Filomena, fin dall’adolescenza, è costretta dalla miseria ma anche dalla sua stessa famiglia… “ te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magnà, o ssaje?”… ad entrare in una casa di tolleranza. Qui conosce Domenico Soriano, ricco pasticciere di Napoli, che spende la sua vita tra donne e cavalli. Inizia così una assidua “frequentazione” tra i due e Domenico decide di fare di Filomena la sua mantenuta, sistemandola prima in una casetta in un piccolo paesino e successivamente nella propria casa. Filomena sopporta le umiliazioni, i tradimenti, la mancanza totale di considerazione e apprezzamento, un po’ perché col tempo, malgrado ogni cosa, si è innamorata di quest’uomo, ma soprattutto per i suoi tre figli: Michele, Riccardo e Umberto. Il padre di uno di questi ragazzi è proprio Domenico, ignaro di tutto.
Filomena infatti, con i soldi di Domenico e a sua insaputa, fa crescere i figli, anch’ essi ignari delle proprie origini.
Ora per Filomena è tempo del riscatto, è tempo che i suoi figli abbiano una famiglia, quella famiglia che a lei è sempre mancata e che ha cercato in ogni modo e con tutte le sue forze. Organizza così una messinscena per farsi sposare. Si finge in fin di vita e, ingannando anche il prete e il medico, esprime il desiderio in punto di morte di unirsi in matrimonio con Domenico. Questi, nella certezza che ormai è alla fine, accetta. Ma una volta celebrata la funzione Filumena si alza: “Don Dummì tanti auguri: “simmo marito e mugliera”.
Domenico è furioso e minaccia di rivolgersi ad un avvocato per far annullare il matrimonio. Filumena, allora, gli confessa l’esistenza dei figli: è per loro che ha architettato l’inganno, per dare loro un nome, quel nome tanto anelato: Soriano. Domenico non si smuove e anzi ride di lei continuando ad umiliarla come ha sempre fatto e, alla fine costretta, Filumena gli rivela che lui stesso è il padre di uno dei suoi figli ma, nonostante le continue richieste di Domenico, non gli dirà mai chi perché “hann’ ‘a essere eguale tutt’ ‘e tre”….
Filumena rivela ai suoi stessi figli con un racconto struggente e nello stesso tempo dignitoso di essere la loro madre e, vinta dall’indifferenza di Domenico, decide di lasciarlo libero e annullare il matrimonio. Domenico si ritrova a fare i conti con il suo passato e con il tormento di un padre che non sa chi è il proprio figlio.
Alla fine, vinto, acconsente a sposare realmente Filumena e a riconoscere i tre ragazzi diventandone di fatto il padre e riversando su tutti l’affetto che avrebbe in un primo momento voluto provare per uno solo di loro. Ha capito che è tempo di fermarsi, non è più il tempo di correre, è tempo di mettere da parte il suo egoismo e guardare avanti.
Note di regia
L’opera “Filumena Marturano”, del 1946, di Eduardo De Filippo è la più conosciuta del grande drammaturgo napoletano, oltre ad essere quella definita dall’autore “la più cara delle mie creature”.
L’opera, in tre atti fu scritta per la sorella Titina nel giro di tre giorni, ispirandosi ad un fatto di cronaca avvenuto a Napoli.
Per la prima ed unica volta abbiamo una vera e sola protagonista femminile, l’ex prostituta Filumena Marturano, che si rivela depositaria dei valori familiari e del riscatto della persona, segnato dalle sue lacrime, lacrime mai versate da una donna che, fino a quel momento, aveva conosciuto solamente il male.
Il tema della maternità costituisce il nucleo narrativo di tutta la vicenda, che si allaccia forse a ragioni autobiografiche, dato che lo stesso Eduardo era figlio illegittimo di Eduardo Scarpetta. Filumena, però, oltre che una mamma, rappresenta l’amore, la passione ed il dolore veri messi in scena, è un personaggio autentico che coinvolge lo spettatore.
In questa rivisitazione si è cercato di accrescere ancora di più le emozioni creando una sinergia tra diverse arti: danza, recitazione e musica.
Mario Antinolfi
Dal 6 al 22 novembre 2015
il venerdì e sabato alle ore 21,00 – la domenica alle ore 17,30
TEATRO ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico)