Premetto che, al di là del rispetto per le posizioni personali di ognuno, mi accorgo che questo referendum, pur non avendo forti connotazioni sociali, come ad esempio le grandi battaglie dei diritti degli anni ’70, ha diviso il Paese in un antagonismo dai toni esacerbati e violenti che travalicano l’effettivo dettato costituzionale di cui si va decidendo.
Non faccio mistero delle mie personali opinioni, dettate dalla passione per gli studi giuridici e la specializzazione proprio nei temi costituzionali ed istituzionali, ma disturba che la discussione abbia perso il focus sugli effetti della democrazia rappresentativa e sull’ordinamento pubblico, per cadere in una spirale di personalismo ed una deriva di affabulazione politica che ha radicalizzato le scelte di barricata.
Anche i confronti degli schieramenti fanno rimpiangere le vecchie Tribune politiche, ammantate di solennità e rispetto dovuto agli argomenti, talvolta anche un po’ tediose, ma sicuramente pacate e minuziosamente argomentate, ove la politica sottolineava forti passioni ideologiche.
La classe politica attuale è lo specchio dei tempi. Si discute della scarpa del politico e non dei contenuti, fors’anche perché vacui e ripetuti meccanicamente, con toni saccenti o troppo amicali, spesso con italiano stentato, se non apertamente sgrammaticato. Il rispetto verso l’elettore, che traspariva anche nella scelta di abiti rigorosi, oggi persi in felpe e spacchi inguinali, si riflette nell’attuale arroganza della gestione della res pubblica, divaricando il rapporto tra eletti ed elettori, disaffezionando il cittadino alla partecipazione attiva. Questo giovanilismo raffazzonato che si ammanta di tuttologia, confonde e distoglie dall’importanza dei temi trattati.
E condivido lo sconcerto nel constatare che anche in questa occasione la partecipazione delle donne sia mistificata. Da una parte una Ministra (con deleghe sulle parità) che sbeffeggia lo schieramento opposto, sentenziando l’assenza di esponenti femminili alla discussione, oscurandone la presenza, dall’altra il dibattito femminista imbavagliato per non spaccare il movimento. Ci si anima e stizzisce per le elezioni americane e per la scarsa solidarietà di urna, e non ci si pone come protagoniste del cambiamento, riprendendo spazi e libertà contro la gestione patronale dei partiti e delle associazioni di azione politica, accontentandoci di essere contorno ubbidiente agli ordini di scuderia.
Ciò stride maggiormente proprio in questo anno di celebrazione del suffragio universale, di 70 anni di voto alle donne, di partecipazione alla vita politica, a firma proprio di quelle madri della Patria che con il loro coraggio hanno contribuito a scrivere la Carta, oggi dipinta come desueta e superata. E proprio sulla modifica costituzionale si cerca il passo felpato, permettendo, al contempo, indebite ingerenze a Stati e lobby straniere o una palese pressione governativa in temi ove è necessaria la separazione dei poteri, come già Montesquieu sottolineava e come Calamandrei affermava “Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza…Nel campo del potere costituente il governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria”. Si subiscono messaggi apocalittici, si tollerano le minacce mafiose nei confronti di una compagna di partito, da un vertice istituzionale che la riforma vorrebbe promuovere sullo scanno senatorio, si tace su inapplicabilità o incoerenze delle riforme, si sorvola sull’accesso a banche dati sensibili, ma soprattutto ci si dimentica il Paese reale, che attende serie riforme in campo economico e occupazionale, da mesi imbrigliato in discussioni che celano una muscolare misura del potere.
Ho riletto i discorsi di Pietro Calamandrei sulla Costituzione e mi sono commossa, ho guardato gli spot pubblicitari sul voto referendario e mi sono depressa…
Sabrina Cicin