consultazioni troviamo due diverse “fazioni” tra chi sostiene che le riforme sono necessarie per garantire la stabilità politica della Turchia attraverso l’attuazione di un sistema presidenziale (sostenitori del sì) e di contro quelli che ritengono che apportando questo presidenzialismo l’ordinamento turco diventi una sorta di “autoritarismo”. Le formazioni presenti in Parlamento contrarie ai cambiamenti introdotti dal referendum sono il partito laico e di centro-sinistra CHP (Partito popolare repubblicano) e il partito di sinistra e filo-curdo HDP (Partito democratico dei popoli). Di fatto il nuovo presidente può nominare ministri e alti funzionari, sciogliere il Parlamento, dichiarare lo stato d’emergenza, emanare decreti e nominare 12 giudici su 15 della Corte costituzionale. Il referendum è stato preceduto dal periodo in cui la Turchia affrontava lo stato d’emergenza in seguito al fallito colpo di Stato del luglio 2016 ma nonostante tutto ciò i sostenitori del sì hanno prevalso sul no ottenendo il 51,41% contro il 48,59%. Si apre uno scenario particolare per la Turchia anche in vista della ferma posizione di entrare a far parte dell’Unione Europea.
Noemi Deroma