Per la prima volta a Roma in scena al Teatro Parioli mercoledì 10 maggio (ore 21), nell’ambito della seconda edizione di “Primo sale” progetto diretto da Giulio Baffi, rivolto alla promozione di giovani autori, registi, attori e produttori teatrali, “Gianni”, diretto ed interpretato dall’attrice perugina Caroline Baglioni, rivelazione della nuova scena teatrale italiana, una produzione La società dello spettacolo, spettacolo vincitore del Premio In-Box 2016 e progetto vincitore del Premio Scenario per Ustica 2015.
Caroline Baglioni – attualmente impegnata, insieme Michelangelo Bellani e a c.l.Grugher, nella nuova produzione de La società dello spettacolo che segue il percorso di ricerca scenica iniziato con GIANNI – ritrova nella voce dello zio, Gianni Pampanini, affetto da problemi maniaco-depressivi, le tracce di verità di un’esistenza che la scrittura teatrale riesce a sottrarre all’oggettivazione della malattia.
«Avevo circa tredici anni – scrive Caroline Baglioni – Mio padre tornò a casa e disse che era arrivato il momento di occuparci di Gianni. Era un gigante Gianni. Alto quasi due metri, ma a me sembravano tre e nella mia mente è un film in bianco e nero. Gianni sembra oggi un ricordo lontano, ma era lontano anche quando c’era.
Era lo zio con problemi maniaco-depressivi che mi faceva paura. Aveva lo sguardo di chi conosce le cose, ma le ripeteva dentro di sé mica ce le diceva. Fumava e le ripeteva dentro di sé. Gianni non stava mai bene. Se stavamo da me voleva tornare a casa sua. Se stava a casa sua voleva uscire. Se era fuori voleva tornare dentro. Dentro e fuori è stata tutta la sua vita. Dentro casa. Dentro il Cim. Dentro la malattia. Dentro al dolore. Dentro ai pensieri. Dentro al fumo. Dentro la sua macchina. E fuori. Fuori da tutto quello che voleva.
Non aveva pace Gianni. Ogni centimetro della sua pelle trasudava speranza di stare bene. Stare bene è stata la sua grande ricerca. Ma chi di noi non vuole stare bene?
Nel 2004 in una scatola di vecchi dischi, ho trovato tre cassette. Tre cassette dove Gianni ha inciso la sua voce, gridato i suoi desideri, cantato la sua gioia, detto la sua tristezza.
Per dieci anni le ho ascoltate riflettendo su quale strano destino ci aveva uniti. Un anno prima della mia nascita Gianni incideva parole che io, e solo io, avrei ascoltato solo venti anni dopo. E improvvisamente, ogni volta mi torna vicino, grande e grosso, alto tre metri e in bianco e nero».
“Colpisce la trasformazione di un materiale biografico intimo e drammatico in un percorso personale di ricerca performativa: la traccia audio originale di un’esistenza spezzata, come il testamento beckettiano di Krapp, ispira una partitura fisica, gestuale, coreografica in un efficace gioco tra due ambiti scenici che si rivelano anche esistenziali. Un lavoro sulla memoria individuale capace di creare uno spazio di comprensione ed empatia che scuote lo spettatore.” [Motivazione della Giuria Premio Scenario]
Ingresso: platea e galleria 10 euro
Teatro Parioli Peppino De Filippo Via Giosuè Borsi 20, 00197 – Roma
tel . 06 8073040
www.parioliteatro.it
Relazioni con la stampa: Maurizio Quattrini tel.338/8485333
maurizioquattrini@yahoo.it
La società dello spettacolo/Caroline Baglioni
GIANNI
ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di e con Caroline Baglioni
supervisione alla regia Michelangelo Bellani, c.l.Grugher
assistente alla regia Nicol Martini
luci Gianni Staropoli
suono Valerio Di Loreto
organizzazione Mariella Nanni
ufficio stampa Raffaella Ilari
produzione La società dello spettacolo
residenze artistiche Auditorium Santa Caterina (Foligno InContemporanea) – L’arboreto –
Teatro Dimora di Mondaino
Prossime date
12 maggio 2017 / Monza, Binario 7
Link sito www.lasocietadellospettacolo.org
Link trailer video https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/155b6d5c7cf4cd7e
La società dello spettacolo è un gruppo di ricerca teatrale umbro fondato nel 2007 da c.l. Grugher, Marianna Masciolini, Michelangelo Bellani ai quali si unisce nel 2012 Caroline Baglioni. Dall’omonima opera d’esordio tratta da Guy Debord da cui prende nome, si è dedicata a progetti di drammaturgia contemporanea ispirati a testi filosofici e sociologici collaborando fra gli altri con pensatori come Omar Calabrese e Manlio Sgalambro. Carne, terzo elemento di una trilogia dedicata alla filosofia francese contemporanea, è stato prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria. Le sue produzioni sono state ospitate in festival e rassegne nazionali e in residenze artistiche internazionali.
Si occupa di pedagogia e formazione teatrale, cura dal 2009 progetti di riabilitazione dedicati al disagio mentale. Realizza documentari, installazioni, live performance. Ha ricevuto il premio Indipendents ad ArtVerona 14 e con Sòccantare ha vinto il premio come miglior documentario al PerSo Film Festival 2015 nella sezione Umbria in Celluloide. Nella stagione 2015/2016 ha realizzato due nuovi progetti: Gianni di Caroline Baglioni progetto vincitore del premio Scenario per Ustica 2015, spettacolo vincitore premio In-Box 2016 e Io sono non amore sull’esperienza di Santa Angela da Foligno. Dal 2015 grazie al progetto Foligno InContemporanea vincitore di un bando regionale, è Centro di residenza teatrale nell’ambito del progetto nazionale previsto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Contatti
La società dello spettacolo / Mariella Nanni
mob. +39 320.8885512 – email info@lasocietadellospettacolo.org
Ufficio Stampa, Comunicazione, Promozione
Raffaella Ilari mob. +39.333.4301603 – email raffaella.ilari@gmail.com
Estratti stampa
“Il dramma intimissimo e biografico portato in scena riesce a convertirsi su piani di relazione ulteriori, dimostrandosi capace di trasmettere emozioni e sensazioni che possono appartenere a ciascuno di noi. Anche qui, il solo-show, la prospettiva micro e personale, vissuta e biografica, diventa filtro – attraverso la lingua scenica – per parlare dell’uomo d’oggi e del mondo che lo circonda, fra vita e politica.”
[Roberta Ferraresi, Il tamburo di kattrin]
“…per aver colto quel dentro e fuori del nostro tempo, averne compreso la complessità per poi restituirla nella sua semplice essenza.”
[Lucia Medri/Simone Nebbia, teatro e critica]
“Una biografia intima e drammatica inscritta in percorso drammaturgico pregiato, in una coreografia di gesti e di posture della nostalgia. […] Un testamento poetico ed effimero a cui la Baglioni, con la solerzia necessaria della sua presenza, mai invasiva, conferisce una straziante verità”.
[Valentina De Simone, Che teatro fa – larepubblica.it]
“Baglioni non ‘interpreta’ Gianni, fa di più: lo anima dall’interno, filtrandolo attraverso la propria sensibilità squisitamente femminile, creando un’efficace partitura fisica e gestuale – una qualità di movimento che si fa simbolo e mai descrizione.”
[Sarah Curati, Paper Street]
“Caroline Baglioni diventa zio Gianni in un toccante originale assolo autobiografico.”
[Simone Pacini, Shorttheatre – @twitter.com]
Inscenata da una sola attrice in scena e decine di paia di scarpe sul pavimento, allestita in un’ambientazione minimale e allo stesso tempo suggestiva, Gianni è la storia di un uomo molto alto che aveva il vizio di fumare e l’abitudine di incidere la propria voce su delle musicassette […]. Si tratta, per la Baglioni, di una recitazione molto tecnica e precisa che, grazie l’uso di fulminei piani di sequenza e a una narrativa serrata, oltre che a donare all’opera un significativo aspetto estetico, riesce a favorire un facile accesso per lo spettatore e si accompagna a una colonna sonora di vari generi musicali che, inizialmente soffusa e in sottofondo, prende corpo con l’incedere della rappresentazione fino a culminare in una danza frenetica ricordando al pubblico come i sentimenti di rabbia e gioia facciano parte integrante dell’esistenza di tutti, uomini o donne che siano. Chapeau.
[Marco Zuccaccia, teatro.persinsala.it]
[…] Caroline, pluripremiata per questa sua delicatissima operazione, in bilico tra autobiografia e rievocazione, coreografie di gesti e di posture della nostalgia, porta in scena un dramma intimissimo, un testamento poetico ed effimero di straziante verità…[…] Caroline è un mucchio di scarpe, da lanciare, riordinare, da indossare spiate, per entrare fisicamente nello sdoppiamento dell’incarnazione. Lei e lui, una scarpa sua e una di Gianni, fino all’ultima, che rimane isolata sul palco con la luce rossa a pioggia, una scarpa numero 46 determinante per il riconoscimento di un uomo che decise di farla finita mentre ascoltiamo finalmente la sua voce e sussultiamo per averlo sentito così vicino.
[Pietro Corvi, Libertà]
“Oltre alla suddetta modalità mimetica e a quella narrativa, azzeccata risulta la scelta registica di entrare in scena con un mucchio di scarpe, guarda caso scompaiate, per poi utilizzarle come elemento non solo coreografico, ma quasi con dignità di coprotagonista. […] Efficace e simbolico, poi, è l’utilizzo che ne fa – rituale controcanto alle scene d’impersonificazione del racconto-fiume in prima persona dell’uomo: quasi solo azioni sceniche, in cui lei diventa la reginetta del cerchio magico e loro, le scarpe, pedine dotate quasi di vita autonoma e di autonomo sentire e giudicare.”
[Francesca Romana Lino, rumorscena.com]
“Caroline Baglioni si carica sulle spalle i frammenti di un discorso amoroso, proprio dilatando la mancanza dell’amore. Li sostiene in virtù di una qualità d’attrice cristallina, esperta nel costruire una partitura di gesti mai casuali, intrecciati alla parola con abilità e coscienza autoriale di ottime prospettive.”
[Simone Nebbia, teatroecritica.net]
“Ed è così che, attraverso una partitura fisica, gestuale, coreografica ben condotta e orchestrata, accompagnata da musiche che vanno dagli Afterhours a Sergio Caputo, da Venditti a Renato Zero, avviene scenicamente in modo plausibile la trasformazione di un materiale vocale, affidato solo ai ricordi, di una presenza che sembrava dimenticata.”
[Mario Bianchi, klpteatro.it]
“Vestita di rosa, con lunghi capelli biondi sciolti, la Baglioni riesce a far dimenticare la propria femminilità allo spettatore: le parole sono quelle dello zio Gianni, che negli Ottanta ha inciso su un nastro, in un umbro grezzo e terroso, i rigurgiti della sua malattia di vivere. La nipote Caroline, nel restituire quel malessere sul palco, riesce a compiere uno scarto, astraendo quel dolore in gesti, immagini, oggetti e rendendolo così universale.”
[Maddalena Giovannelli, doppiozero.com]
“La solitudine performativa dell’attrice in scena rende pienamente l’idea di quella vissuta dal personaggio in un crescendo che porta alla bellissima danza finale di liberazione che se da una parte segna il momento di fine vita dello zio dall’altra travalica nell’aperta dichiarazione poetica della nipote attrice, solo ora totalmente libera di quel corpo scenico del quale non resta che una scarpa e una voce.”
[Francesca Giuliani, paneacquaculture.net]
“La scena, scarna, dominata dalla fisicità fluida della protagonista che sa muoversi come Gianni, è à goffa e insicura, sognante e lieve. Le scarpe, tante scarpe abbandonate sulla scena e indossate alternativamente dalla Baglioni, paiono i frammenti di un esistere che non si riesce a ricomporre in unità, operando una resa simbolica ed evocativa efficace.”
[Daniele Stefanoni, dramma.it]
“Sola in scena, con una sottoveste lunga, azzurra, semplice, Caroline Baglioni […] è brava e da un bel ritmo e un bel respiro al lavoro: si è costruita un personaggio poco convenzionale, nevrotico ma anche misterioso e la sua voce modula con ritmi e intonazioni l’onda interiore di Gianni che a quanto pare è un personaggio veramente esistito di cui alla fine si ascolta la vera voce”.
[Anna Bandettini, Repubblica.it]
“Una genesi toccante, uno sviluppo coinvolgente, un dipanamento commovente. La realtà che s’intreccia pesantemente con la finzione drammaturgica, con risvolti poetici e difficili da digerire, macigni da portare sulle spalle, mattoni da ingoiare. […] tutto trapela senza sosta dai pori della Baglioni, con lucidità e fermezza, e ogni sera è una rievocazione, un’apparizione, una rinascita, una rivincita: la potenza del teatro.”
[Tommaso Chimenti, Ilfattoquotidiano.it]
“Gianni” è il risultato, profondo ed emozionante, di un lavoro di metabolizzazione del vissuto, dell’uomo, di una biografia intima e personale che, nella metamorfosi data dalla condivisione, diventa indagine sulla società e sulla natura dell’essere umano. L’attrice e drammaturga, in un semplice e leggero vestito rosa, restituisce vita e anima a Gianni, filtrandolo con una delicata prospettiva femminile che niente toglie all’intensità oscura della narrazione; la sua presenza fisica è potente e totalizzante e, grazie a un equilibrato e denso spartito di gesti, coreografie e musiche, riesce a rendere la voce rotta del protagonista tanto vicina, pungente, straziante.
[Giulia Focardi, recensito.net]
“affronta il tema della malattia mentale, lo sviscera, lo materializza in una storia personale ma universale.”
[Barbara Mastria, ArtInTime]