Dall’inizio del XX secolo, la psicanalisi e il cinema occupano nella società contemporanea
un ruolo fondamentale. Le discipline in questione sembrano appartenere a due campi
differenti, ma in realtà non è esattamente come sembra: questa intensa fusione ha inizio
grazie al produttore Samuel Goldwin, il quale contattò direttamente Sigmund Freud
approvando così la realizzazione di un progetto ambizioso, I misteri di un Anima, in sala nel
1926. Ma il primo vero e proprio film che vede come protagonista la figura di uno
psicanalista risale al 1938, nel quale Fred Astaire ne vestì i panni e in cui cercava di curare
la giovane paziente Ginger Rogers, di cui però alla fine si innamorò profondamente. Quello
dello psicanalista, anche grazie al cinema e ai media, è diventato uno stereotipo costante
della nostra era.
Dal punto di vista della psicanalisi, invece, l’analisi dei film prende due diverse strade: la
prima, quando si analizza un film si va ad evidenziare l’analogia tra il cinema e l’inconscio:
l’elemento fondamentale è il modo nel quale la sceneggiatura è costruita, lasciando da parte
i significati che racchiude al suo interno. Poi, c’è il rapporto più contenutistico, che ha il
solo fine di interpretare le pellicole come espressioni dell’inconscio dell’autore “allo
scoperto”, mettendo in risalto i temi e le figure ricorrenti e facendo così emergere
complessi, traumi e ricordi dello stesso.
Dunque, un legame che mette in relazione queste materie viene affidato all’importanza del
sogno. Il sogno è quindi uno strumento costituito da vari livelli di comunicazione iconica da
cui è possibile carpire sfaccettature regredite del regista. Mediante le inquadrature, la
fotografia e la musica, è possibile percepire il messaggio, la voce di ciò che si sta vedendo
sul grande schermo, suscitando in noi miriadi di emozioni, spesso non raggiungibili allo
stato di coscienza. Infatti, anche lo spettatore, andando al cinema, è quasi costretto a
“psicoanalizzarsi” al buio di una sala, davanti a un film. Ogni pellicola, di nostro
gradimento o meno, tocca in vari modi il nostro interno: la reazione è l’impressione che ci
rimane, a differenza di quanto visto.