IL SISTEMA SANZIONATORIO TRIBUTARIO

Un sistema sanzionatorio tributario più soft. La pena base, per gli omessi versamenti passa da 30 al 25%. È con il Dlgs 14 giugno 2024, n. 87 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 28-06-2024 n. 150) che è stato rivisto il sistema sanzionatorio del nostro sistema tributario, in ambito sia penale che amministrativo.

Il Dlgs 14 giugno 2024, n. 87 sulle sanzioni conferma le disposizioni in tema di specialità e di coordinamento tra procedimento penale e procedimento amministrativo e le norme sulla riduzione degli effetti del doppio binario penale e amministrativo, quantomeno per le sentenze penali di assoluzione passate in giudicato.

Confermato con qualche riequilibratura, il sistema premiale di rateazione con effetti sul procedimento penale; anche la deroga al favor rei che probabilmente genererà molto contenzioso almeno fino a un pronunciamento della Corte costituzionale. Il Dlgs in commento, recante revisione del sistema sanzionatorio tributario è emanato in attuazione dei princìpi di cui all’articolo 20 della legge di delega per la riforma fiscale (legge n. 111 del 2023).

Il Dlgs è composto di 7 articoli: L’articolo 1 concerne le disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali. L’articolo 2 apporta modifiche al Dlgs 18 dicembre 1997, n. 471, avente ad oggetto la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi. L’articolo 3 reca modifiche al Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472, avente ad oggetto le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. L’articolo 4 novella diverse disposizioni normative, aventi ad oggetto la revisione delle sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, nonché di altri tributi indiretti. L’articolo 5 indica la decorrenza dell’efficacia di alcune disposizioni. L’articolo 6 contiene le disposizioni finanziarie. L’articolo 7 disciplina l’entrata in vigore.

L’articolo 1 del decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87, intervenendo sulle disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali, apporta significative modifiche alla disciplina in materia di reati ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva contenuta nel Dlgs n. 74/2000.

Il Dlgs (articolo 1) in commento fornisce finalmente una qualificazione sufficientemente chiara dei crediti “non spettanti” ed “inesistenti”, al fine di distinguere le condotte delittuose di indebita compensazione, di diverso disvalore, previste dall’art. 10 quater D.Lgs. 74/2000, In particolare, in base alla nuova lettera g-quater) dell’articolo 1 del Dlgs n. 74/2000, devono ritenersi inesistenti i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento o i cui citati requisiti sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.

Per crediti non spettanti si intendono quelli, diversi dai crediti inesistenti fondati su fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva per il difetto di specifici elementi o particolari qualità; utilizzati in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella prevista.

Al contrario, si considerano spettanti i crediti fondati sulla base di fatti reali rientranti nella disciplina attributiva, nonché utilizzati in misura e con le modalità stabilite dalla medesima, ma in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempre che gli stessi non siano previsti a pena di decadenza. I crediti inesistenti sono quelli per i quali mancano, in tutto o in parte, i presupposti costitutivi.

Con l’introduzione della lettera g-quinquies all’articolo 1 del Dlgs n. 74/2000, sono, inoltre, per la prima volta, definiti in via normativa, i crediti non spettanti, ossia i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.

La definizione delineata dal legislatore delegato deve essere, altresì, coordinata con la nuova previsione contenuta nel comma 2-bis dell’articolo 10-quater che, in materia di indebita compensazione di crediti non spettanti, esclude la punibilità dell’autore del reato quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistano condizioni di obbiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito.

La distinzione tra crediti non spettanti ed insistenti ha dato adito negli ultimi anni a contrasti giurisprudenziali con particolare riferimento alla giurisprudenza di legittimità, che continuano a permanere con riferimento agli orientamenti delle sezioni civili e penali della Corte di cassazione sul punto.

Con la sentenza n. 34419 depositata l’11 dicembre 2023 le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte si sono pronunciate stabilendo che in materia di compensazione di crediti o eccedenze di imposta da parte del contribuente il credito utilizzato è inesistente, quando ricorrono entrambe le seguenti condizioni: il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi ovvero quando è pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; l’inesistenza non è riscontrabile con i controlli automatizzati di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR 600 del 1973 e all’articolo 54-bis del DPR n. 633 del 1972.

Il comma 1, lettera b), dell’articolo 1, del decreto in commento, sostituisce l’articolo 10-bis, del Dlgs 10 marzo 2000, n. 74.

Significative sono le modifiche in materia di omesso versamento di ritenute ai sensi dell’articolo 10-bis .

Oltre che allineare l’articolo 10-bis alla decisione della Corte Costituzionale n. 175 del 2022, il legislatore delegato differisce, in primo luogo, il momento consumativo di entrambi i delitti. Infatti, se nella formulazione previgente i reati si configuravano con il mancato versamento di quanto dovuto al di sopra di determinate soglie (che rimangono invariate: centocinquantamila per i casi di cui all’articolo 10-bis e duecentocinquantamila per le ipotesi di cui all’articolo 10-ter) entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale, in base alle nuove disposizioni i reati si realizzano con il mancato versamento degli importi “sopra soglia” entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione stessa.

Allo scopo di rendere effettivo tale presupposto, le norme richiedono che non sia in corso una rateazione del debito ai sensi dell’articolo 3-bis del Dlgs n. 462/1997, ossia la rateazione che il contribuente può attivare per versare le somme dovute a seguito delle comunicazioni riguardanti i controlli automatizzati o formali.

Infine, con una clausola di chiusura, viene prevista la punibilità dell’autore del reato qualora si sia verificata la decadenza dalla rateazione ai sensi dell’articolo 15-ter del Dpr n. 602/1973 e l’ammontare del debito residuo sia superiore a cinquantamila euro per il reato di omesso versamento delle ritenute e a settantacinquemila per il reato di omesso versamento dell’Iva. A tal riguardo, tale decadenza, con conseguente iscrizione a ruolo degli importi dovuti, si verifica con il mancato pagamento della prima

rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento delle comunicazioni sopra citate, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva.

Il legislatore ha, quindi, svincolato i reati di omesso versamento dal momento di presentazione della dichiarazione, per collegarli, piuttosto, alla volontà del contribuente di non procedere al pagamento di quanto dovuto neppure tramite rateazione delle somme a seguito della ricezione dell’avviso bonario. Ed è proprio al fine di coordinare le norme penali con quelle tributarie che viene introdotto il nuovo comma 2-bis all’articolo 3-bis del Dlgs 462/1997.

Nello specifico, si prevede che gli esiti del controllo automatizzato siano comunicati, rispettivamente, al sostituto d’imposta e al contribuente entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di presentazione della relativa dichiarazione.

Nelle more del ricevimento della comunicazione, viene fatta salva però la possibilità per il contribuente di provvedere spontaneamente al pagamento rateale delle somme dovute a titolo di ritenute o di imposta, nella misura di almeno un ventesimo per ciascun trimestre solare. In tali casi, la prima rata deve essere versata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, mentre le rate successive devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre successivo. Solo dopo che il contribuente abbia ricevuto l’avviso bonario, la rateazione proseguirà secondo le regole ordinarie.

Da ultimo, il legislatore delegato esclude la punibilità dei reati di omesso versamento qualora il fatto dipenda da cause non imputabili, sopravvenute all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto (nuovo comma 3-bis, dell’articolo 13 del Dlgs n. 74/2000). A tal fine, il giudice deve tenere conto della condizione di crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta a inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche; della non esperibilità di misure idonee a fronteggiare la crisi.

Il decreto delegato (articolo 1, comma 1, lett. e) interviene sull’articolo 12-bis in materia di confisca, disciplinando anche il sequestro preventivo, con conseguente modifica della rubrica della norma (“Sequestro e confisca” in luogo della previgente “Confisca”) e sostituzione del comma 2.

In base a tale disposizione il sequestro preventivo finalizzato alla confisca viene precluso laddove il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative, di accertamento con adesione o del ravvedimento speciale di cui all’articolo 1, commi da 174 a 178, della legge n. 197/2022, e il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti. È, invece, possibile procedere a sequestro qualora sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto anche conto della gravità del reato.

Con l’introduzione del comma 3-ter all’articolo 13 del Dlgs n. 74/2000, sono per la prima volta codificati una serie di indici che il giudice valuta, in modo prevalente, al fine di verificare la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, ossia l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’Amministrazione finanziaria; l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; la situazione di crisi rilevante ai sensi del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Il comma 1, lett. g), dell’articolo 1, del decreto in commento, interviene sull’art. 13-bis del Dlgs n. 74 del 2000 (Circostanze del reato):

In attuazione del criterio di delega teso ad adeguare “i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale”, il legislatore delegato sostituisce il primo comma dell’articolo 13-bis.

In particolare, si prevede la possibilità di diminuire la pena fino alla metà e di non applicare le pene accessorie di cui all’articolo 12 in caso di estinzione del debito tributario prima della chiusura del dibattimento, nonché un meccanismo di sospensione del processo, interruttivo della prescrizione, nel caso in cui sia in corso la rateizzazione del debito, anche a seguito delle procedure conciliative, di adesione all’accertamento o di ravvedimento speciale, sempre che l’imputato ne dia comunicazione al giudice che, a sua volta, informa l’Agenzia delle entrate. In tale ultima ipotesi, la sospensione opera per un anno, decorso il quale la stessa è revocata, salvo che l’Agenzia delle entrate abbia comunicato che il pagamento delle rate è regolarmente in corso. In presenza di tale comunicazione, il processo è sospeso per ulteriori tre mesi, prorogabili dal giudice di altri tre, quando ciò si renda necessario ai fini dell’integrale estinzione del debito. Anche prima del decorso dei termini della sospensione, la stessa è revocata allorquando l’Agenzia attesti l’integrale versamento delle somme dovute o comunichi la decadenza dal beneficio della rateizzazione.

Se, quindi, in base alla vecchia formulazione della norma il momento antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento costituiva il termine entro il quale l’adempimento delle obbligazioni tributarie consentiva una riduzione della pena e l’esclusione delle sanzioni accessorie, con la nuova norma tale momento viene differito alla chiusura del dibattimento stesso e viene previsto un meccanismo di sospensione del processo qualora la rateazione dei debiti tributari sia ancora in corso all’inizio del procedimento.

In base al riformato articolo 13-bis, comma 2, l’accesso al patteggiamento rimane però subordinato all’estinzione del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento oppure alle ipotesi di ravvedimento operoso.

Si ricorda che, limitatamente ai reati di omesso versamento e indebita compensazione, l’articolo 23 del Dl n. 34/2023 ha escluso la punibilità in caso di definizione delle violazioni tramite gli istituti della tregua fiscale, ravvedimento speciale incluso, prevedendo un meccanismo di sospensione del processo simile a quello descritto in presenza di pagamenti rateali.

La lett. h) del comma 1, dell’articolo 1, del decreto in commento, modifica il comma 2 dell’articolo 19 del Dlgs n. 74/2000, in materia di calcolo dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto, intervenendo in particolare sulla disciplina del concorso tra norme penali e norme tributarie. Per effetto di tali modifiche, resta ferma la responsabilità degli enti e delle società, prevista dall’articolo 21, comma 2-bis, di nuova previsione, secondo cui, in caso di sanzione amministrativa pecuniaria riferita a un ente o società passibile di responsabilità amministrativa da reato ai sensi dell’articolo 25-quinquies del Dlgs n. 231/2001, si applica il comma 2 dell’articolo 21, che esclude l’esecuzione delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato, salva la definizione del procedimento con archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Tali modifiche attuano il criterio di delega in materia di razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem.

In applicazione dei criteri di delega sui rapporti tra processo penale e tributario, il comma 1-bis dell’articolo 20 e il nuovo articolo 21-bis introducono un’importante deroga al sistema del cosiddetto “doppio binario”. Infatti, in base alla prima disposizione, le sentenze tributarie divenute irrevocabili,

nonché gli atti di accertamento delle imposte divenuti definitivi, anche a seguito di adesione, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato.

L’articolo 1, comma 1, lett. m), dell’articolo 1, del decreto in commento, introduce il nuovo articolo 21-bis nel Dlgs n. 74 del 2000, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, al fine di superare il sistema del “doppio binario” tra i due giudizi, prevedendo che il giudicato penale di assoluzione sia vincolante per il Giudice tributario.

L’articolo 21-bis introduce una nuova disposizione sull’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione. In particolare la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o il soggetto non lo ha commesso, qualora sia emessa a seguito di dibattimento nei confronti dello stesso soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, acquista, quanto ai fatti medesimi, efficacia di giudicato nel processo tributario, in ogni stato e grado e può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio; i suddetti principi, nei soli casi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, si applicano sia alla persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, sia nei confronti dell’ente e società con o senza personalità giuridica nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.

Al comma 3 del nuovo art. 21-bis, infine, si prevede che le disposizioni di cui ai due commi precedenti, limitatamente alla sola ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, siano applicabili anche nei confronti della persona fisica nel cui interesse ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale; della persona fisica nel cui interesse ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale; dell’ente o società, con o senza personalità giuridica, nel cui interesse ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto; dei singoli soci o associati delle medesime società.

Anche nei confronti di questi soggetti, quindi, il giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste avrà efficacia vincolante per il Giudice tributario

La medesima lett. m) inserisce poi nel Dlgs n. 74 del 2000 anche un’ulteriore disposizione, il nuovo articolo 21-ter. Con l’articolo 21-ter viene introdotto il divieto del ne bis in idem sostanziale, in forza del quale quando per uno stesso fatto materiale è stata applicata una sanzione penale o una sanzione amministrativa ovvero una sanzione amministrativa dipendente dal reato, si tiene conto delle misure punitive già irrogate. Pertanto, per evitare una duplicazione del trattamento sanzionatorio, sia il giudice che l’autorità amministrativa devono tener conto delle pene o delle sanzioni già inflitte in via definitiva con sentenza o con provvedimento amministrativo, al fine di ridurne la relativa misura.

Il legislatore ha definito altresì il procedimento che devono seguire l’Autorità giudiziaria e quella amministrativa. In particolare, è introdotto il comma 3-quater all’articolo 129 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, in base al quale, a seguito dell’esercizio dell’azione penale per uno dei delitti contenuti nel Dlgs n. 74/2000, il pubblico ministero ha l’onere di comunicare l’avvenuta imputazione alla competente direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate; è inserito un sesto comma sia all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 sia all’articolo 51 del Dpr n. 633/1972, secondo cui in presenza della citata comunicazione da parte del pubblico ministero l’Agenzia delle entrate è tenuta a rispondere senza ritardo, comunicando anche alla Guardia di finanza l’attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria.

Menzione particolare, meritano le modifiche attuate (articolo 2 del decreto delegato in commento) all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/1997, attraverso le quali si mira ad attuare, da un lato, l’articolo 20, comma 1, lettera a), numero 1 e lettera c), numero 1 della legge delega, nella misura in cui viene effettuata una razionalizzazione delle sanzioni amministrative e penali e una rimodulazione

del carico sanzionatorio, dall’altro, l’articolo 20, comma 1, lettera a), numero 5) della medesima legge delega, nella parte in cui viene introdotta una più rigorosa distinzione tra compensazione indebita di crediti d’imposta non spettanti e inesistenti.

Nello specifico, viene innanzitutto ridotta la sanzione per chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché’ non effettuati. La sanzione diviene quindi del venticinque per cento, in luogo dell’originario trenta per cento.

Il nuovo comma 4 dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/1997 poi, rimanda alla definizione di crediti “inesistenti” ovvero “non spettanti” ora contenuta nel riformato articolo 1, comma 1, lettere g-quater) e g-quinquies) del decreto legislativo n. 74/2000. In particolare, la disposizione definisce inesistenti i crediti per i quali manchino, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, o ancora i crediti per i quali, i citati requisiti oggettivi e soggettivi, siano oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.

Si intendono invece non spettanti i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito e infine i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.

Pertanto, nei casi di utilizzo di un credito non spettante, il decreto delegato, al nuovo comma 4-bis, fissa una sanzione pari al venticinque per cento del credito utilizzato in compensazione. La sanzione si applica anche quando il credito è utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi non previsti a pena di decadenza, e le relative violazioni non sono state rimosse.

Al successivo comma 4-ter dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/1997 poi, viene stabilita una sanzione di duecentocinquanta euro quando il credito è utilizzato in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempreché siano rispettate due condizioni: gli adempimenti non siano previsti a pena di decadenza; la violazione sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della violazione, ovvero, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla commissione della violazione medesima.

La norma, infine, ai commi 5 e 5-bis dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/1997, stabilisce una sanzione nella misura del settanta per cento per l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, prevedendo inoltre un aumento dalla metà al doppio della stessa, per i crediti connotati da particolare insidiosità, ossia oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera g-quater), numero 2) del decreto legislativo n. 74/2000.

L’articolo 2, del decreto in commento intervenire chirurgicamente sulle singole violazioni relative a tutti i tributi. I principi contenuti nell’art. 20 della legge delega perseguono l’obiettivo di “razionalizzare il sistema sanzionatorio, rendendolo più equo e proporzionato, e di adeguarlo a quello degli altri Paesi europei, anche al fine di attrarre capitali e imprese estere”. Così la relazione illustrativa. Si interviene soprattutto sugli adempimenti dichiarativi dei tre comparti (imposte dirette, sostituti d’imposta e Iva), prevedendo una riduzione delle sanzioni o, meglio, abbandonando lo schema del minimo e massimo

(che si traduce quasi sempre nel minimo) per adottare una unica sanzione, generalmente coincidente con il valore minimo oggi previsto. Solo per le sanzioni da applicare in termini fissi è stata mantenuta la previsione di un minimo e un massimo.

Va sottolineato che le novità sulla rimodulazione delle sanzioni tributarie entreranno in vigore dal 1° settembre 2024, senza alcun favor rei.

La relazione illustrativa al decreto si premura di giustificare tale deroga, peraltro introdotta dal d.lgs. n. 472/97. Si legge che “Estrapolare dal contesto tali norme, per assegnare a esse efficacia retroattiva in virtù del principio della lex mitior, e trapiantarle così nel contesto attuale, equivarrebbe a consentire una indiscriminata mitigazione sanzionatoria non compensata dal potenziamento degli istituti di compliance e dal rafforzamento dell’intrinseca coerenza del sistema sanzionatorio, nel rispetto del nuovo punto di equilibrio su cui riposa l’intero ordinamento di settore”. In sostanza la riduzione delle sanzioni è un tassello dell’intero percorso di compliance intrapreso, senza il quale non avrebbe senso la riforma.

Innanzitutto, la nuova norma rimodula, in ossequio al citato principio di proporzionalità, le sanzioni per omessa e infedele dichiarazione, sia ai fini delle imposte sui redditi che in relazione alla dichiarazione dei sostituti d’imposta e ai fini Iva, apportando modifiche agli articoli 1, 2 e 5 del citato decreto n. 471.

Nello specifico, in caso di omessa dichiarazione, il legislatore ora prevede una sanzione nella misura del centoventi per cento dell’ammontare delle imposte dovute, in luogo di quella variabile dal centoventi al duecentoquaranta per cento precedentemente prevista. Le sanzioni applicabili, nel caso in cui non siano dovute imposte, possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili. Con specifico riferimento alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, poi, qualora le ritenute relative ai compensi, interessi e altre somme, benché non dichiarate, siano state versate interamente, si applica una sanzione amministrativa da 250 a 2mila euro.

Nell’ipotesi in cui la dichiarazione omessa sia presentata oltre i novanta giorni, ma in ogni caso entro i termini di decadenza dell’attività di controllo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza, si applica sull’ammontare delle imposte dovute, o delle ritenute non versate nel caso della dichiarazione dei sostituti d’imposta, una sanzione per omesso o tardivo versamento prevista dall’articolo 13, comma 1, aumentata al triplo.

Per quanto concerne i casi di dichiarazione infedele, la sanzione amministrativa applicabile è stata ridotta nella misura del settanta per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato, con un minimo di centocinquanta euro (la sanzione precedentemente prevista era variabile dal novanta a centottanta per cento). Analogamente, con riferimento alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, se l’ammontare dei compensi, interessi e altre somme dichiarati risulti inferiore a quello accertato si applica la sanzione amministrativa del settanta per cento dell’importo delle ritenute non versate riferibili alla differenza, con un minimo di duecentocinquanta euro.

Qualora il contribuente, che ha presentato una dichiarazione infedele (parimenti a quello che l’ha omessa) si attiva per presentare una dichiarazione integrativa per rimuovere l’infedeltà, entro e non oltre i termini di decadenza dell’attività di controllo e, comunque, prima che sia iniziata qualunque attività da parte degli uffici, si applica sull’ammontare delle imposte dovute (o delle ritenute non versate nel caso di dichiarazione dei sostituti d’imposta) la specifica sanzione per omesso o tardivo versamento prevista dall’articolo 13, comma 1, aumentata al doppio.

Il decreto delegato interviene in modo rilevante sulle frodi Iva, configurando un aumento sanzionatorio dalla metà al doppio, nel caso di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o altra documentazione falsa, operante esclusivamente a carico del cessionario o committente che abbia utilizzato tali fatture per operazioni inesistenti, purché nei suoi confronti sia provata la compartecipazione alla frode.

Sempre ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, sono ridotte al quarantacinque e al venticinque per cento le sanzioni applicabili, rispettivamente, ai soggetti che fruiscono dei regimi speciali descritti agli articoli 70.1 e da 74-quinquies a 74-septies del decreto Iva (Dpr n. 633/1972), se questi presentano la dichiarazione entro tre anni dalla data in cui essa avrebbe dovuto essere presentata, e ai medesimi soggetti qualora presentino la dichiarazione entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta, ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa del settanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato, con un minimo di centocinquanta euro.

Viene infine ridotta, dal trenta al venticinque per cento, la sanzione nei confronti di coloro che chiedono a rimborso l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione, in assenza dei presupposti individuati dall’articolo 30 del decreto Iva.

Il decreto delegato in commento interviene, poi, in rettifica delle violazioni degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini Iva, ovvero all’individuazione di prodotti determinati, prevedendo un’unica sanzione, stabilita ora al settanta per cento dell’imposta.

Analogamente, provvede alla riduzione della sanzione relativa ai corrispettivi non documentati e non registrati, non più compresa tra il cinque e il dieci per cento, bensì fissata nella misura del cinque per cento degli stessi.

In tema di mancata o non tempestiva memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, la precedente sanzione fissata al novanta per cento è ridotta adesso al settanta per cento dell’imposta.

Ulteriore riduzione, dal novanta al settanta per cento dell’imposta corrispondente all’importo non documentato, è prevista per la sanzione applicabile alle violazioni consistenti nella mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero nell’emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali.

Non meno rilevanti, le modifiche approntate relativamente al trattamento sanzionatorio previsto per chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa. A tal proposito, viene innanzitutto ridotta la sanzione amministrativa dal novanta al settanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta; viene altresì previsto che, nel caso di applicazione dell’imposta con aliquota superiore a quella prevista per l’operazione, o di applicazione dell’imposta per operazioni esenti, non imponibili o non soggette, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, il cessionario o committente sia punito con la sanzione amministrativa compresa fra duecentocinquanta e diecimila euro. Nelle ipotesi di cui al primo periodo, e salvi i casi di frode e di abuso del diritto, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere.

Il cessionario o committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è ora punito con una sanzione amministrativa pari al settanta per cento dell’imposta, con un minimo di duecentocinquanta euro, sempreché non provveda a comunicare

l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle entrate, tramite gli strumenti messi a disposizione dalla medesima, entro novanta giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o è stata emessa la fattura irregolare.

Si riduce, da ventimila a diecimila euro, inoltre, la sanzione massima applicabile al cessionario o committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di attuare gli adempimenti connessi all’inversione contabile, e viene fissato al cinque per cento dell’imponibile l’aumento da applicare a tale sanzione, nel caso in cui l’operazione non risulti dalla contabilità.

Se il cessionario o committente applicano l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette. Con la modifica apportata dal nuovo decreto, tale previsione trova applicazione in tutti i casi di operazioni inesistenti, anche ove astrattamente imponibili, ma il cessionario o committente è punito ora con una sanzione amministrativa del cinque per cento dell’imponibile, con un minimo di mille euro (attualmente è prevista una sanzione variabile dal cinque a dieci per cento dell’imponibile).

La sanzione applicabile al cessionario che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato mezzi tecnici (articolo 74, primo comma, lettera d), del Dpr n. 633/1972, per i quali gli sia stato rilasciato un documento privo dell’indicazione della denominazione e del soggetto passivo che ha assolto l’imposta o con indicazioni manifestamente non veritiere, viene rimodulata nella misura del dieci per cento del corrispettivo dell’acquisto non documentato regolarmente.

In materia di esportazioni, viene fissata al cinquanta per cento del tributo – in luogo della precedente misura variabile dal cinquanta al cento per cento – la sanzione applicabile a chi effettua cessioni di beni senza addebito d’imposta (articolo 8, primo comma, del decreto Iva) e, in base all’articolo 41, comma 1, lettera a), del Dl n. 331, qualora il bene sia trasportato in altro Stato membro dal cessionario o da terzi per suo conto e il bene non risulti pervenuto in detto Stato entro novanta giorni dalla consegna.

È individuata nella misura del settanta per cento dell’imposta, inoltre, la sanzione applicabile a chi effettua operazioni senza addebito d’imposta, in mancanza della dichiarazione d’intento, sanzione prima prevista in misura variabile dal cento al duecento per cento. Sempre al settanta per cento viene fissata la misura della sanzione applicabile a chi, nelle fatture o nelle dichiarazioni in dogana relative a cessioni all’esportazione, indica quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali.

Per quanto concerne le violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni, nei casi in cui l’omissione o incompletezza della dichiarazione dei redditi, dell’Irap o dell’Iva riguardi l’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi, è prevista una sanzione amministrativa pari al dieci per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un importo minimo di cinquecento euro e un massimo riformato in trentamila euro (tale importo massimo era precedentemente fissato in cinquantamila euro).

La stessa modifica viene operata rispettivamente nel caso in cui l’omissione o l’incompletezza riguardi l’indicazione dei dividendi e delle plusvalenze relativi a partecipazioni detenute in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato o l’omissione o incompletezza riguardi la segnalazione prevista dall’articolo 167, comma 8-quater, terzo periodo, del Tuir.

Viene rimodulata anche la misura della sanzione applicabile – adesso compresa tra millecinquecento e quindicimila euro, piuttosto che tra duemila e ventunomila euro – nei casi in cui l’omissione o l’incompletezza riguardi le segnalazioni previste dagli articoli 113, comma 6, 124, comma 5-bis e 132,

comma 5, del Tuir (Dpr n. 917/1986), dall’articolo 30, comma 4-quater, della legge n. 724/1994 e dall’articolo 1, comma 8, del decreto-legge n. 201/2011.

In tema di violazioni degli obblighi degli operatori finanziari, è prevista una riduzione della misura della sanzione, ora compresa tra millecinquecento e quindicimila euro, invece che tra duemila e ventunomila euro, applicabile qualora venga omessa la trasmissione dei dati, delle notizie e dei documenti richiesti dall’’articolo 32, primo comma, numero 7, del Dpr n. 600/1973, e dell’articolo 51, secondo comma, numero 7, del decreto Iva, nell’esercizio dei poteri inerenti all’accertamento delle imposte dirette o dell’imposta sul valore aggiunto ovvero i documenti trasmessi non rispondono al vero o sono incompleti.

Con riguardo alle residuali violazioni in materia di imposte dirette e Iva, viene aggiunto il limite di mille euro, per ciascun trimestre, in caso di omessa o tardiva trasmissione ovvero trasmissione con dati incompleti o non veritieri dei corrispettivi giornalieri, se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

confermata invece la sanzione amministrativa del dieci per cento delle minusvalenze omesse o per cui sussiste infedele o incompleta comunicazione, tuttavia, è stata diminuita da cinquantamila a trentamila euro la sanzione massima applicabile. Diversi, ancora, gli interventi in modifica della disciplina riguardante il trattamento sanzionatorio accessorio applicabile in materia di imposte dirette e Iva.

In particolare, sono stati innalzati i limiti temporali delle sanzioni accessorie individuate dal decreto legislativo n. 472/1997, e vengono ridotte alla metà le soglie per l’applicazione delle stesse per i soggetti che, pur in presenza dei requisiti previsti dalla legislazione, non aderiscono alla proposta di concordato preventivo biennale, ovvero che decadono dallo stesso per violazioni di obblighi della relativa normativa, con riferimento ai periodi d’imposta oggetto della proposta di concordato.

L’articolo 4, del Dlg in commento propone modifiche alla disciplina sulle sanzioni amministrative relative a violazioni concernenti le imposte di registro, sulle successioni, ipotecaria, di bollo, sugli spettacoli, la tassa sulle concessioni governative, nonché per le violazioni delle disposizioni tributarie in materia di assicurazioni. Si propone di ridurre l’ammontare di talune sanzioni o mantenere la sola sanzione minima in alcuni casi di sanzioni variabili tra un importo minimo e massimo.

In caso di incertezza interpretativa non è punibile il contribuente che accetti le indicazioni del Fisco e presenti la dichiarazione integrativa pagando l’eventuale tributo dovuto entro 60 giorni dalla pubblicazione del documento di prassi con l’orientamento da adottare.

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