Oggi 8 maggio 2021 la Chiesa beatifica l’esperienza umana e la figura di Rosario Livatino il giudice ragazzino ucciso dalla mano mafiosa nel 1990.
Con quell’anno si apriva la stagione dello scontro frontale tra lo stato e la mafia, entrambi profondamente ancorati all’esperienza del periodo postbellico che terminerà con la resa dei conti del periodo dal 1990 al 1993 segnando la fine dell’Italia formalmente totalmente sovrana.
L’Italia cambiava volto, mutava struttura politica ed economica; tramontava l’era della rappresentazione partitica per dare il via a quella dei movimenti più o meno popolari. Cambiava l’economia tramontando lo stato imprenditore per far posto allo stato spettatore delle dinamiche economiche nazionali ed internazionali.
Rosario Livatino doveva morire. M a doveva morire al di là per il pericolo che rappresentava in quanto tutore della legalità prima ancora che della legge perché era un tipo d’uomo non più in linea con i tempi nuovi.
Rosario Livatino sarebbe comunque morto come cittadino e come magistrato perché gli ideali che lo ispiravano e muovevano in qualsiasi sua azione non rispondevano più alla società che si andava costruendo. Nulla di più anacronistico rispetto ad oggi sono quei valori che hanno ispirato l’intera vita di Rosario Livatino: famiglia, giustizia, legalità e rispetto per il prossimo.
Oggi tutto questo bagaglio di amore per la famiglia in quanto unità fondante della propria esperienza personale, e quindi sociale della giustizia in quanto bene superiore della libertà personale, prima fra le libertà, vengono costantemente negate e soffocate. L’essere cristiano per Rosario Livatino voleva dire credere, ma credere oltre che nel Dio della Croce nella giustizia e quindi nell’eguaglianza tra gli uomini; non aveva bisogno Rosario Livatino di altre leggi se non di quelle che aveva a disposizione per rispettare anche i criminali più efferati che arriveranno ad ucciderlo. i
Il martirio di Rosario Livatino in quella mattina si sublima nelle parole rivolte ai suoi assassini: “ … picciotti ma cosa vi ho fatto …” non se ne capacitava Rosario Livatino. Perché questo era il suo approccio nei confronti dei mafiosi: un approccio neutro, non personale, non dettato da rancore giustizialista, ma semplicemente dalla necessità di applicare la giustizia.
E ancor più si sublima, il suo martirio, nel tentativo di sottrarsi con una fuga non vigliacca, ma profondamente umana alla propria esecuzione.
Rosario Livatino non è un martire che affronta la morte: Rosario Livatino è un uomo che non sfugge al martirio.
Quanto suonano banali queste considerazioni alla luce delle cronache contemporanee; oggi la famiglia è ridotta ad una formula vuota il nome di vuote categorie sociali, la giustizia è piegata da scandali di bieco interesse di cortile ad un concetto ormai anch’esso vuoto nella sua essenza.
La beatificazione di Rosario Livatino oggi avviene in un mondo essenzialmente antitetico rispetto all’uomo, e all’uomo di fede Rosario Livatino, tuttavia la sua testimonianza, e soprattutto il suo ricordo, resteranno nella memoria delle persone di buona volontà quale memento delle altezze che la semplicità dell’essere e restare umani raggiunge.
Antonio De Bonis
Business Information Security Manager
Fondatore di www.geocrimeacademy.org