Anatomia del sogno. Un saluto-pensiero per Lenz Fondazione di Enrico Piergiacomi

Anatomia del sogno. Un saluto-pensiero per Lenz Fondazione

di Enrico Piergiacomi

cultore della materia di storia della filosofia antica dell’Università di Trento e visiting researcher presso la Fondazione Bruno Kessler di Trento

I sognatori possono essere divisi in due specie: quelli che sono dominati dai loro sogni e quelli che dominano i loro sogni. Il primo gruppo si espone sul piano logico-cognitivo al rischio dell’alienazione e della confusione, mentre a livello etico cade nel disordine e nella delusione. Abbacinati da una falsa visione che li trascina fuori dalla realtà, o mossi da un ideale impossibile che assorbe le loro energie, i sognatori-dominati sono in una condizione di perenne frustrazione e non riescono più a dividere la realtà dalla finzione, il sogno dai fatti. Quando poi le loro illusioni si rivelano tali, l’incanto che li aveva animati all’inizio e per cui erano pronti persino a morire lascia spa-zio a una stanchezza irrimediabile. Il mondo da cui volevano fuggire torna ad essere grigio o spento nella sua cruda prepotenza.

Il secondo gruppo di sognatori mostra invece le caratteristiche contrarie a quelle ap-pena descritte. Le persone che appartengono alla categoria sanno distinguere il sogno dalla veglia, oppure – se riscontrano che i confini tra i due piani sono labili – si muovono con prudenza, valutando se le loro azioni avranno un impatto sulla realtà, sull’immaginazione, o su entrambe. Questo atteggiamento si ripercuote anche sulla dimensione morale. I sognatori che dominano i loro sogni sono messi al riparo dalla frustrazione. Poiché infatti sanno che ciò che sognano o immaginano non ha un esatto corrispettivo reale, riescono a preservarne la purezza e, allo stesso tempo, a evitare che le visioni vengano spazzate via dalle esperienze brutali della veglia. Le azioni di questi sognatori restano poi bizzarre o caotiche, ma in un senso stavolta costruttivo. Essi si muovono nel reale cercando di modificarlo e, per quanto è possibile, si sforzano di as-similarlo all’ideale. In altri termini, provano a far sì che ciò che viene immaginato diven-ga realtà e che gli oggetti della normale esperienza si trasfigurino in qualcosa di più bello.

Le due grandi specie di sognatori vanno considerate certo due astrazioni forse valide solo in generale. Le sfumature sono innumerevoli e, se ci fosse il tempo di dividere in modo più fine, troveremmo all’interno dei due gruppi molte sotto-categorie, ciascuna con i suoi pregi e le sue debolezze. Inoltre, non può essere escluso un processo di transizione. Un sognatore della prima specie può imparare a dominare i suoi sogni, os-sia a orientarli-controllarli, dopo esserne stato a lungo un burattino inconsapevole. Per converso, il sognatore della seconda specie può perdere il controllo delle proprie vi-sioni e regredire alla mera fantasticheria. Credo che il personaggio di Sigismondo de La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca sia un perfetto esemplare di sognatore

che passa dall’imprudenza alla prudenza, dalla condizione di dominato dai sogni a quella di loro saggio dominatore. Quando pronuncia la battuta che si deve «agire be-ne» sia nel reale che nel sogno («se è realtà, perché lo è; se no, per conquistare amici per il momento del risveglio»), egli intende forse dire che occorre usare un sano scetti-cismo verso il contenuto delle proprie visioni. Se sono autentiche, bisogna continuare a coltivarle con moderazione e intelligenza, nello specifico occorre applicarle nella veglia senza alcun pericoloso fanatismo. Se si scopre che le visioni sono false e irrealizzabili, si deve invece abbandonarle e lasciarsi attraversare da altre visioni più utili, interessanti, concrete.

Se volessi d’altro canto ipotizzare a quale gruppo vada ricondotto Lenz Fondazione, non esiterei ad ascrivere il collettivo al secondo. Mi pare infatti che la loro attività esteti-ca vada nella direzione aperta da Calderón, e non semplicemente perché la loro atten-zione si sia appunto concentrata su La vita è sogno. L’interesse per questo testo è sin-tomo e non conseguenza di una profonda affinità di visione/intenti con questo dram-maturgo. Semmai la motivazione è che il loro teatro è in generale un tentativo di domi-nare una visione, in altri termini di accrescerne il mistero e insieme di renderla com-prensibile alla mente degli spettatori. Lenz Fondazione non evoca sogni confusi, ma immagini che cadono sotto il pieno controllo del pensiero. Se si volesse dare un’analogia esplicativa, potremmo avvicinare il collettivo agli scienziati del Theatrum Anatomicum dell’età moderna. Come questi ultimi sezionano e sviscerano il cadavere di un animale davanti a un consesso di studiosi per coglierne l’essenza, così Lenz smi-nuzza e scompone davanti agli spettatori la fisionomia di una visione per comprender-ne gli intimi segreti. Abbiamo in tal senso l’anatomia di un sogno: un sogno che è son-dato in ogni particolare e misurato nelle sue fibre minute.

In questo caso, la visione che viene sezionata/sviscerata è la vita dello stesso Sigismon-do. Ogni sua azione ha i contorni dell’enigma. In particolare, egli è destinato dalle stel-le a condurre una vita infame, ma alla fine attinge a una forza più potente del fato per diventare un sovrano illuminato. Ciò denota il suo essere contraddittorio: è buono e cattivo, libero e schiavo, sognatore e lucido. I medesimi caratteri sono manifestati dal personaggio di Rosaura, che nel corso de La vita è sogno diventa donna, uomo e an-drogino. Ella partecipa prima di seduzione e grazia femminile, poi di violenza e animo-sità maschile, infine di una terza natura ibrida. Sia Sigismondo che Rosaura sono allora concretizzazioni del sogno, perché sono caotici e in perenne mutamento come la vi-sione onirica. Ora tutte le polarità opposte incarnate dai due personaggi di Calderón diventano, sotto il bisturi del Theatrum Anatomicum di Lenz Fondazione, la materia per una creazione che delimita il caos, che concentra un abisso di problemi insolubili nel nitore della forma compiuta. In questo consiste, a conti fatti, il felice concetto di imago-turgia. Le visioni confuse dei sogni sono dominate proiettandole nell’azione e nello spazio scenico, dunque trasformandole da astrazioni in enti tangibili, che ci riguardano da vicino.

Valga come esempio la questione del libero arbitrio. L’idea che Sigismondo perso-naggio sembra piegare alla sua volontà le leggi del fato sembra essere a prima vista un assurdo. La fatalità dovrebbe a rigore essere inesorabile: è quel qualcosa a cui si dovrà soccombere, a prescindere dai nostri sforzi di sfuggirvi. Spesso anzi accade l’esatto contrario: quanto più ci allontaniamo dal nostro destino, tanto più lo inseguiamo e vi precipitiamo a corpo morto. Come fa allora Sigismondo a evitare ciò che dovrebbe es-sere inevitabile? Lenz Fondazione ci aiuta a supporre, vivisezionando le azioni e l’anima del personaggio, che forse è necessaria una distinzione. Il fato opera soltanto sui corpi, sulla materia che agisce in conformità alle leggi della successione e della previsione causale. Sulle sostanze invece più sottili, tra cui sogni e visioni, la fatalità non ha presa e viene spodestata dal suo ruolo di padrona. Anche se le stelle risvegliano nel corpo di Sigismondo dei violenti istinti, la sua volontà non ne viene intaccata. Il suo convinci-mento che la sua intera esistenza è forse una proiezione onirica lo fa agire su un piano di realtà del tutto indipendente da quello materiale. L’ipotesi è insomma che esistano non uno, bensì due Sigismondi: quello del corpo o della veglia e quello della mente o del sogno, che si sovrappongono ma restano al tempo stesso irrelati. Ci sono due “doppi” sovrapposti che obbediscono a leggi, principi, logiche ben differenti.

Da qui deriva il gioco di moltiplicazione delle visioni a cui Lenz Fondazione spesso nel-le sue creazioni. La scena consente di prendere consapevolezza che nei personaggi di Calderón – e negli attori sensibili che ne incarnano il mistero – si nasconda una pluralità di individui. Sigismondo è uno e insieme trino: una maschera in cui convivono senza contraddizione la bestia schiava delle stelle, l’uomo libero e il dio che vince il fato che incatena i corpi. In un senso ampio, credo si possa anche cogliere che il Theatrum Ana-tomicum di Lenz Fondazione dimostra che il teatro è una forma di sapere che non ha nulla da invidiare alla scienza. Solo i loro oggetti mutano. Se la scienza studia i corpi e le leggi fatali che dirigono il loro divenire incessante, teatro e poesia sottolineano quali forze trascendono la corporeità, ovvero quali componenti della nostra personalità sono veramente libere. La capacità di immaginare/sognare è quella che forse tradisce il maggior grado di libertà e manifesta un’azione persino più potente del divino.

Resta beninteso una differenza fondamentale. Il Theatrum Anatomicum di età moderna lavorava su cose morte e che gravavano con pesantezza sul tavolo di laboratorio. Lenz Fondazione in particolare e il teatro in generale dissezionano invece entità vive, pulsan-ti e leggere, dalle quali ci possiamo attendere azioni meravigliose e imprevedibili.

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