Note di regia e presentazione
Questo monologo di Paolo Guzzanti ha la forma avvincente di un’autobiografia del Paese. Si ripercorre con divagante surrealtà il corso del lunghissimo secolo breve, il Novecento. Il filo conduttore è la progressiva perdita della memoria personale che ha bisogno di forti sentimenti e risentimenti, a vantaggio di una memoria soverchiante e inutile che si accumula on line su computer e telefonini. Così, in una affabulazione ben organizzata e con molte trovate e memorie comiche, Guzzanti bambino ricorda in bianco e nero la guerra, l’ingresso dei camion nazisti durante l’infame razzia del Ghetto del 16 ottobre 1943, che porteranno via i suoi coetanei, mentre la sua famiglia salverà un caro amico e compagno di giochi, diventato poi un illustre cardiologo. Il plumbeo dopoguerra, l’adolescenza intimidita dalla guerra fredda, gradazioni e degradazioni della storia civile e politica del Paese e delle sue ipocrisie politicamente corrette vanno avanti nei ricordi che ancora restano e che stanno per essere riconsegnati all’oblio. Paolo Guzzanti dai capelli rossi, segno discriminante e marchio di indipendenza e irriverenza intellettuale gli hanno insegnato a vivere in minoranza, controcorrente e isolato dalle mode. Fissa i ricordi e delinea quelle che saranno le tracce indelebili dell’epoca. Scriverà centinaia di articoli per La Repubblica fin dalla fondazione con Eugenio Scalfari, il quale lo ricorda così: “Paolo è un genio bizzarro senza il quale questo giornale non sarebbe stato quello che è”. Paolo è anche famoso per le imitazioni e personificazioni in cui si trasforma nei personaggi e i suoi racconti hanno fatto da specchio della politica italiana e delle sue miserie. Celebre l’intervista a Franco Evangelisti della Democrazia Cristiana che in un’intervista gli confessò: “Ah Guzzà, qui amo rubbato tutti!” Il titolo di quell’intervista passò alla Storia del giornalismo col titolo: “Ah Frà che te serve?”
Corrispondente, editorialista de La Stampa, dell’Avanti! de Il Giornale, Guzzanti ha filmato documentari e servizi in America Latina per Mixer di Giovanni Minoli, è stato il giornalista più vicino a Cossiga aiutando il presidente della Repubblica a resistere quando lo volevano rimuovere in ambulanza dal Quirinale con un certificato medico. Grande e amaro affabulatore, Paolo Guzzanti usa quell’umorismo surreale e tagliente che oggi il grande pubblico riconosce ai suoi figli. “Sono padre d’arte”, è la sua battuta a chi gli chiede quale sia il rapporto di origine con loro. Chi lo conosce lo riconosce: un protagonista assoluto di un passato che si ripercuote sul presente e ci invita con allegro pessimismo a una resistente fiducia in vista di un futuro che dovrebbe essersi nascosto da qualche parte. Il teatro è l’emozione del ricordo collettivo, dell’io c’ero, della testimonianza sfrontata e senza fronzoli. Paolo mette in scena una vita personale e collettiva, accanto alle canzoni, alla musica, ai ricordi rimossi alle personificazioni e satire che faranno riemergere proprio in quei modi di parlare, di vestire, di essere. Un’epoca recente che non si ripeterà ma che già sta affondando nel tempo senza lasciare traccia. Senza il teatro scompare la memoria viva dei fatti. Ecco lo spettacolo, il monologo: spartiacque divertente e amaro tra il prima e il dopo, il racconto vivo di una grande intelligenza, una penna, un personaggio con cui è bello confrontarsi.
Francesco Sala
26- 29 marzo 2015
Brancaccino
LA BALLATA DEL PRIMA E DEL DOPO
Monologo di e con Paolo Guzzanti
(liberamente tratto da “Senza più sognare il padre”ed. Aliberti)
Regia a cura di Francesco Sala
26 – 28 marzo h. 21.30; 29 marzo h. 17.30
Biglietto: 15 euro
Teatro Brancaccino – via Mecenate 2, Roma
Te. 0680687231- www.teatrobrancaccio.it