LA TEMPESTA
di William Shakespeare
tradotta e interpretata da Eduardo De Filippo
musiche originali di Antonio Sinagra
scene di Maurizio Dotti e Franco Citterio
costumi di Eugenio Monti Colla
su bozzetti di Maurizio Dotti
direzione tecnica di Tiziano Marcolegio
regia di Eugenio Monti Colla
ripresa da Franco Citterio e Giovanni Schiavolin
i marionettisti
Franco Citterio, Maria Grazia Citterio, Piero Corbella,
Camillo Cosulich, Debora Coviello, Cecilia Di Marco, Tiziano Marcolegio, Michela Mantegazza, Pietro Monti, Giovanni Schiavolin, Paolo Sette
voce di Miranda Imma Piro
canzoni interpretate da Antonio Murro registrazioni effettuate da Gianfranco Cabiddu
versione curata da Luca De Filippo
produzione
ASSOCIAZIONE GRUPPORIANI
Comune di Milano – Teatro Convenzionato
La proposta di realizzare la messinscena della Tempesta di Shakespeare nella traduzione di Eduardo De Filippo, venuta nel 1985 dalla Biennale di Venezia nella persona di Franco Quadri, direttore del Settore Teatro, apparve immediatamente affascinante, ricca di entusiasmo ed emozione, sia per il valore del testo, sia per l’incanto della personalità del traduttore. Esso fu uno dei progetti più interessanti realizzati nell’ambito della collaborazione con il CRT diretto, fra gli altri, da Franco Laera, che produsse la prima edizione dello spettacolo.
Fra i seicento manoscritti di archivio della Compagnia Carlo Colla & Figli, accumulati in duecento anni di attività marionettistica, già avevano trovato posto autori classici come Gozzi, Goldoni e Molière; anche Shakespeare compariva in rimaneggiamenti alquanto arbitrari e legati a testi quali Falstaff e Macbeth, ma in piena rinuncia dei momenti poetici, forse per un eccessivo zelo nei riguardi di un pubblico non sempre preparato ad accettare dalle marionette un testo di parola che non fossero drammoni o tragedie a fosche tinte.
La forza poetica di Eduardo De Filippo nel restituire, attraverso la ricchezza del linguaggio napoletano, la dimensione “popolare” di un testo ormai visitato e rivisitato da interpretazioni filosofiche e intellettuali, è apparsa come il punto di raccordo più intenso e più concreto con il teatro di marionette che rende tangibile il mondo della fantasia attraverso magie e incantamenti scenici.
Per la Compagnia Carlo Colla & Figli rimaneva un punto da superare: far sì che La tempesta nascesse, così come Eduardo aveva voluto, come spettacolo “di marionette”, cioè che si allineasse ai kolossal di repertorio quali Excelsior, Gli ultimi giorni di Pompei, Cristoforo Colombo, Cenerentola, Prometeo e altri ancora, raccogliendo tutta la saggezza della tecnica marionettistica, delle linee estetiche e interpretative con cui le diverse discendenze dei Colla, e, in particolare, quella di Carlo II, Rosina, Giovanni e Michele, avevano conquistato un teatro stabile in una città come Milano (unico insieme alla Scala per mezzo secolo) e il pubblico di diverse generazioni, insieme a una fama che li aveva consacrati nella storia del teatro italiano.
Così La tempesta è stata vissuta come la nostra grande avventura, come la grande favola nella quale, intorno ai personaggi centrali, si muove un mondo di colori (violenti per la città di Tunisi, rarefatti e opalescenti per i luoghi d’amore di Miranda e Ferdinando, lividi e cupi per la congiura dei Potenti, tetri e inquietanti per la congiura degli Stolti), di suoni, di allegorie e di simbologie; il mondo della magia teatrale, dei trucchi di scena (la folgore, la pioggia, la nave inghiottita dai flutti, ruscelli e cascate), delle creature soprannaturali, il mondo in cui tutto appare vero per l’ingenuità e il candore con cui ogni istante è vissuto, forse anche fuori dal palcoscenico.
I personaggi sono divenuti numerosissimi, più di un centinaio fra spiriti, folletti e farfarielli, animali, e molteplici i luoghi dell’isola, immaginati come il continuo vagabondare dei protagonisti alla ricerca di se stessi e della loro catarsi, nell’incantesimo perenne in cui si consuma l’azione scenica, al fine di porre in evidenza l’insegnamento che Eduardo colse, in tutta la sua attualità, nel momento in cui intraprese la sua opera di traduttore e di poeta.