LORENZO FLAHERTY
TORNA A TEATRO NEL COINVOLGENTE SPETTACOLO
“SOLO – UNA VITA”
SCRITTO E DIRETTO DA MONICA MASSONE
CHE LO PORTERÀ IN TOURNÉE NEI MAGGIORI TEATRI ITALIANI
La storia di un antieroe, o, per converso, il vero volto dell’eroe di propaganda, la faccia scarnificata del Milite Ignoto sotto l’epica maschera del patriottismo, della democrazia e del progresso che, ieri come oggi, si cerca di esportare in territorio nemico di conquista.
Il prossimo febbraio Lorenzo Flaherty torna sul palco nei panni di Antonio Trentin nello spettacolo “Solo – una vita” diretto da Monica Massone prodotto da Quizzy Teatro – coregia dei video di Monica Massone e Sergio A.Notti, elaborazioni grafiche di Paolo Pio.
Uno spettacolo di particolare intensità che andrà in tournée nei maggiori Teatri Italiani.
“Antonio Trentin, il protagonista, aspirante maestro e fante durante la Grande Guerra, potrebbe essere ciascuno di noi – afferma la regista e autrice Monica Massone – egli avverte la presenza di un “Altro”, indefinito e soverchiante, incarnato, di volta in volta, dalla figura del padre, della madre, della sorella, del “Professore”, dell’amico, della comunità d’appartenenza, della donna desiderata, dell’ufficiale addestratore, del commilitone, del nemico, che, senza preavviso, senza ragione, senza alcuna considerazione, comprensione o compassione, annulla, in un solo istante, ogni sogno o vocazione futura. Colpevole di tradire il “Bene” di una collettività, sino a subirne la condanna e l’estromissione; solo, appunto, tra una moltitudine di gente che ha saputo sacrificare se stessa pur di salvare l’apparenza di democrazia e progresso proclamati da una società che, falsamente, sembra tutelare il benessere di tutti, indistintamente.
Antonio Trentin è, perciò, l’unico personaggio a essere interpretato da un attore, mentre tutti gli altri
sono proiezioni, ombre, citazioni, allusioni, entità senza corpo, senza anima, rappresentazioni di un
ruolo, di una carica, di un concetto. Persino Dio, in una società ancora profondamente religiosa, sembra essere scomparso, assente nonostante l’invocazione, o, forse, indifferente alla sorte del singolo.
La guerra è, pertanto, il sublimare all’eccesso un disagio che Antonio percepisce ma non ha la cultura e la dialettica per esprimere, poiché nessuno gliene ha (volutamente) trasmesso gli strumenti, né la scuola, né la famiglia, né, tantomeno, la società.
È una lotta tra Antonio e la Società che è il suo vero nemico e che, nel disperato tentativo di attribuirne un volto, proietta sulla minaccia austro-ungarica, sulla prostituta al bordello in retrovia, sui cavalli al fronte, sugli ufficiali, sui civili “al caldo”, sull’immagine stessa della sua famiglia. Antonio, in un progressivo scoppio di violenza oltre ogni limite di oscenità, ha come risultato amore e odio per la medesima tecnologia che, se temuta in tempo di “pace”, ora, come ordigno di guerra, è adorata e agognata per adattamento e assuefazione alla sofferenza.
“Solo – Una vita” è una tragedia in tre atti: il primo colloca Antonio entro i confini della famiglia, della scuola e del gruppo di amici, nel secondo la Guerra si avvicina ad Antonio, turbandone gli equilibri sociali, nel terzo si assiste alla progressiva distruzione della psiche e dell’identità del protagonista.
Lo spettacolo, tramite il realismo e la circostanza storica e storico – culturale entro cui agisce, vuole
essere, l’esplorazione di una mente in disgregazione, che è costretta a godere di questa miseria psichica, propria e altrui, poi, in un lampo di lucidità, trova nel suicidio il solo modo per sottrarsi alla conferma e al reiterarsi della schiavitù in cui è sempre vissuto.
“SOLO – una vita” è un omaggio di riconoscenza a chi donò la vita per obbedire a degli ordini di morte, non capito e mai perdonato.
“SOLO – una vita” è lo sforzo di restituire una dignità a milioni di uomini, oltraggiati dalla guerra,
uniformati, dimenticati: prima che soldati, nomi, cognomi, professioni, talenti, ambizioni, progetti,
speranze, schiacciati sotto il peso della Storia.
“SOLO – una vita” è un invito allo studio della Storia, per immedesimarsi in una condizione, per
pensare come chi ci ha preceduto e, per similitudine, intuire di essere stati tutti oggetto di manipolazione e di sfruttamento, per liberarsi, si spera, dalla coatta accettazione della guerra come
espediente per ottenere una “PACE” provvisoria, avvisaglia di un nuovo prossimo conflitto.
Parlo della Grande Guerra, perché essa è all’origine tanto dei Totalitarismi, quanto del Secondo Conflitto Mondiale e di una moltitudine di Crisi Internazionali che, ancora oggi, producono
effetti su scala globale e, indirettamente, ricadono sulla nostra vita, sulla nostra condotta, sulla nostra morale, sulle nostre economie e sui nostri stili di vita: un’Apocalisse storica che resta scolpita, ancora oggi, nel nostro quotidiano.
Antonio è ciascuno di noi, poiché “cambia la forma, ma non la sostanza” dell’egemonia darwiniana: la conoscenza delle dinamiche e dei meccanismi che muovono la Storia, la coscienza critica individuale sono le sole “armi” che abbiamo per cedere il meno possibile di noi stessi, della nostra individualità, della nostra unicità, al Potere.
Un unico attore sulla scena che interagisce con i video e le immagini originali risalenti al periodo 1913-1918, che occupano l’intera superficie del fondale. In questa contrapposizione tra la
matericità del corpo del protagonista e la bidimensionalità di tutti gli altri personaggi e degli ambienti, si rimarca l’impressione di solitudine, estraniamento e di un “altrove mnemonico”.
Immagini e video guidano lo spettatore in questo viaggio nella metamorfosi psichica di Antonio.
I video e le immagini nel Prologo ed epilogo che sono, rispettivamente, un percorso all’indietro nel tempo, dal 2023 al 1913, e in avanti, dal 1913 al 2023 documentano la manipolazione a opera di un Potere che non si conosce ai danni dei singoli individui, quasi del tutto impossibilitati a darsi realmente vita;
I suoni originali delle battaglie combattute tra il 1915 e il 1918 e la musica di genere elettronico daranno un apporto fondamentale nel suggerire la comparazione con il presente e l’incombenza di una tecnologia sempre più intrusiva, terrificante e schiacciante.
Lo spettacolo è un omaggio a Stanley Kubrick e al suo “Full Metal Jacket”, nel denunciare un sistema dichiara manipolazione e annichilimento delle peculiarità del singolo e omogeneizzazione del pensiero.
In ultima analisi, in Antonio riecheggia l’ideale nietzschiano di “Superuomo” ma nell’accezione di
ricerca e superamento costante di sé stesso e dei propri limiti, siano essi connaturati o intimati
dall’esterno.”