La libertà di essere donna, o solo se stessa
Alda Merini ha reso arte, la brama di vivere e sentire ogni vibrazione di se e del mondo, strap-pando via brandelli di carne e poesia all’inferno sublime dell’esistenza. Una poetica viscerale for-giata dagli shock della vita e della mente, tutto il capitale della follia e un modo di trovarsi che spinge tanti alla ricerca di se e dell’altro. Non seguendo nessuna meta precisa, o forse tutte quelle possibili, il percorso fotografico intrapreso da Emanuela Caso fa qualcosa di analogo, lasciandosi guidare dalla ricerca delle donne che vivono il contatto della propria carne con quella del mondo. Lì dove Alda Merini trova verità, dolcezza, sensibilità, amore. Individui prima di ogni altra cosa che, in modi completamente diversi ma complementari, esplorano la libertà di essere donna, o solo se stessa, con l’esercizio artistico di diventare autentica, investendo nella ricerca di un se e verità che non temono la messa in scena del reale.
Madri sole come Giorgia, bravissima a nuotare nel mare della vita anche sotto la doccia, inse-gnano agli altri come farlo, mentre si lasciano guardare negli occhi e forse dove non ci siamo ancora mai spinti. Nadia ha la statura carismatica per reinventare lo spettacolo di donarsi agli altri e stravolgere la metrica che giudica il valore di una donna dalle sue misure, facendo sentire piccolo anche un gigante. Helena indossa la libertà di essere qualsiasi cosa, per elevarsi da fragilità, tor-menti e cliché, Rossana anche la maschera di un clown che abita la zona grigia tra la mistica della solitudine e il circo della vita. Tutte raccontano storie da leggere tra le righe di ogni immagine. Offrono nuovi stimoli per vecchie battaglie e le piccole grandi rivoluzioni che ognuna affronta come può, tutti i giorni, insieme alle relazioni pericolose con se e l’altro da se.
Il lungo processo di scoperta e conoscenza, costellato da incontri imprevisti e ricercati, spontanei e messi in scena, trasformato dalla fotografa in progetto di relazione, abbraccia le mutevoli com-plessità dell’essere e sentirsi donna, restando in equilibrio sulle punte, tacchi troppo alti e standard che sfiorando i margini del reale e le vette del suo contrario. L’espressione estetica dell’interiorità, trasformata in modo di guardarsi dentro e intorno, guida messa a fuoco e prospettiva, attratte dalle geometrie del corpo che cambiano le geografie dello sguardo. Il loro e il nostro modo di guardare la realtà e il suo simulacro.
La grana del 35 mm, in bianco e nero e spesso volutamente fuori fuoco, quanto la trama del vissuto e del taciuto, i brividi della carne e il respiro della poesia, esplorano la ricchezza dell’uni-verso femminile e l’alchimia fragile della natura imperfetta che indossa con disinvoltura maschere, cliché e lessico familiare, per sfidare convenzioni e convinzioni, per superare barriere emotive ben più limitanti di quelle fisiche. Tante domande senza risposta (forse), per scandagliare il calei-doscopio di sguardi puntati sui modelli femminili, osservati, immaginati, desiderati e interpretati dagli altri. In gran parte uomini, ieri come oggi, in un lungo viaggio nel tempo che accomuna i cantori di miti antichi agli autori d’icone contemporanee, chi ama e odia, venera e viola.
La mimica di un gesto distratto e di un profilo assorto, insieme a quello che mette in ombra la luce e in scena un corpo gonfio di vita, provano ad affrontare il tabù peggiore. Esistere e stare al mondo, come individui coscienti della propria femminilità e individualità. Emanciparsi da logiche di pensiero e potere, della banalità del male e della crudeltà del bene, della paura di cambiare e di essere, insieme alle malinconie che rincorrono anche le sconfitte. Liberarsi delle speranze che nutrono demoni, nelle stanze private della mente e in quelle intime ma non per questo meno
temibili della casa, cercando di elevarsi dai margini della storia e della società, senza perdere il valore della fragilità e il fascino dell’imperfezione.