Smart working, in italiano è tradotto letteralmente con “lavoro intelligente”, ed effettivamente è una soluzione geniale, soprattutto nelle grandi città dove gli spostamenti lavorativi, tra i tempi di andata e quelli di ritorno, possono essere abitualmente superiori alle due ore. Il telelavoro, che forse è una definizione arcaica ma è senz’altro migliore della traduzione letterale dall’inglese, è stato “scoperto” nel nostro paese durante il regime di quarantena forzata dal quale stiamo pian piano emergendo. D’altronde si sa, in Italia i cambiamenti arrivano solo se si è costretti ad attuarli. Avendo quindi scoperto l’acqua calda, che in altri paesi di Europa è consuetudine, ci si è resi conto che spostare 10 persone da tutta Italia per farle arrivare a Milano può essere semplificato con una riunione virtuale, attraverso una qualsiasi delle numerose piattaforme che offrono servizi di videochiamata di gruppo e l’uso di un computer. Questo ha ovviamente delle ricadute socio-economiche mostruose se questa pratica potrà davvero diventare la nuova realtà del mondo del lavoro. Per i pendolari, per tutte quelle persone che restano ogni mattina paralizzate sul Grande Raccordo Anulare di Roma o sulla tangenziale di Milano la giornata potrebbe iniziare alle 9 meno un quarto, e ci si potrebbe mettere seduti alla propria postazione in pigiama, senza avere alle spalle già un’ora e mezza di esaurimento nervoso da traffico.
Senza soffermarci sulle problematiche psicologiche che emergono dal logorio di una vita dedicata agli spostamenti per andare e tornare dal lavoro, sulle ricadute che questi tempi morti hanno sulla vita dell’individuo e sulle ripercussioni fisiche e posturali che si innescano con queste situazioni di stress giornaliero, l’obiettivo di questo articolo è quello di stimolare l’attenzione del lavoratore sulla “postazione di lavoro casalinga”.
La seconda domanda che pongo ad una prima visita con un paziente è “che lavoro fa?”, se è un lavoro svolto al videoterminale gli chiedo di descrivermi e simularmi il posizionamento della postazione in tutte le sue componenti, nonché la sua seduta. Questo serve a capire se una poltrona operativa è dotata di braccioli, sapere se sono allo stesso livello della scrivania, altrimenti sapere se il paziente appoggia i gomiti sulla scrivania o se vengono tenuti nel vuoto; e così via si procede con tutta una serie di domande, dove con poche piccole attenzioni o modifiche si possono evitare tanti problemi che una postazione poco ergonomica o abitudini posturali errate possono causare nel tempo.
Ma per quanto odiata, maledetta e scomoda possa essere la vostra postazione a lavoro difficilmente sarà peggio di lavorare con un portatile con lo schermo basso, sul tavolo della cucina, seduti 8 ore su una sedia da pranzo in plastica di Ikea.
Ovviamente tutti hanno dovuto adattarsi ad una situazione improvvisa che ci ha bloccati in casa con paure ed incertezze, e non è passato per l’anticamera del cervello a nessuno di pensare a rendere comoda e soprattutto ergonomica la propria postazione di lavoro da remoto dalla cucina.
Parlando con diversi pazienti sono venuto però a conoscenza del fatto che molte realtà lavorative, soprattutto nel settore pubblico, resteranno in smart working fino a Settembre, e che per qualcuno addirittura, il telelavoro potrebbe diventare una realtà da alternare al lavoro in sede.
Se veramente si vuol trarre il massimo del beneficio dal telelavoro bisogna approntare una postazione che eviti di stressare vista, colonna cervicale, spalle, polsi e colonna lombare.
La cosa più importante da fare se si lavora con un portatile è quella di dotarsi di un monitor da collegare al proprio portatile. Parliamo di un investimento inferiore ai 100 euro, dove tra nuovo e usato si può spaziare enormemente sulle dimensioni della diagonale, il tipo di connettività ed altri parametri che per lavorare con programmi di scrittura e fare riunioni da remoto sono del tutto trascurabili. Acquistare un monitor aggiuntivo vi permette di mandare il segnale video dallo schermo del vostro portatile sul monitor più grande, il che significa poter lavorare ad una distanza maggiore senza dover affaticare la muscolatura oculare, quella cervicale e di poter tenere a tutto tondo una postura migliore, con l’obiettivo di avere lo sguardo in linea con il centro del monitor, cosa che con un portatile è impossibile.
Secondo step, tastiera e mouse: se avete preso il monitor aggiuntivo comprate un cavo leggermente più lungo per connettere il vostro notebook al monitor, così da poter sfruttare la tastiera del portatile senza doverne acquistare un’altra. Avere un mouse al posto del touchpad del portatile può risultare più comodo, e qui spendendo 15-20 euro ci si può aiutare notevolmente; se volete invece fare un vero investimento, soprattutto se avete già avuto in passato problemi al polso o al gomito, acquistate un mouse verticale: vi cambierà davvero la vita.
Per chi ha invece una workstation portatile da 17” o superiore può volendo saltare il passaggio del monitor e comprare direttamente mouse e tastiera aggiuntivi. Si predisporrà un rialzo, anche con dei libri volendo, per portare il notebook all’altezza dello sguardo, e si sfrutteranno mouse e tastiera (spesa di 30-40 euro totali per un giusto compromesso qualità-prezzo) per dare gli input alla macchina.
Terzo passaggio: la seduta. Ultima ma non per ultima, una buona poltrona operativa che si adatti al meglio al tavolo dove operate abitualmente è una condicio sine qua non per poter appoggiare saldamente ed interamente gomiti e avambracci, scaricare così i trapezi e gli elevatori della scapole per non sovraccaricare spalle e distretto cervicale.
Regola aurea sia per l’ufficio che per casa, alzarsi ogni 30-40’ per mobilizzare tutte le articolazioni e riposare la vista.
Sperando che il lavoro intelligente diventi realtà portando tutti ad avere più tempo libero, essere più sereni nella vita e disponibili con il prossimo, investire sulla propria salute è un passo necessario ma ancora troppo sottovalutato.