La presentazione al pubblico di un corpus di opere dell’artista toscano Fausto Vagnetti (Anghiari 1876 – Roma 1954) ben distribuite nell’arco cronologico della sua lunga attività, offre l’opportunità di riscoprire finalmente il grande talento di un maestro del Divisionismo romano lasciato da troppo tempo nell’oblio. Già ad un primo sguardo emergono quelli che sono gli elementi distintivi della cifra stilistica di Vagnetti: la correttezza del disegno, la tecnica divisionista applicata con rigore scientifico e la delicata poesia che affiora in particolare dai paesaggi, caratterizzati dall’assenza della figura umana (esemplare per questi aspetti Sole d’agostooI cipressi della vigna).
Oltre ai paesaggi ispirati dall’amore per Anghiari e Roma, la mostra includerà alcuni ritratti, spesso dedicati all’universo privato degli affetti famigliari (Ritratto di Rosalia), in cui è evidente l’abilità d’introspezione psicologica dell’artista.
Sono sostanzialmente due i punti fermi dell’attività di Vagnetti: la mai dimenticata Anghiari, luogo di fuga foriero di ispirazione lungo l’arco di una vita intera, e la missione profondamente sentita per l’insegnamento, in parte dovuta alla sua fede socialista e al conseguente credo in un progresso collettivo, di cui volle farsi carico attraverso il suo ruolo presso l’Istituto di Belle Arti di Roma. La stessa scelta di impiegare la tecnica divisionista, sempre sorretta da una correttezza disegnativa di lontana matrice purista, era stata sposata da Vagnetti poiché vicina alla sua idea di progresso nell’arte (La vigna del dottore del 1919, Palermo Galleria d’Arte Moderna). A questo clima culturale si lega la sua partecipazione alle mostre della “Secessione romana”, nata nel 1912 dalla volontà di un gruppo di artisti di distaccarsi dai circuiti espositivi ufficiali, ritenuti ormai fortemente attardati. La modernità dei secessionisti romani, pienamente condivisa da Vagnetti, trovava compimento proprio nella tecnica divisionista, tornata di moda nei primi anni Dieci del Novecento e impiegata soprattutto per scene di sapore intimista.
Tra le opere presentate in mostra si ricordano, inoltre, Le case di Valle al sole (1914), La fontana di Palazzo Borghese (1915), Nella pineta di Tordiquinto (1918) e i Balocchi di Nenella (1934), quest’ultimo partecipe del clima del cosiddetto “Realismo magico”.