Dal 7 aprile al 5 giugno 2017 il Museo Archeologico Nazionale di Napoli presenta al pubblico la mostra personale di Alessandro Kokocinski (Porto Recanati, 1948) dal titolo Kokocinski. La Vita e la Maschera: da Pulcinella al Clown, promossa ed organizzata dalla Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, che rappresenta l’ideale prosecuzione dell’esposizione realizzata nel Museo di Palazzo Cipolla a Roma nell’anno 2015.
L’esposizione contempla un corpus di oltre settanta opere polimateriche dalle tecniche fortemente innovative – dipinti, sculture, altorilievi, installazioni, disegni, filmati, versi poetici, libri d’artista – ispirate alla metamorfosi della «maschera», che l’artista definisce «mediatrice fra noi e il vuoto insondabile celato», la cui iconografia accompagna da sempre la storia e la storia dell’arte: fra mito, finzione, realtà. La cartapesta – medium essenziale di quasi tutti i lavori – è assoluta protagonista, elemento coagulante, materia dell’effimero. Il limite tra pubblico e palcoscenico si assottiglia fino a scomparire. La marionetta si cala nell’umano, l’umano si trasforma in burattino.
Il percorso espositivo si articola in sei aree , scalate con continuità di rimandi:L’Arena; Pulcinella; Petruška; Sogno; Il Clown; Maschera Interiore.
L’itinerario è animato da tre grandi installazioni (Olocausto del Clown tragico,Non l’ho fatto apposta – quest’ultima si avvale della preziosa partecipazione di Lina Sastri, in un video di corredo – e Sguardo al futuro nascente, recentissima creazione appositamente realizzata per questa esposizione), che compongono una miscellanea figurativa satura di spunti linguistici, rielaborazioni di opere precedenti assemblate in nuove configurazioni, variazioni tematiche, affacci e ritorni: tutte sostenute dal rapporto tra finzione e realtà.
Realtà, ambiente, società, che nella parodia grottesca dell’installazione Sguardo al futuro nascente sono filtrati attraverso un nuovo modello di capitalismo globale e attraverso un ritorno all’incubo atomico, visione che costringe l’artista a sottolineare come «o si cambia sistema di sviluppo oppure sarà un suicidio globale». Ricchissima la grafica e i disegni: quasi pergamene di altri mondi, tra caratteri atletici, forme aperte, lontananze arcaiche, silenzi luminosi.
Perturbante a tratti e più che mai soave, Kokocinski combina gli spunti del fantastico di impronta russa col realismo sudamericano (assimilato durante la giovinezza trascorsa tra Cile e Argentina: le terre che accolsero la sua famiglia esule dall’Europa straziata dalla macchina totalitaria), la tradizione pittorica italiana e spagnola coi monumenti del teatro popolare napoletano, il dettato dell’arte scenica con quello della componente circense. È infatti al circo che afferisce la maggior parte delle opere esposte – alla cui selezione ha contribuito l’autore stesso – da Kokocinski ben conosciuto per avervi lungamente lavorato. Pulcinella affianca Petruška, si mescola alle clownerie, la stravaganza teatrale si alterna alla gravità, gli esercizi coi cavalli alle tauromachie. In una galleria di composizioni mosse da flussi esistenzialisti. La coscienza della maschera umana tutto permea. E il mascheramento diviene verità.
Il superamento del pastiche del circo trapela da ogni dove; sebbene non manchino spunti giocosi o grotteschi, è una gioiosità dal volto melanconico – talvolta persino plumbeo – nei sentimenti di una meditazione che evolve l’eccitazione dello spettacolo nella riflessione dell’interiorità. Talvolta è la componente poetica a prevalere, specie nelle annotazioni scelte da Kokocinski per la titolazione delle opere: ben più estese di semplici diciture di accompagnamento, prediligono lo sviluppo di brevi versi dal linguaggio fortemente evocativo (Scendo vestito di luna; Prigioniero di questo giardino dolente, ombra solitaria; Guarda come ci parlano dal Paradiso; Partirò con le mani vuote ma con l’anima speranzosa; Il poeta: con inchiostro azzurro e sangre bizantina).
Come scrive Paola Goretti: «Sotto il tendone da circo sempre vivo, Kokocinski è un assalto al cuore colmo di paesaggi con uomini rotti, il canto di un disastro partorito a morsi e a morsi sputato nelle latrine, un colore pentecostale acceso di lapilli. Ma anche uno sterminato orizzonte aereo dai riflessi felici e iridescenti, catapultati verso il cielo; un volume sottile -infinitamente esangue- esaltato dalla dimensione funambolica dell’arte circense. Un graduale affettivo fitto di allacci, un vibrante sedimento della memoria dell’umanità. Tra Vita, Maschera, Sogno».
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