Salvini a processo? Dal caso Diciotti all’autorizzazione a procedere

Sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale. Sono questi i capi d’accusa rivolti negli ultimi giorni al ministro dell’Interno Matteo Salvini, e sono tutti relativi al recente caso della nave Diciotti. Mentre si dibatte sull’autorizzazione a procedere o meno, alcune delle carte in tavola, delle intenzioni e degli accordi tra le forze politiche cambiano nei modi e nella sostanza. Pertanto è bene andare a ricapitolare la faccenda.

La nave Diciotti della Guardia Costiera italiana iniziò la sua triste vicenda lo scorso 14 agosto, subito dopo aver soccorso in mare 177 migranti all’interno delle acque italiane, subito dopo che le autorità maltesi si erano rifiutate di salvarli. Una volta giunta la Diciotti al porto di Catania, tuttavia, le povere anime non ricevettero la migliore delle accoglienze: a conti fatti l’attracco fu bloccato per dieci giorni, fino al 25 agosto. Dieci giorni fatti di political drama e, si potrebbe dire, passivo-aggressività diretta ai restanti soci dell’Ue, mentre a bordo si consumava un dramma umanitario.

Da lì l’indagine: il 22 agosto, con i migranti ancora a bordo, il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio visitava la Diciotti e, constatando un trattamento illecito, annunciava che avrebbe valutato l’ipotesi di reato per sequestro di persona. Così, infine, è stato, assieme agli altri due capi d’accusa che necessariamente accompagnano la fattispecie, visto il ruolo politico di Matteo Salvini.

Salvini che, in un primo momento, si era fatto spavaldo di fronte alla possibilità di essere processato. Ad agosto, il ministro dell’Interno affermò in diretta Facebook: «Se il Tribunale dirà che devo essere processato andrò davanti ai magistrati a spiegare che non sono un sequestratore. Voglio proprio vedere come va a finire», di fatto sostenendo che avrebbe rinunciato all’immunità parlamentare.

L’istituto, previsto dagli artt. 313 e 343 del codice di procedura penale, è una garanzia immunitaria che permette di evitare l’illecita interferenza tra i poteri dello Stato, nonché di limitare gli abusi nelle denunce verso, per esempio, politici di ideologia avversa. In breve, si basa sul voto del potere giurisdizione di appartenenza per poter permettere il giudizio da parte di altro potere. Molto spesso, però, nella storia della Repubblica questo istituto è stato abusato a sua volta per evitare facilmente i processi.

Fatto sta che a Salvini sia bastata la minaccia concreta del processo per cambiare nettamente idea. Pochi giorni fa si è appellato al «sacro dovere di difesa della Patria» e ha affermato che «in Senato arriverà un chiarimento e vedremo come voteranno i senatori, se ci sarà una maggioranza in Senato che dice che Salvini è colpevole, è un delinquente», in pratica “nascondendosi” dietro il voto favorevole dei senatori, che sarà necessario perché i pm possano portarlo a giudizio.

Ma sono tutti d’accordo? Da parte leghista certamente sì. Meno netta la posizione dell’alleato di governo, il M5S: negli scorsi giorni Luigi Di Maio ha convocato un vertice con i propri senatori per discutere il da farsi. Da un lato il M5S si è sempre detto contrario ai privilegi della “casta”, tra cui l’immunità parlamentare; dall’altro la linea sui migranti è stata approvata anche dal partito di Casaleggio, e votare per l’autorizzazione sarebbe un controsenso politico. In un certo senso, Salvini sa di essere – quasi – in una botte di ferro, ed è ragionevolmente sicuro di non essere mai processato. La realtà definitiva dei fatti, comunque, sarà nota entro sessanta giorni, termine massimo entro il quale sarà necessario espletare le relative procedure.

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