Avevamo preso accordi col reporter danese Mads Nissen, autore della “foto dell’anno” per la giuria del World Press Photo, perché volevamo usare come manifesto l’immagine di quella pittorica, bergmaniana coppia di gay nella loro casa di San Pietroburgo ed eleggerla a icona dell’edizione 2015 della ventiduesima nostra rassegna “Garofano verde • scenari di teatro omosessuale”, ma non avevamo fatto i conti con l’assoluta mancanza di risorse decretata al nostro progetto culturale. Niente locandina, niente foto, ma un conciso segno di creatività ancora sì. Solo grazie, va detto, all’offerta del Teatro di Roma che ci ha messo a disposizione per tre sere il Teatro India, e solo grazie a tre artisti che hanno d’istinto accettato prospettive “amichevoli” di partecipazione. Finora, in più di due decenni, abbiamo lanciato spettacoli (di cui alcuni sconfinati anche all’estero), e ora ci limitiamo a suggerire e mettere in cantiere idee di lavori, approfondimenti teatrali sempre in tema col pensiero, col contenzioso, col fenomeno non detto o dibattuto dell’omosessualità.
Per un puro caso, a costituire il repertorio di questa sintetica edizione della rassegna sono tre tragedie. La tragedia della rappresentazione della diversità (accettiamo per esclusivo riflesso linguistico questo termine di distinzione improprio in una società di individui tutti di pari diritti e identità) che alligna ne “La donna nell’uomo” da Orgia di Pier Paolo Pasolini, dove la figura dell’Uomo è oggetto di metabolizzazione ad opera di Licia Lanera. La tragedia della dicibilità della diversità nel racconto scenico “Masculu e fìammina” di e con Saverio La Ruina, che ha concepito di dar voce a un omosessuale di provincia in dialogo con la madre morta, genitrice depositaria dell’orientamento di lui senza che mai una parola in merito si sia scambiata in vita. E la tragedia della normalizzazione della diversità cui fa cenno la trama di “Geppetto e Geppetto” di e con Tindaro Granata, prendendo a campione una coppia maschile dotata di figlio con tutte le verosimili incomprensioni tra i due padri (in particolare quello di esistenza più longeva) e il giovanotto cresciuto, finché il senso della famiglia spunta dopo il finale di partita.
Oltre alla gratitudine per questi atleti del cuore, io e quelli della Società per Attori, capitanata da Franco Clavari, dobbiamo esprimere riconoscenza al pubblico che ci segue e renderlo cosciente che stavolta avrà a che fare con assai motivati e sperimentali reading (è il caso degli interventi di Licia Lanera e Tindaro Granata) di materiali che ci auguriamo si traducano poi in spettacoli finiti, e con un work in progress di e con Saverio La Ruina che (proprio lui, costruttore meticoloso) ha avuto meno tempo a disposizione, e ha impostato una traccia più che una partitura, passibile anche qui, speriamo, di un seguito. Per il resto, lasciateci ancora dire che senza Antonio Calbi niente di ciò si sarebbe realizzato.
Rodolfo di Giammarco
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