La Pigna alchemica della Madonna Belvedere di Gubbio.
Di Giuliana Poli
Ottaviano di Martino Nelli di Gubbio (1370-1448-49) rappresenta uno dei maggiori pittori e maestri dell’Italia centrale. Protagonista assoluto del gotico internazionale, fu coevo di Gentile da Fabriano e Beato Angelico, per fare qualche nome. Fu artista prolifico e di alto profilo, inserito nel contesto urbano e politico di Gubbio di cui sarà più volte console. La sua formazione avvenne tra la sua città natale, Fano, Urbino, Foligno ed altre terre appenniniche. Pittore umoristico e spregiudicato per l’epoca, affrescò nel 1403, (1) la Madonna Belvedere nella Chiesa di Santa Maria Nuova a Gubbio. Un capolavoro importante del Centro Italia, che rappresenta un momento di passaggio dalla cultura gotica medievale alla rinascimentale, in Umbria; il suo stile ambivalente, interprete del suo tempo, della sua gente e del suo paese si incardina in un periodo di grande vitalità, in cui si consolida una borghesia mercantile ed artigiana. Nella Madonna Belvedere è presente il contrasto tra il mondo divino abbigliato in maniera sfarzosa e il mondo terreno abbigliato in maniera essenziale, protetto dal mondo arcano del suo paesaggio misterioso, dalle sue storie e dalle sue leggende.
Gubbio fu terra feconda legata a San Francesco e ai Montefeltro. Nel centro della catena appenninica, ai piedi del Monte Ingino che Dante ricorda nel Paradiso, Canto XI,43-117, come “colle eletto del Beato Ubaldo”, Gubbio è una zona d’ombra interna ai monti, ma crocevia tra il Mar Tirreno ed il Mare Adriatico. La Madonna Belvedere di Ottaviano Nelli racconta tutto questo: è la summa del gusto medievale proiettato verso il moderno Rinascimento italiano.
Il Medioevo, a differenza del luogo comune che vede questo periodo come oscuro, in realtà, come traspare dai fregi o affreschi del tempo, si rivela come un mondo di serenità, armonia e tensione verso lo spirito.
L’affresco di Ottaviano Nelli riflette un’espansività ed una nobiltà senza eguali. I visi dei personaggi sono calmi, sorridenti, avvenenti e bonari. L’immagine del Cristo lo fa sembrare un uomo del popolo preso dalla strada o dall’osteria.
Nel Medioevo in generale prevaleva la satira che ironizzava su persone che amavano bere, amare, cantare e fare la bella vita e per questo venivano raffigurate doviziose e ben nutrite.
La Madonna con il bambino ha delicate curve, fascino dolce che indica come doveva essere la “donna dei sogni” dell’epoca. Il bambino è paffuto e sereno, così come gli angeli che suonano e cantano. Niente esprime sofferenza. I santi dipinti ai lati dell’affresco, Sant’Emiliano con il libro chiuso e la palma a sinistra e Sant’Antonio Abate a destra, hanno una figura virile e sana, nulla e nessuno ha l’aspetto emaciato e questo dimostra come Ottaviano Nelli fosse uomo positivo riconosciuto e ammirato, che ebbe incarichi di responsabilità politica nel governo di Gubbio e che descrisse una realtà che nulla ebbe a che vedere con il deprimente spettacolo delle miserie umane.
L’affresco può essere suddiviso in parti geometricamente simmetriche: in alto il cielo stellato con le sue costellazioni e le sue santità e in basso il piano terreno, con figure oscure non leggibili per via del deterioramento dell’affresco.
A latere del dipinto, mediatori tra i Santi e la Madonna con in alto Gesù Cristo tra gli angeli, ci sono i committenti: I lati dell’affresco sono uno l’antitesi dell’altro.
A latere del dipinto, mediatori tra i Santi e la Madonna con in alto Gesù Cristo tra gli angeli, ci sono i committenti: sulla destra è dipinto il Conte e sulla sinistra probabilmente la moglie o la figlia.
Mentre il lato delle donna è chiaro e cristallino, il lato dell’uomo è tetro e si perde, divenendo un unicum, tra le stoffe anch’esse oscure di Sant’Antonio Abate.
I lati estremi dell’affresco sono racchiusi da una cornice, dove si stagliano delle colonne tortili sulle quali Ottaviano Nelli esprime la sua satira medievale molto vicina a quella di Giovanni Boccaccio, dove l’eros giocoso a tratti irridente vince su tutto.
Cosa vuole raccontare l’artista eugubino nell’affresco della Madonna Belvedere? Quale è il suo messaggio?
Prima di tutto è necessario ribadire che il periodo storico di Ottaviano Nelli ha in sé quello slancio di forze, prima costrette e represse, che furono il risultato di trasformazioni economiche, sociali e sapienziali avvenute in precedenza e che consentirono un’apertura verso il nuovo. Il Medioevo fu il periodo di San Francesco, di Giotto, di Dante Alighieri e dei Fedeli d’amore, dei Templari, dei Trovatori, dell’amore quasi ossessivo per l’alchimia anche grazie alle Crociate che rimisero in contatto l’Occidente con la sapienza arcana conservata e difesa in Oriente. Le eresie religiose contribuirono a creare una nuova umanità meno costipata da schemi e questo è anche la ragione per cui i visi espressi dall’arte di quel periodo non si somigliano fra loro e la cristianità, seppur molto rigida, non riuscì a renderli loro gregari. Grazie all’intreccio della profonda cultura maschile insieme ad una nuova cultura femminile di nobildonne, generatrice di un pensiero fluido ed elastico, si infranse ogni forma di cristallizzazione e si favorì una spinta vitale che percorse i più svariati tessuti sociali. Le eresie di matrice gnostica riportarono testi antichi di religioni pagane che l’uomo del Medioevo non studiò per rispetto di false divinità, ma perché contenitori d’informazioni segrete inaccessibili agli incolti.
A differenza di falsi luoghi comuni su questo periodo storico, il pensiero medievale è stato scientifico e la sua missione è stata quella di tradurre simbolicamente ciò che aveva ricevuto dall’antichità e verso il quale era rimasto fedele custode. Per l’uomo medievale la verità è nel simbolo ed è rivelatrice di un insegnamento segreto, di un pensiero superiore vero, concreto e immutabile.
Nella Madonna Belvedere la scienza e la conoscenza sapienziale dominano su tutto.
Al centro del quadro c’è la nascita di una stella simbolicamente rappresentata dal drappo di stoffa color rosso ed oro che orna la Madonna. La sua formula matematica evidentemente già conosciuta dal Nelli, tesse le trame del cielo stellato sulla parte alta dell’affresco. (fig. 1) Nel cielo stellato sono dipinte anche le costellazioni del leone, del cigno e dell’orsa. (2)
Il principio generatore è il logos che ha origine dalla Madre, il cui capo si erige al di fuori della stella ed è attaccato, come se fosse una sua proiezione, al busto di Gesù all’interno di una immagine con la forma di pigna.
Cosa significa? Ottaviano Nelli dipinge la ghiandola pineale, la quale rappresenta l’occhio dell’anima, l’occhio capace di vedere la realtà reale, non quella che appare ai nostri occhi fisici che è illusoria e deviante dalla verità. Si tratta di una ghiandola endocrina situata nel mezzo del cervello, considerata centro dello spirito. La ghiandola pineale è conosciuta dai tempi antichissimi di Galeno, che la descrisse come una piccola pigna. La sua rappresentazione la possiamo trovare attraverso il terzo occhio di Rha in Egitto, la pigna del Vaticano, nelle rappresentazioni del Buddha che ha la testa a forma di una pigna o nelle immagini degli dei Sumeri.
Ottaviano Nelli la dipinge un po’ ovunque sull’abito della Vergine e simboleggia il logos della Madre dalla cui idea nascerà il Cristo-Sole-Re della Luce. Nell’affresco si rappresenta quindi “il verbo” che dalla forma-pensiero si trasformerà in realtà attraverso la nascita del bambino di Luce. Molto probabilmente l’artista eugubino dipinge la ghiandola pineale con la forma di pigna, anche per omaggiare in senso metaforico il suo committente, il Conte Pinoli, il cui cognome e stemma del casato derivano proprio dalla pigna, il cui significato originale è sapienziale. I Conti Pinoli furono notoriamente ghibellini, legati al sapere e alla scienza e sicuramente appassionati del gualdo, un colorante azzurro di origine vegetale, molto richiesto all’epoca, pensiamo ad esempio a Sant’Angelo in Vado che deriva da Sant’Angelo in Gualdo.
Questo colorante ha una storia particolare in Europa: estratto dalla isatis tinctoria, usato dai guerrieri celti per dipingersi il viso prima delle battaglie, rappresentò per parecchio tempo una fonte di ricchezza per la regione compresa tra Tolosa, Albi e Carcassonne, patria dei Catari. Il blu pastello estratto da questa pianta, denominato anche blu di Carcassonne, era molto ricercato sia per la tintura dei tessuti, che come cosmetico e come colorante per i pittori. In Italia venne coltivato in particolare nell’appennino umbro-marchigiano e nel Montefeltro: Benedetto de’ Franceschi, padre di Piero della Francesca era ai suoi tempi un famoso commerciante di guado (o gualdo).
Le mani del committente dell’affresco sono macchiate di questo materiale per indicarne molto probabilmente il segno di appartenenza al mondo cataro, e forse anche per questo motivo il color azzurro presente nell’affresco fu il colore privilegiato della Famiglia Pinoli.
Dall’immagine della pigna con all’interno il Crist, che è dipinta con il color rosso fuoco si manifestano sei onde dalla forma di sei esseri angelici di color azzurro, i quali rappresentano la permutazione della forma mediante il suono raffigurato dagli angeli che suonano l’arpa ed il violino, strumenti le cui corde simboleggiano le griglie dell’universo. Il pensiero che è fuoco spirituale, attraverso le vibrazioni forma la materia, e questo principio scientifico è raffigurato dal colore azzurro che dall’alto scende verso il basso lungo il manto della Vergine. Il corpo della Madonna come specchio dell’immagine dipinta sopra la sua testa ha nel centro il fuoco e all’esterno il color azzurro con all’interno ricami in oro. La fusione di fuoco ed acqua è evidente dal fatto che il Nelli ha disegnato sul manto fregi che rappresentano la ghiandola pineale a forma di pigna dal quale deriva il Cristo-Sole, proprio per evidenziarne la sua origine. Sulla veste azzurra della Vergine vicina alla crosta terrestre ci sono nuvole bianche e anche questo dettaglio svela profonde conoscenze scientifiche dell’artista eugubino. Il calore e la luce si creano dall’urto delle vibrazioni fredde e oscure, che arrivano dall’universo, contro l’atmosfera gassosa e, poiché man mano che ci avviciniamo alla terra la resistenza aumenta in maniera proporzionale alla densità del mezzo, il calore, la luce e la luminosità sono più forti sulla superficie terrestre perché gli strati d’aria sono più densi. Il velame gassoso, oltre ad essere presente nell’abito della madre, è nell’abito velato del Bambino.
All’interno dell’affresco, la famiglia Pinoli rappresenta insieme a Sant’Antonio Abate un elemento eterogeneo, cosa sottolineata anche dai colori dei loro abiti, non sfarzosi, tipici del mondo cataro, che rappresentano un unicum con quello del santo. Le mani del Conte lunghe e sproporzionate, da lavoratore, sottolineano il senso di responsabilità nei confronti del popolo, quindi il potere temporale ma anche la devozione assoluta verso la Madonna, come discendente diretto del principio primigenio rappresentato dalla pigna. Le mani sono simbolo di potenza e supremazia. Essere presi dalla mano di Dio significa ricevere la manifestazione del suo spirito. Nel simbolismo quando la mano di Dio tocca l’uomo questi riceve in sé la forza divina. Nell’affresco il contatto con la divinità avviene nella forza di presa tra il pollice del committente e il bastone sacro di Sant’Antonio Abate, entrambi simboli della forza creatrice.
Le mani dell’angelo sostengono la donna, quasi sollevandola dalle figure sottostanti, così come la mano di Sant’Antonio sembrano “estrarre” la testa dalla massa sottostante, in una posa che sembra andare ad attivare la pineale del Conte premendo con il pollice sulla nuca.
Se rovesciamo la parte d’immagine in cui è dipinto sia il Santo che il Conte, Ottaviano Nelli nasconde più immagini affastellate l’una sopra l’altra. In particolare sul tessuto color della terra appaiono dei Daimon che sembrano emersi da una grande caverna rappresentata dal tessuto più interno dell’abito del Santo. (fig.2-5) La sua mano anch’essa lunga regge la testa del Conte, sul cui cappello si nasconde un altro viso uguale e contrario a quello in evidenza sull’affresco. (fig. 3) Sullo stesso particolare il Nelli nasconde anche il profilo (fig. 3.a) L’artista ripete anche in questa occasione lo stesso principio espresso con il capo di Maria.
Abbiamo quindi sia la ghiandola pineale della Madre celeste che ha partorito l’universo, sia il capo del Conte Pinoli tirato fuori dal mondo degli inferi, dalla mano di Sant’Antonio Abate.
Se andiamo ad analizzare i simboli del Santo, il primo è il fuoco che sancisce l’origine e la fine dell’universo. Non dimentichiamo che questo elemento è il simbolo di comunicazione tra l’uomo e il misterioso manifestarsi di Dio. E’ il TAU che vediamo impugnare da Sant’Antonio nelle iconografie più diffuse. Secondo la tradizione il Santo sarebbe sceso agli inferi e, dopo aver acceso il suo bastone, sarebbe tornato sulla terra per donare il fuoco di vita agli uomini. Una specie di Prometeo cristianizzato. Il simbolo del Tau richiama la croce egizia e sta ad indicare l’immortalità, ovvero la memoria celeste che è scesa agli inferi, ha generato la vita, ma che poi ritorna sempre alla sua Fonte primaria: il Sole, poiché il TAU che è la diciannovesima lettera dell’alfabeto greco coincide con il diciannovesimo arcano maggiore che è il Sole. Quindi il bastone di Antonio è il meteorite di fuoco celeste simbolicamente rappresentato dalla spada, dal tirso, dalla ferula della tradizione pagana o il pastorale nel cristianesimo, ovvero l’asse del potere che mette in relazione i due mondi: la luce e l’ombra, il sacro ed il profano. Altro simbolo è la campanella che rappresenta il suono armonico di creazione: il famoso canto degli angeli presenti nell’affresco (3).
Il corpo del Santo quindi rappresenta il divino che scende negli inferi (l’abito scuro costellato da demoni) dal quale tira fuori colui che metterà in relazione i due mondi perché legato al culto del Sole che simbolicamente è evidenziato dal lato sinistro dell’affresco dove Sant’Emiliano, che è pieno di luce, regge in mano il verbo divino rappresentato dal libro, e la donna committente della famiglia Pinoli, anche lei luminosa. E’ evidente come anche questa famiglia ghibellina seguisse la religione eretica notoriamente definita catara legata al cristianesimo gnostico, che vedeva nel Sole il simbolo del Cristo-Re della Luce.
Le due colonne tortili nascondono figure che giocano nell’eros e nella voluttà dei corpi, che si divertono a fare giochi d’amore come era nello spirito contadino. Il suo significato potrebbe essere legato al Risus Pascalis, un rito pagano legato alla Pasqua in cui il parroco durante l’omelia si fermava ed iniziava a dire sconcezze e raccontare storie sordide sulla figura di Gesù e tutti ridevano.
La Madonna Belvedere è un quadro dal significato sapienziale e profondo, il riso quindi, deve essere visto come un atto magico liberatore, utile a conoscere un’altra realtà. Il principio generatore dell’universo avviene attraverso la vitalità del fuoco. L’eros attiva le vibrazioni, il movimento e la vita a seguito di quelle metamorfosi che, grazie alla voluttà erotica dell’Amore muovono, il Sole e le altre stelle.
Note
1. Secondo la Enciclopedia it. Treccani, vol. XXIX, pag. 535, la Madonna Belvedere fu commissionata ad Ottaviano Nelli da Venturuccio de’ Conte Pinoli nella chiesa di Santa Maria Nuova in Gubbio nel 1403, considerata da tutti classico esempio dell’arte gotica in Italia. Nelle Belle Regioni d’Italia edito nella Banca Nazionale del lavoro dell’Umbria nel 1970, pag. 332, si afferma che l’opera è datata 1408. Nella Guida d’Italia Umbria nel 1966 4° edizione pag. 161 si afferma che nel 1510 la soave Madonna del Belvedere, Madonna col bambino, angeli, musicanti e Santi Emiliano, Antonio Abate, fu commissionato dalla Famiglia Pinoli; un affresco di Ottaviano Nelli del 1408-1413. Bonfatti L. nelle sue Memorie Storiche di Ottaviano Nelli Gubbio 1847 a pag. 5,6,7, 20 scrive che i due allocatori sono Venturuccio e Pinolo padre e figlio del Casato Pinoli viventi in quell’epoca nel 1403, anche se Pinolo era già grande all’epoca e non poteva essere così infantile e femminile.
Vincenzo Armanni (1663 – Vol. I°, pag. 710), Bonaventura Tondi (1684), Oderigi Lucanelli (1888 – pag. 618), Pio Cenci (Guida di Gubbio, 1912, pag. 32, 33), Quirico Rughi (Guida della Città di Gubbio, 1972), Lanzi, Lord Layard, Crowe, Cavalcaselle.
2. Vedi Poli G., Il Dio Madre in Piero della Francesca. Dal libro segreto della Famiglia Montefeltro la verità sulla Sacra Conversazione o Pala Brera, Luoghinteriori, Città di Castello 2022.
3. Vedi Poli G., Velame italico, la dottrina dell’origine nella Divina Commedia, Luoghinteriori, Città di Castello 2021.
Ringrazio il Comune di Gubbio per la collaborazione e l’invio della foto della Madonna Belvedere ad alta risoluzione.
Giuliana Poli è giornalista, ricercatrice di antropologia culturale, scrittrice di Tradizione, scrittrice di monografie e testi su opere d’Arte, analista ed esperta d’iconografia ed iconologia di opere d’arte. Analisi semantica del linguaggio dell’Arte e della parola. Presidente del Comitato Dante Alighieri di Ancona per le Marche.