LA PRIMA EDIZIONE DEL PREMIO ROTTA BALCANICA SI È CHIUSA
CON LA PROPOSTA DELLA NASCITA DEL “PROTOCOLLO DI TRIESTE”:
NEL TRENTENNALE DELLA STRAGE DI MOSTAR IL PUNTO
SULLA SICUREZZA DEGLI INVIATI NELLE ZONE CRITICHE
E LA PROPOSTA DELLA CREAZIONE DI UN DOCUMENTO A TUTELA DELL’INCOLUMITÀ DEI GIORNALISTI A GARANZIA DEL DIRITTO
ALLA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE
TRIESTE — Denuncia, impegno, commozione e la proposta della creazione del “Protocollo di Trieste”. Sono i temi che hanno animato l’intensa due giorni organizzata dalla Fondazione Luchetta nel trentennale della morte di Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo. Colleghi, parenti e amici li hanno ricordati sul palco del Teatro Miela e nel documentario realizzato dalla Rai. Un anniversario reso ancora più significativo dal nuovo Premio Rotta Balcanica, assegnato a Linda Caglioni, Giulia Bosetti ed Eleonora Tundo, e dalla presenza di professionisti dell’informazione, del mondo dell’accoglienza e di quello della sicurezza degli inviati nelle zone di guerra. Dal loro incontro e confronto si sono levati appelli a una adeguata formazione improntata alla sicurezza di tutti i professionisti dell’informazione che operano in aree di crisi, così come l’invito a una maggiore solidarietà verso le persone migranti lungo la Rotta Balcanica, dove sono troppo spesso privati dei diritti fondamentali. Lo hanno documentato i giornalisti finalisti e vincitori del Premio, lo hanno ribadito i registi con le opere proiettate nella giornata di sabato, lo hanno testimoniato gli scatti fotografici della mostra allestita per l’occasione al Teatro Miela, la cui sala a stento è riuscita ad ospitare il pubblico giunto ad assistere agli incontri in programma.
Il Protocollo di Trieste – È la proposta per la realizzazione di un documento sulla sicurezza degli inviati lanciata da Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, nel panel “Andare, vedere, raccontare e tornare”, l’approfondimento dedicato alla sicurezza dei professionisti dell’informazione nelle zone di guerra. La formazione continua, la riflessione sulla tenuta psicologica degli inviati nelle zone di conflitto, cosa significhi avere alle spalle un’organizzazione centrale che coordina la sicurezza e cosa implichi, invece, non averla, come nel caso dei professionisti freelance, sono le aree di approfondimento individuate assieme agli inviati Azzurra Meringolo, Nello Scavo, Barbara Schiavulli, Lorenzo Tondo, al presidente dell’Associazione nazionale service italiani Massimo Belluzzo e a Federica Genna e Michele Bonacina di Fondazione
Safe, impegnata nella promozione della sicurezza e nella maggiore garanzia dei diritti fondamentali di chi opera nelle aeree critiche.
Priorità che Di Trapani ha così sintetizzato riferendosi alla strage di Mostar: «È doveroso costruire, non fermarsi al ricordo, ma guardare avanti. Interrogarci su come fare a dare sostanza a quel “mai più” che ci si disse allora. Azzerare il rischio è impossibile, ma mi piacerebbe concludere questa serata mettendo assieme due-tre punti, per i singoli e per il collettivo, sulla sicurezza non solo dei giornalisti, ma del diritto dei cittadini a essere informati e del diritto di quelle persone di cui si racconta». L’appello è stato condiviso da Andrea Luchetta, inviato Rai come il padre: «L’istinto non basta, serve saper leggere il contesto. Obiettivo di questa serata è essere il più concreti possibile. Ho visto dei colleghi correre dei rischi che non erano necessari. C’è un punto in cui il trauma ti rende meno lucido nella lettura del contesto». Dello stesso avviso anche Nello Scavo, inviato di Avvenire: «Giornalisti preparati, lucidi e sostenuti nelle fatiche emotive garantiscono la migliore informazione possibile. Il mio appello è a essere più presenti e a farci sentire di più con chi si deve occupare della nostra sicurezza. Non sono un sostenitore del rischio a ogni costo. Ma è necessario esserci per poter raccontare. È altresì necessario fare attenzione al meccanismo “pornografico“ innescato nei resoconti dalle guerre recenti».
La Rotta Balcanica — Trieste tappa di un percorso che dura anni e durante il quale pericoli, privazioni dei diritti e purtroppo anche la morte sono all’ordine del giorno. Il Premio Rotta Balcanica ha mantenuto viva l’attenzione su un tema che riguarda migliaia di persone e spesso coinvolge minori, molti dei quali non accompagnati. Raccontare la drammatica situazione di quanti intraprendono la Rotta è un dovere di chi fa informazione, così come denunciare tutti i soprusi di cui sono vittime o lo stato di abbandono e di precarietà in cui diversi di loro versano una volta arrivati a Trieste. Questo il messaggio ribadito dai vincitori e dai finalisti della prima edizione del Premio Rotta Balcanica.
Il Premio Luchetta torna dal 15 al 17 novembre 2024.