IL WHISTLEBLOWING: IMPLICAZIONI IN MATERIA DI ANTIRICICLAGGIO

Il Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24 ha recepito la Direttiva Ue 2019/1937 sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto comunitario e delle disposizioni normative nazionali; le connessioni con la disciplina della compliance e dell’AML sono molteplici in quanto la normativa interviene tanto sulle organizzazioni dotate di Modelli Organizzativi Gestionali ex D.Lgs. 231/2001, quanto sulla platea dei destinatari della normativa AML. Nel presente contributo editoriale, ci si sofferma sulle interrelazioni con la disciplina antiriciclaggio.

In linea generale, il whistleblowing è un sistema di derivazione anglosassone, tramite il quale viene regolamentata la possibilità, per un soggetto, incardinato all’interno di un’organizzazione pubblica o privata, di segnalare potenziali condotte illecite o irregolarità di cui viene a conoscenza durante l’esecuzione della propria prestazione lavorativa.

Pietra miliare della normativa comunitaria in materia è la Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, comunemente nota come Direttiva Whistleblowing, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. La Direttiva (UE) 2019/1937 offre, ai sensi dell’art. 4, una definizione estremamente ampia di whistleblower, andando ad includere un complesso di soggetti collegati a vario titolo all’organizzazione nella quale si è verificata la violazione e che potrebbero potenzialmente esser destinatari di forme ritorsive in virtù della situazione di vulnerabilità economica e contrattuale in cui versano; tra questi vi rientrano, a titolo esemplificativo, i dipendenti, gli amministratori, i lavoratori autonomi, i collaboratori esterni, i tirocinanti e tutti i soggetti che lavorano sotto la supervisione e direzione di appaltatori, sub-appaltatori e fornitori. Le misure di protezione si estendono poi anche ai c.d. facilitatori, ossia coloro che prestano assistenza al lavoratore nel processo di segnalazione, ai colleghi e persino ai parenti dei whistleblowers. La direttiva prevede una tutela per il whistleblower senza differenziazione tra settore pubblico e settore privato.

L’iniziativa legislativa comunitaria trova le sue motivazioni nella diffusa consapevolezza che, a livello europeo, la protezione degli informatori è ancora disomogenea e frammentata, con la conseguenza di scoraggiare l’invio delle segnalazioni per timore di ritorsioni ed inadeguati livelli di tutela; partendo da tali presupposti, la Commissione ha adottato un pacchetto di iniziative normative volte ad istituire un quadro giuridico completo per la protezione degli informatori al fine di salvaguardare l’interesse pubblico a livello unionale.

Come emerge dall’articolo 1 e dai “considerando”, scopo della direttiva è disciplinare la protezione dei whistleblowers all’interno dell’Unione, mediante norme minime di tutela, volte a uniformare le normative nazionali, tenendo conto che coloro “che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a sapere nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione” (considerando 31). Il legislatore europeo intende attribuire allo strumento del whistleblowing la funzione di “rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità” (considerando 2) e di prevenire la commissione dei reati. L’implementazione di un adeguato sistema normativo in materia di whistleblowing promuove un’etica di legalità e scoraggia la commissione, sul posto di lavoro, di reati di varia natura; contestualmente genera un effetto dalla portata ben più ampia, andando ad innalzare il livello di tutela di un complesso di diritti fondamentali della persona come la libertà di espressione e d’informazione, il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, il diritto alla protezione dei dati personali.

La Direttiva in commento apre quindi la strada verso un cambio di prospettiva che non si limita solo a sostenere il semplice riconoscimento del diritto a segnalare, bensì auspica un rafforzamento del sistema di tutele a favore del segnalante ed impone ai singoli Stati membri di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive da applicarsi in caso di violazioni della normativa.

Considerando 1 Direttiva (UE) 2019/1937, chi lavora per un’organizzazione pubblica o privata o è in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale è spesso la prima persona a venire a conoscenza di minacce o pregiudizi al pubblico interesse sorti in tale ambito. Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli «informatori – whistleblowers») svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società. Tuttavia, i potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti nel timore di ritorsioni. In tale contesto, l’importanza di garantire una protezione equilibrata ed efficace degli informatori è sempre più riconosciuta a livello sia unionale che internazionale.

In Italia l’istituto del whistleblowing trova la sua genesi nella Legge n. 190/2012 attraverso cui viene inserito nel D.Lgs. n. 165/2001 (T.U. del Pubblico Impiego), l’art. 54-bis, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” e nel quale viene statuito che “il pubblico dipendente […] non può essere sanzionato, dimensionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sul – le condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione […] L’adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere […]”.

Il sistema viene poi radicalmente modificato con l’entrata in vigore della Legge 30 novembre 2017 n. 179 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Il provvedimento si compone di tre articoli dedicati alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (art. 1); alla tutela del dipendente o del collaboratore che segnala illeciti nel settore privato (art.2); all’integrazione della disciplina dell’obbligo di segreto d’ufficio, professionale, scientifico e aziendale (art. 3).

La legge in esame, da un lato, implementa la tutela prevista dalla L.n. 190/2012 per i dipendenti pubblici che segnalano gli illeciti, innalzandone il livello di tutela ex art. 54-bis D.Lgs. 165/2001; dall’altro, amplia l’articolo 6 del D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 con un complesso di misure dedicate al whistleblower nel settore privato, attraverso l’introduzione dei commi 2 Bis, 2 Ter e 2 Quater.

Venendo ai tempi recenti, l’adozione nel nostro Paese della Direttiva (UE) 2019/1937 è stata non poco travagliata. L’Italia ha cercato di ottemperare a tale onere per tempo; infatti, il Consiglio dei Ministri, in data 9 dicembre 2022, aveva dato attuazione alla richiamata direttiva approvando lo schema di decreto legislativo, tuttavia l’iter di approvazione non si è concluso nei tempi richiesti e per tale motivo la Commissione Europea aveva deciso di deferire l’Italia, assieme ad altri Stati membri (Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Spagna, Italia, Lussemburgo, Ungheria e Polonia) alla Corte di Giustizia per la mancata adozione e l’omessa notifica delle misure nazionali di recepimento nei rispettivi sistemi giuridici.

Il 09.03.23, il Consiglio dei ministri approva, in esame definitivo, il Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 e, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 marzo 2023, viene pubblicato il Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24.

L’art. 24 del citato Decreto ha stabilito che entro il 15 luglio 2023 vi sarebbe dovuto essere un adeguamento delle imprese di maggiori dimensioni (ossia con 250 o più dipendenti); mentre per i soggetti privati che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato e fino a 249 unità, l’obbligo decorre dal prossimo 17 dicembre 2023.

Il D.lgs. 24/2023 si applica a tutti i soggetti del settore pubblico e del settore privato, come definiti dall’art.2, comma 1, lett. p) e lett. q). Art.2, comma 1, lett. p) «soggetti del settore pubblico»: le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione, gli enti pubblici economici, gli organismi di

diritto pubblico di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, i concessionari di pubblico servizio, le società a controllo pubblico e le società in house, così come definite, rispettivamente, dall’articolo 2, comma 1, lettere m) e o), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, anche se quotate.

Art.2, comma 1, lett. q)«soggetti del settore privato»: soggetti, diversi da quelli rientranti nella definizione di soggetti del settore pubblico, i quali: 1) hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato; 2) rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione di cui alle parti I.B e II dell’allegato, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero 1); 3) sono diversi dai soggetti di cui al numero 2), rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero 1).

La nuova disciplina provvede altresì ad effettuare una tipizzazione delle condotte illecite segnalabili, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. 24/2023.

Secondo l’Art. 2, comma 1, lett. A) del d.lgs. 24/2023, A) «violazioni»: comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato e che consistono in: 1) illeciti amministrativi, contabili, civili o penali che non rientrano nei numeri 3), 4), 5) e 6); 2) condotte illecite rilevanti ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, che non rientrano nei numeri 3), 4), 5) e 6); 3) illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’unione europea o nazionali indicati nell’allegato al presente decreto ovvero degli atti nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell’unione europea indicati nell’allegato alla direttiva (ue) 2019/1937, seppur non indicati nell’allegato al presente decreto, relativi ai seguenti settori: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi; 4) atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell’unione di cui all’articolo 325 del trattato sul funzionamento dell’unione europea specificati nel diritto derivato pertinente dell’unione europea; 5) atti od omissioni riguardanti il mercato interno, di cui all’articolo 26, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’unione europea, comprese le violazioni delle norme dell’unione europea in materia di concorrenza e di aiuti di stato, nonché’ le violazioni riguardanti il mercato interno connesse ad atti che violano le norme in materia di imposta sulle società o i meccanismi il cui fine e’ ottenere un vantaggio fiscale che vanifica l’oggetto o la finalità della normativa applicabile in materia di imposta sulle società; 6) atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’unione nei settori indicati nei numeri 3), 4) e 5).

La disciplina del whistleblowing costituisce un perno fondamentale ai fini della corretta implementazione dei presidi antiriciclaggio. L’ art. 61, par.3 della Direttiva (UE) 2015/849 (IV Direttiva Antiriciclaggio), statuisce che “Gli Stati membri stabiliscono che i soggetti obbligati predispongano adeguate procedure perché i dipendenti o le persone in posizione comparabile possano segnalare a livello interno le violazioni attraverso uno specifico canale anonimo e indipendente, proporzionato alla natura e alla dimensione del soggetto obbligato interessato”.

In attuazione di tale obbligo, il D.lgs. 90/2017 prevede, all’interno del D.lgs. 231/2007, specifiche disposizioni concernenti la segnalazione di violazioni della disciplina antiriciclaggio, garantendo contestualmente un adeguata tutela del soggetto segnalante. In particolar modo, viene introdotto il Capo VII “Segnalazione di violazioni” e, al suo interno, l’art. 48 rubricato appunto “Segnalazione di violazioni”.

In particolar modo, l’art. 48, comma 1 impone ai soggetti obbligati di adottare “procedure per la

segnalazione al proprio interno da parte di dipendenti o di persone in posizione comparabile di violazioni, potenziali o effettive, delle disposizioni dettate in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”. Per quanto riguarda la nozione di “persone in posizione comparabile” rispetto ai dipendenti, con tale locuzione si intende riferirsi al novero di soggetti incardinati a vario titolo all’interno dell’organizzazione aziendale, anche attraverso forme contrattuali diverse da quella stretta del rapporto di lavoro subordinato.

L’ art. 48 prosegue al comma 2 stabilendo che “Le procedure di cui al comma 1 garantiscono: a) la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante e del presunto responsabile delle violazioni, ferme restando le regole che disciplinano le indagini e i procedimenti avviati dall’autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto delle segnalazioni; b) la tutela del soggetto che effettua la segnalazione contro condotte ritorsive, discriminatorie o comunque sleali conseguenti la segnalazione; c) lo sviluppo di uno specifico canale di segnalazione, anonimo e indipendente, proporzionato alla natura e alle dimensioni del soggetto obbligato”. Il dettato normativo richiamato impone pertanto la tutela del segnalante con riferimento: avviati dall’Autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto delle segnalazioni; alla tutela avverso condotte di retaliation quali, a titolo esemplificativo, il licenziamento ritorsivo o discriminatorio, il mutamento di mansioni ex art. 2103 c.c. e qualunque altra misura di natura ritorsiva o discriminatoria; alla garanzia di poter ricorrere ad appositi canali di segnalazione, anonimi e indipendenti, proporzionati alla loro natura e dimensione.

Il comma 3 sottolinea come la segnalazione non costituisce, di per sé, violazione degli obblighi derivanti dal rapporto contrattuale con il soggetto obbligato; il comma 4 chiude stabilendo che l’identità del segnalante può essere rivelata solo con il suo consenso o nei casi in cui sia indispensabile per la difesa del segnalato; per converso, come sottolineato dal CNDEC e Fondazione Nazionale Commercialisti, ne “La disciplina del whistleblowing: indicazioni e spunti operativi per i professionisti” , risulta “inapplicabile l’art. 15, co. 1, del Regolamento (UE) 2016/679 – GDPR, che prevede il diritto dell’interessato di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l’accesso ai dati personali e ad una serie di informazioni puntualmente elencate dalla norma”.

Ai fini di una migliore comprensione delle sinergie tra la disciplina del whistleblowing e quella dell’antiriciclaggio, giova effettuare una comparazione tra l’istituto del whistleblowing e lo strumento della Segnalazione di Operazioni Sospette ex art.35 del D. Lgs.231/07.

Il whistleblowing concerne la segnalazione, attraverso appositi canali, da parte di un dipendente ovvero di un altro soggetto inserito a vario titolo nella società, il quale, durante lo svolgimento della propria attività lavorativa, rileva una violazione delle disposizioni applicabili all’ente; la finalità dello strumento è pertanto quello di far emergere eventuali carenze nel sistema di collaborazione all’interno dell’organizzazione; l’art.48 non prevede modalità di segnalazione esterna delle infrazioni riscontrate ma si concentra unicamente sul whistleblowing interno. Il whistleblower pertanto è la persona che segnala violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse e l’integrità dell’amministrazione pubblica ovvero dell’ente privato, avvalendosi in primis di un canale interno e, solo al ricorrere di una delle condizioni di cui all’art. 6, ricorrendo ad una segnalazione esterna nei confronti dell’ANAC.

Per converso, la SOS si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della funzione antiriciclaggio e, in caso di fondatezza, della UIF, le possibili attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo compiute o tentate dalla clientela. La finalità dello strumento è quella di creare ed alimentare un ampio patrimonio informativo che consenta all’UIF di avere una visione integrata ed aggiornata delle fenomenologie criminogene volte al riciclaggio di denaro ed al finanziamento di capitali illeciti. Per quanto concerne il presupposto dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta, non rileva la necessità di una preventiva configurabilità del delitto

sotto un profilo strettamente penalistico, essendo sufficiente il semplice sospetto di un reato ancora in fase di perfezionamento ovvero che non abbia ancora maturato le soglie di punibilità previste dalla correlata normativa penale. La segnalazione rimane quindi un atto ben distinto dalla denuncia di fatti penalmente rilevanti.

L’art. 35 D. Lgs.231/07 impone ai segnalanti l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette appellandosi ad una forma di cooperazione doverosa richiesta a figure dotate di conoscenze in grado di agevolare l’accertamento di eventuali illeciti penali. Tale attività conoscitiva si deve basare sul complesso di elementi oggettivi e soggettivi che il professionista ha a sua disposizione ed in virtù delle funzioni esercitate; oltre tale perimetro, non viene richiesto di addentrarsi in ulteriori indagini estranee all’adempimento dell’incarico professionale.

Detto ciò, i due processi in esame contemplano anche delle analogie. Per quanto concerne la TUTELA DELLA RISERVATEZZA, l’art. 12 del D.lgs. 24/2023 statuisce che l’identità della persona segnalante non può essere rivelata senza il consenso espresso della persona medesima, a soggetti diversi da quelli competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni; nell’ambito del procedimento penale, l’identità della persona segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 c.p.p.; nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria; nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità; i soggetti del settore pubblico e del settore privato, l’ANAC ed ogni altra autorità amministrativa coinvolta, tutelano l’identità delle persone menzionate nella segnalazione fino alla conclusione dei procedimenti avviati nel rispetto delle medesime garanzie previste in favore della persona segnalante; ferme restando tutte le previsioni contenute nell’articolo richiamato, durante le procedure di segnalazione, la persona coinvolta può essere sentita, ovvero, su sua richiesta, è sentita, anche mediante procedimento cartolare attraverso l’acquisizione di osservazioni scritte e documenti.

Venendo ai presidi normativi in materia di SOS, la tutela del segnalante viene garantita ai sensi dell’art. 38 del D.lgs. 231/2007 ed integrata con il successivo art.39 recante il divieto di comunicazioni inerenti le segnalazioni di operazioni sospette. Il principio di riservatezza è assoluto e può essere derogato solo nelle ipotesi previste dall’art. 12, riguardanti le attività di cooperazione tra le amministrazioni, gli organismi interessati e l’autorità giudiziaria e finalizzate alla prevenzione dell’uso del sistema economico finanziario a scopo di riciclaggio; in tali fattispecie, lo scambio di informazioni tra i predetti soggetti può avvenire anche in deroga all’obbligo del segreto d’ufficio.

La tutela della riservatezza nell’ambito delle segnalazioni delle operazioni sospette è stata oggetto di un ulteriore intervento del legislatore in occasione dell’emanazione del Decreto Milleproroghe. Nel dettaglio, il testo di legge ha operato una rivisitazione del comma 3 dell’art.38 del D.Lgs. n. 231/2007 in cui viene statuito che “In ogni fase del procedimento, l’autorità giudiziaria adotta le misure necessarie ad assicurare che l’invio della segnalazione e delle informazioni trasmesse dalle FIU, il contenuto delle medesime e l’identità dei segnalanti siano

mantenuti riservati. In ogni caso, i dati identificativi dei segnalanti non possono essere inseriti nel fascicolo del Pubblico Ministero né in quello per il dibattimento, ne’ possono essere in altro modo rivelati, salvo che ciò risulti indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati per i quali si procede. In tale caso, l’Autorità giudiziaria provvede con decreto motivato, adottando le cautele necessarie ad assicurare la tutela del segnalante e, ove possibile, la riservatezza della segnalazione e delle informazioni trasmesse dalle FIU”.

Contestualmente è stato introdotto il nuovo comma 3bis, in cui viene stabilito che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente l’identità del segnalante è punito con la reclusione da due a sei anni. La stessa pena si applica a chi rivela indebitamente notizie riguardanti l’invio della segnalazione e delle informazioni trasmesse dalle FIU o il contenuto delle medesime, se le notizie rivelate sono idonee a consentire l’identificazione del segnalante”.

Il dettato normativo richiamato impone quindi all’Autorità giudiziaria, durante tutte le fasi del procedimento, di adottare le misure necessarie ad assicurare la riservatezza del contenuto delle SOS e dell’identità dei segnalanti. I dati identificativi dei segnalanti possono essere acquisiti solo tramite decreto motivato, previa adozione delle cautele necessarie e non possono esser inseriti nei fascicoli processuali e dibattimentali a meno che ciò risulti indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati per i quali si procede. Non da ultimo, a rafforzare ulteriormente gli obblighi di tutela della riservatezza, viene introdotta una sanzione penale per chi riveli indebitamente l’identità del segnalante ovvero ne consenta l’identificazione divulgando il contenuto delle segnalazioni.

Altro argomento che merita una riflessione comparativa è quello del segreto professionale. In linea generale, come ben sappiamo, la prestazione resa da un professionista nei confronti del proprio cliente presenta un animus marcatamente fiduciario basato sul segreto professionale e che contempla l’assoluto dovere di astensione da ogni forma di divulgazione delle informazioni acquisite, assicurando contestualmente che tale principio venga rispettato anche da collaboratori e dipendenti.

Per quanto riguarda l’inoltro di una SOS, questa non costituisce una violazione di obblighi di riservatezza, nella misura in cui sussista, il presupposto della buona fede; in buona sostanza, le segnalazioni risultano legittime se rispondono alla preminente necessità di assicurare la piena attuazione dei presidi antiriciclaggio. Il professionista non potrà quindi ricorrere al principio della segretezza professionale per giustificare la mancata attuazione dell’obbligo in esame, laddove vengano riscontrati i concreti presupposti per la segnalazione.

Con specifico riferimento all’attività forense, il legislatore comunitario, nel Considerando 20 della III Direttiva Antiriciclaggio, ha espressamente statuito che le informazioni ottenute nel corso del procedimento giudiziario o dell’esame della posizione giuridica di un cliente non sono oggetto di comunicazione e di assoggettare, così, la consulenza legale al vincolo del segreto professionale purché, naturalmente, il consulente non risulti egli stesso partecipe alle attività di riciclaggio. L’orientamento comunitario è stato ovviamente assorbito dalla legislazione nazionale. L’ art. 35 co. 5 del d.lgs. 231/07 statuisce che “l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non si applica ai professionisti per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento innanzi a un’autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”.

Ad analoghe conclusioni giunge l’art.1, comma 4 del D.Lgs. 24/23, laddove esclude dall’ambito applicativo della disciplina del whistleblowing: le informazioni classificate; il segreto professionale forense e medico; la segretezza delle deliberazioni degli organi giurisdizionali.

Un aspetto da sottolineare è legato alla tempestività della segnalazione. In materia di SOS, l’attuale formulazione della norma indica che la segnalazione debba essere inviata all’ UIF “prima di compiere l’operazione” e “senza ritardo”. La perentorietà di questa formulazione trova completamento nel comma 2 dell’art. 35, laddove i segnalanti sono invitati a non compiere l’operazione finché non hanno effettuato la segnalazione e nell’obbligo di astensione previsto dall’ art. 42 nel caso in cui non sia possibile completare l’adeguata verifica della clientela ovvero in presenza di elementi di opacità che non rendono chiaro il contesto operativo di riferimento. In quest’ultimo caso, a seguito dell’astensione, il professionista valutata la

sussistenza delle eventuali condizioni per procedere con l’inoltro di una segnalazione di operazione sospetta, fermo restando che non vi è alcun automatismo tra le procedure di astensione e trasmissione di una S.O.S.

Per quanto riguarda le tempistiche in materia di whistleblowing, gli art. 4 e 5 del D.lgs. 24/23, stabiliscono che la gestione del canale di segnalazione è affidata a una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato, ovvero è affidata a un soggetto esterno, anch’esso in possesso di adeguate competenze; le segnalazioni sono effettuate in forma scritta, anche con modalità informatiche, oppure in forma orale. Quest’ultime sono effettuate attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto fissato entro un termine ragionevole; la persona o l’ufficio interno ovvero il soggetto esterno, ai quali è affidata la gestione del canale di segnalazione interna svolgono le seguenti attività: rilasciano alla persona segnalante avviso di ricevimento della segnalazione entro sette giorni dalla data di ricezione; mantengono le interlocuzioni con la persona segnalante e possono richiedere a quest’ultima, se necessario, integrazioni; forniscono riscontro alla segnalazione entro tre mesi dalla data dell’avviso di ricevimento o, in mancanza di tale avviso, entro tre mesi dalla scadenza del termine di sette giorni dalla presentazione della segnalazione.

Da quanto esposto si può notare come le denunce in ambito whistleblowing rimangono endogene alla stessa realtà lavorativa; il whistleblower supporta l’organizzazione nell’individuare, all’interno della propria struttura, quelle condotte divergenti che potrebbero arrecare danni reputazionali, patrimoniali ed economici. Il processo di whistleblowing consente, ad ogni persona inserita stabilmente nell’organizzazione aziendale, di inoltrare la segnalazione, su propria iniziativa e mediante apposito canale, direttamente al responsabile individuato dall’ente. Partendo da tale presupposto, tutti i soggetti rientranti nell’ambito applicativo del D.lgs. n. 24/2023, dovranno attrezzarsi per predisporre adeguati canali interni di veicolazione delle informazioni e garantire consoni standard di sicurezza per quanto attiene alla tutela dell’identità dei segnalanti.

L’output della segnalazione di operazione sospetta invece è destinato ad esser condiviso con filiera degli stakeholders esterni ed in primis l’UIF; e grazie a questo flusso informativo, l’Unità può avere una visione integrata e costantemente aggiornata del complesso di fattispecie criminogene afferenti al riciclaggio.

Le modalità di inoltro ed il correlato contenuto informativo delle segnalazioni sono disciplinate dal Provvedimento del 4 maggio 2011 della UIF. Le segnalazioni sono trasmesse in via esclusivamente telematica, tramite il portale Internet dedicato INFOSTAT-UIF della Banca d’Italia.

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