Marco Plini si confronta con il classico della Turandot

Dal al 10 febbraio sul palco del Teatro Argentina Marco Plini si confronta con la tradizione dell’Opera di Pechinonella rivisitazione del classico pucciniano della TURANDOT. Lo spettacolo è un sottile gioco di specchi tra due mondi, lontani in apparenza, ma reciprocamente attratti e affascinati l’uno dall’altro, perché entrambi eredi di civiltà antiche, sofisticate e misteriose a un tempo. Da un lato, dunque, la raffinata arte attoriale dell’Opera di Pechino, sublime mescolanza di recitazione, danza e canto, tesa a una continua perfezione del gesto artistico; dall’altra, invece, lo sguardo prospettico d’invenzione tutta italiana, il gusto visionario e la lunga sapienza d’ordire scene illusionistiche, abilità divenuta patrimonio del teatro europeo. Con Turandot prosegue la fortunata esperienza italo-cinese del Faust, rinnovando il vivo confronto tutto teatrale tra Asia ed Europa. «Il fascino dell’Opera di Pechino è il fascino di una bellissima favola per bambini animata da imperatori, principi e principesse tutti molto rispettosi dei loro ruoli – raccontaMarco Plini – È così che l’ho approcciata, nel rispetto di un teatro secolare che porta sul palcoscenico un’antropologia viva, con la soggezione del novizio invitato a partecipare a un rito antico e misterioso. Turandot nasce da questo rispetto, da questa curiosità e da questo mistero. Ho immaginato di portare il pubblico europeo a entrare in un sogno bellissimo e colorato che non possiamo capire fino in fondo, ma le cui immagini ci attraggono e risucchiano in un vortice di colori brillanti e suoni rumorosissimi, che man mano prendono senso, un senso profondo, atavico, che ci colpisce nel profondo ma a cui non riusciamo a dare un nome. Come i principi che si recano a palazzo per cercare di risolvere gli enigmi nella speranza di poter sposare la principessa di incomparabile bellezza, restiamo stregati da un’immagine che incanta. Ma Turandot è una favola nera, fatta di sangue, teste tagliate, vendette e paure. Il sogno, atto dopo atto, si trasfigura, diventa sempre più violento, più spaventoso: la fiaba diventa allucinazione. Un sogno così non può avere un lieto fine, la morte di Liù non può essere dimenticata nel nome dell’amore per quanto folle e principesco esso sia».

 

Dal 5 al 10 febbraio al Teatro Argentina

Marco Plini si confronta con il classico della Turandot, per la prima volta proposta da un regista italiano

in dialogo con la grande tradizione dell’Opera di Pechino: la raffinata arte attoriale cinese, sublime mescolanza di recitazione,

danza e canto, abbraccia lo sguardo prospettico e un gusto visionario d’invenzione tutta italiana. In scena la favola

per antonomasia dell’esotismo orientale: la storia della principessa bella e temibile, orditrice d’inganni, e del suo cuore disperato e crudele insidiato dall’amore.

TURANDOT

regia Marco Plini

per l’Opera di Pechino Xu Mengke

drammaturgia Wu Jiang e Wu Yuejia

Produzione China National Peking Opera Company, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Metastasio di Prato

 

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