DALLA TERRA ALLA LUNA
féerie in due tempi e undici quadri
di Carlo II Colla (prima edizione 1898 – nuova edizione 1993)
liberamente ispirata all’operetta Le voyage dans la Lune di J. Offenbach
musica di Corrado Gualtieri
direzione e revisione musicale a cura di Danilo Lorenzini scene storiche di Ugo Bellio, Achille Lualdi, Antonio Rovescalli e Cesarino Monti
costumi di Carlo II Colla e Eugenio Monti Colla
i marionettisti
Franco Citterio, Maria Grazia Citterio, Piero Corbella,
Camillo Cosulich, Debora Coviello, Carlo Decio, Cecilia Di Marco,
Tiziano Marcolegio, Pietro Monti, Giovanni Schiavolin, Paolo Sette
apprendiste marionettiste Veronica Lattuada, Michela Mantegazza
voci recitanti (edizione registrata nel 1993)
Marco Balbi, Roberto Carusi, Fabio Mazzari,
Lisa Mazzotti, Gianni Quillico, Franco Sangermano
edizione musicale registrata nel 1993
i musicisti
Danilo Lorenzini, Luca Santaniello, Igor Manuele Congedo, Antonio Papetti
i cantanti
Sonia Turchetta, mezzosoprano; Filippo Pina, tenore; Marco Elisetti, baritono
direzione tecnica di Tiziano Marcolegio
luci di Franco Citterio
regia di Eugenio Monti Colla
ripresa da Franco Citterio e Giovanni Schiavolin
produzione
ASSOCIAZIONE GRUPPORIANI – MILANO
Comune di Milano – Teatro Convenzionato
Lo spettacolo Dalla Terra alla Luna, rappresentato dalle marionette della Compagnia Lupi al Teatro D’Angennes di Torino e dalla Compagnia Carlo Colla & Figli al Teatro Gerolamo di Milano, ebbe, sul finire dell’800, un successo maggiore di quanto non avesse ottenuto l’operetta cui si ispirava, Le voyage dans la Lune di Offenbach. La corsa agli armamenti degli Stati Europei, gli intrighi e le manovre delle grandi dinastie imperanti, le imprese e le conquiste coloniali, gli eventi politici e sociali costituirono argomenti accattivanti per un impianto drammaturgico di facile coloritura operettistica. I personaggi protagonisti irridevano ai grandi ministri tramontati o affacciati sulla scena europea, agli ambiziosi sovrani smaniosi di grandezza. E poi c’era il mondo della Luna, con i suoi paesaggi, le terrazze aeree, le sale dorate, un’occasione squisitamente teatrale per invenzioni fantastiche e per dialoghi densi di ironia, talora anche amara, sugli usi e sui costumi del mondo terrestre in stridente antitesi con il magnifico mondo lunare. Con questa edizione, ripresa da Eugenio Monti Colla nel 1993 e presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto, si è voluto accentuare, non soltanto il gusto teatrale legato al fenomeno della féerie musicale, anticipatrice di quello che sarebbe stato il genere operettistico prima, e della commedia musicale poi, ma soprattutto, il carattere parodistico caro allo spettacolo di marionette, che diede vita a un ricchissimo filone teatrale in cui venivano trattati argomenti politici e sociali e, più generalmente, tutta l’attualità dalla fine del XIX secolo agli anni della censura fascista.
“C’era una volta un principe…”: a un tale inizio di natura fabulistica, cui si affiancano la malinconia e la mestizia del giovane erede al trono di Vlanandia immerso nel chiarore lunare di romantiche notti, fanno da contrappunto i personaggi della regina, permanentemente singhiozzante, del re, assolutista e dispotico, deciso ad affermare la propria volontà con il sollecitare e vanificare repentinamente ogni tentativo di mediazione fra l’opinione e l’obbedienza passiva; di un ministro compiacente, intrigante e perduto nella vanità di una sapienza mai esercitata; e infine, di un buffone dotato di buon senso e acume critico, nella funzione di controcanto al gioco dei potenti, epigono della “maschera” teatrale, erede del drammatico fool, con funzione di personaggio comico nel teatro popolare. Attorno a essi ruotano figurazioni teatrali antitetiche: dal gruppo degli astronomi, fatui e vuoti “docenti” di dottrine astruse e contraddittorie, a quello degli operai, dei valletti o dei militari. Coevo delle realizzazioni cinematografiche di Meliès, lo spettacolo propone un mondo della Luna dove i volti argentati sono racchiusi in cerchi o limitati da forme che ripetono le fasi lunari, dove gli abiti sontuosi rievocano, seppur lontanamente, la ieraticità delle vesti sacerdotali dell’antico Egitto, mescolata a strutture geometriche e floreali.