Ci sono film capaci di restituire spaccati di verità con delicatezza e poesia. Il film Gli anni amari, per la regia di Andrea Adriatico, conduce lo spettatore nella vita e nell’arte di Mario Mieli, ovvero di una figura cardine, ancorché troppo spesso dimenticata, del movimento italiano di liberazione Lgbt. Filosofo, artista e scrittore, performer, attivista, Mieli oltrepassa tutte le definizioni convenzionali, le distinzioni, essendo un precursore dell’odierno pensiero queer in rivolta contro il binarismo di genere, la dicotomia maschile-femminile dalla quale discendono tutte le altre come gay-etero, normale-deviante, e così via. Come scrive Teresa De Lauretis nella ricca appendice al Capolavoro di Mieli intitolato Elementi di Critica Omosessuale (1977), Mario avrebbe amato le teorie queer per “l’enfasi posta sulla trasgressività e la decostruzione di ogni binarismo (natura-cultura, sesso-genere, maschio-femmina, etero-omo, normale-diverso, adulto-bambino, umano-animale, uomo-macchina e così via), per il perseguimento a oltranza della visibilità e dell’autorappresentazione, per la performance di un’identità sessuale antinormativa, fluida, sfacciata, mutevole, in divenire”. L’interpretazione attoriale del bravissimo Nicola di Benedetto, che veste i panni difficili di Mario Mieli, rende manifesta la compresenza di sofferenza e gioia, vitalità e dolore psichico di un intellettuale visionario, morto suicida giovanissimo nel 1983. Nel cast del film, popolato da attori molto bravi, spiccano Sandra Ceccarelli e Tobia De Angelis, interpreti rispettivamente dei ruoli della madre e dell’ultimo compagno di Mieli. Come fossero specchi deformanti, ne riflettono impotenti le provocazioni, le angosce, i successi, i deliri, in una sorta di parabola esistenziale frastagliata da alti e bassi. D’altra parte, basta rileggere proprio Elementi di Critica Omosessuale per capire la profondità dell’animo del suo autore, la capacità di concepire concetti fondamentali come quelli di “Educastrazione”, “Traviata Norma”, “Capitale Mortifero”, “Gaio Comunismo”. La sua vita fu costellata da scelte radicali come il suo pensiero, centrato prevalentemente sul fatto che, in ciascuno e ciascuna di noi, esistono sempre l’uomo e la donna: “La società induce – scrive Mieli – i transessuali manifesti a sentirsi monosessuali e a celare il loro reale ermafroditismo. Ma, a dire il vero, così la società si comporta con tutti: infatti siamo tutti, nel nostro profondo, transessuali, siamo stati tutti bambini transessuali e ci hanno costretto a identificarci con un ruolo monosessuale specifico, maschile o femminile”. Le sue posizioni critiche si alimentarono di una conoscenza approfondita della psicoanalisi e del marxismo, poiché dovevano servire una causa più grande, utopica e immaginifica, come era quella di liberare l’umanità dalla oppressione delle strutture economiche e culturali. Nel film Gli anni amari si ricostruisce l’ambiente culturale e politico di Mieli, quegli anni Settanta che segnarono la nascita del movimento di liberazione gay in Europa e in Italia. Dapprima ci sarà il FUORI! (Fronte Omosessuale Rivoluzionario Italiano) di Angelo Pezzana dal quale Mario si allontanerà in disaccordo con la alleanza con i radicali, per poi fondare i COM (Collettivi Omosessuali Milanesi) destinati a scomparire come molti altri gruppi della sinistra radicale. Nei primi anni Ottanta, raggiunge una certa popolarità e prende parte ad alcuni programmi della Rai, introducendo elementi di favoloso disordine nella ingessata tivù di Stato. Ma, l’acuirsi della sofferenza psichica, unitamente alla sensazione che il vento della Storia stesse cambiando, lo fanno precipitare in uno stato di progressiva prostrazione fisica e mentale. Sulle note delle canzoni di Raffaella Carrà, vera colonna sonora degli anni Ottanta, avrà inizio un duplice processo di nuova marginalizzazione delle persone Lgbt sotto il peso dello stigma dell’Aids e di progressiva liberalizzazione del “desiderio omoerotico”, per riprendere un’altra felice espressione dell’autore. Tuttavia, come chiarisce in maniera esemplare Gianni Rossi Barilli, storico del movimento gay, liberazione e liberalizzazione non coincidono e Mieli “partendo dalla oppressione storica della omosessualità e combattendola arrivava alla conclusione che non si trattava di conquistare un ghetto o una fetta di normalità, ma di un cambio di prospettiva generale (…) la liberazione farà crollare il capitalismo, fondato sull’autoriproduzione della Norma e darà una concreta speranza di felicità agli esseri umani, consentendo loro di vivere in modo più sensato l’Eros storicamente sublimato nel lavoro o trasformato per frustrazione in aggressività.” Anche se le speranze di realizzazione del “gaio comunismo” di Mieli saranno del tutto disattese, rimane l’immenso valore del suo lascito intellettuale e politico, senza il quale l’elaborazione successiva delle lotte e delle politiche per l’uguaglianza di genere sarebbe rimasta incompleta.
Foto tratta dalla pagina Facebook dedicata al film.