Dopo avere trionfato in sala e ai concorsi con Gomorra (2008) e con Reality (2012), il regista romano classe 1968 torna al cinema con la sua storia di «umanità e vendetta».
Il suo ultimo film è Dogman, ispirato ad un fatto vero e molto truce, quello del caso di cronaca nera del “canaro della magliana”, ovvero la storia di Pietro De Negri e del suo efferato delitto avvenuto a Roma nel 1988.
E come ha spiegato lo stesso regista più volte, nel suo film (ambientato in un altro luogo, in un altro periodo storico, con altri dettagli rispetto alla storia vera) il fatto di cronaca rimane semplicemente uno spunto è non c’è stato nessun tentativo di ricostruire gli accadimenti come sono andati o di dire che i personaggi corrispondono a quelli reali.
Il protagonista della storia che racconta Dogman è Marcello, padre solo e bonaccione, dedito alla figlia e al suo salone di bellezza per cani, che vive nella periferia estrema della sua città, in un quartiere nel quale tutti si vogliono bene e lui è benvoluto.
L’unico problema per lui sembra essere Simone, piccolo criminale di zona, un ex pugile violento e cocainomane che lo vessa, umilia e lo porta a forza sulla cattiva strada.
Vittima della prepotenza altrui, l’ingenuo e semplice Marcello diventa suo malgrado il fautore di una storia feroce, ma che Garrone ha preferito epurare della sua parte più truce, come le torture inferte da Marcello alla sua vittima.
In seguito ai tragici fatti avvenuti alla fine degli anni ’80 il vero “canaro” è stato condannato poi a ventiquattro anni di carcere, scontandone poi sedici per buona condotta.
Con questa pellicola Garrone si addentra all’interno di meccanismi oscuri, come quelli che regolano l’ambiguità del rapporto tra Marcello (interpretato dall’attore Marcello Fonte, fresco vincitore della Palma d’oro a Cannes) e Simone (interpretato da uno spaventoso Edoardo Pesce), poco di buono che tiene sotto scacco l’intero quartiere, inquadrato in una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, in un ambiente suburbano davvero suggestivo.
Il film cattura lo spettatore per 102 minuti, tra tensione, paura, ansia e disagio.
Dogman è un film che contrappone la gentilezza e la furia distruttrice tra l’umanità e la bestialità, la non linearità a cui spesso la vita ci ha abituati nel delineare rapporti altrimenti impensabili, tutto questo sospeso in un vortice di tensione che alterna luci naturali e quelle create dall’ottimo direttore della fotografia Nicolaj Bruel.
Garrone, anche autore della sceneggiatura insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, racconta brillantemente una storia che bisognava reinventare e raccontare al contrario, seguendo la vicenda di un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche la propria comunità e persino il mondo intero.
Il regista scava in fondo, fino ad arrivare ad osservare e mostrare al pubblico gli istinti più reconditi dell’essere umano.
La forza di questo film, asciutto e semplice, è quella di riuscire a scavare così tanto in profondità da raggiungere gli elementi primordiali che accomunano tutti gli uomini e tirarli in superficie, così da metterci di fronte ai nostri istinti più profondi, che siano quelli più violenti o quelli più teneri, riconoscendoli in quelli dei personaggi.
Un film davvero da non perdere