Teatro Argentina
10 – 15 gennaio 2023
Roberto Andò
Ferito a morte
di Raffaele La Capria
adattamento Emanuele Trevi
regia Roberto Andò
con Andrea Renzi (Massimo adulto)
Paolo Cresta (Gaetano)
Giovanni Ludeno (Ninì)
Gea Martire (Signora De Luca)
Paolo Mazzarelli (Sasà), Aurora Quattrocchi (Nonna)
Marcello Romolo (Zio Umberto) Matteo Cecchi (Cocò), Clio Cipolletta (Assuntina/Mariella), Giancarlo Cosentino (Signor De Luca), Antonio Elia (Glauco)
Rebecca Furfaro (Betty), Lorenzo Parrotto (Guidino), Vincenzo Pasquariello (Cameriere)
Sabatino Trombetta (Massimo giovane), Laure Valentinelli (Carla)
la voce di Roger in inglese è di Tim Daish
scene e luci Gianni Carluccio – costumi Daniela Cernigliaro
video Luca Scarzella – suono Hubert Westkemper – coreografie Luna Cenere
aiuto regia Luca Bargagna – assistente alle scene Sebastiana Di Gesù
assistente ai costumi Pina Sorrentino – direttore di scena Sandro Amatucci
foto di Lia Pasqualino
Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
orari: martedì, giovedì e venerdì ore 20.00 | mercoledì e sabato ore 19.00 | domenica ore 17.00
durata: 2 ore senza intervallo
Dal 10 al 15 gennaio Roberto Andò trasferisce sul palco del Teatro Argentina, nell’adattamento firmato da Emanuele Trevi, il romanzo capolavoro che nel 1961 valse il Premio Strega a Raffaele La Capria, Ferito a morte, un diario romantico dove la vicenda umana del protagonista si estende ai fantasmi della Storia e alle macerie del Dopoguerra per una profonda riflessione sul tempo, che continua a sfuggire, ma anche sulla giovinezza e l’amicizia.
Dal romanzo alla scena si snoda la vicenda di un’esistenza narrata nell’arco temporale di undici anni – dall’estate del 1943 quando, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier durante un bombardamento, fino al giorno della sua partenza per Roma all’inizio dell’estate del 1954 – attraverso un reticolato di ricordi, frammenti, episodi e combinazioni che si ricongiungono in un racconto condensato nello spazio di una sola mattinata. Una polifonia di voci, personaggi, visioni e storie che trovano collocazione nel ritratto di una città, la Napoli del Dopoguerra, che «ti ferisce a morte o t’addormenta», sovrapposta alla società borghese dell’epoca, apatica, fallita materialmente e moralmente, annoiata, immersa nell’immobilità. «Come ogni racconto del tempo che passa – commenta Roberto Andò – il romanzo di La Capria, in modo del tutto originale e unico, è attraversato dai fantasmi della Storia. In questo senso è anche un libro sul fallimento della borghesia meridionale, sul marciume corrosivo del denaro, sullo sciupio del sesso, sul disfacimento della città all’unisono con chi la abita, sulla logorrea e la megalomania, sul piacere di apparire e fingersi diversi da come si è. Soprattutto è una storia, come ha scritto Leonardo Colombati, che non ha principio né fine. Per adattare (parola che da sempre mi sembra imprecisa o inadeguata) questo grande romanzo al teatro ho chiesto l’aiuto di uno scrittore come Emanuele Trevi, da sempre dedito nei suoi bellissimi libri a riportare in vita ciò che è scomparso, a riacciuffare quel punto della vita che altrimenti sarebbe condannato a svanire per sempre».
Sul palcoscenico fluiscono senza posa i personaggi dalla pagina scritta, una varietà di pensieri e storie che inseguono la galleria di ricordi e ferite, amori e disillusioni, fughe e aspirazioni, orchestrate da uno spettacolo corale che diventa un viaggio collettivo attraverso un cast di 16 interpreti con protagonista Andrea Renzi (nel ruolo di Massimo), a cui si accorda la nutrita squadra di attrici e attori: Paolo Cresta (Gaetano), Giovanni Ludeno (Ninì), Gea Martire (Signora De Luca), Paolo Mazzarelli (Sasà), Aurora Quattrocchi (Nonna), Marcello Romolo (Zio Umberto), Matteo Cecchi (Cocò), Clio Cipolletta (Assuntina/Mariella), Giancarlo Cosentino (Signor De Luca), Antonio Elia (Glauco), Rebecca Furfaro (Betty), Lorenzo Parrotto (Guidino), Vincenzo Pasquariello (Cameriere), Sabatino Trombetta (Massimo giovane), Laure Valentinelli (Carla), mentre la voce di Roger in inglese è di Tim Daish.
Vita sociale e vicende familiari si intrecciano insieme sotto i riflessi del mare che invade il mondo raccontato da La Capria in un romanzo considerato un grande classico della letteratura italiana del Novecento, e che ci restituisce il ritratto della borghesia napoletana della fine degli anni 40, quando lo scrittore, come il suo protagonista, abbandonò la sua città per spostarsi a Roma.
Ferito a morte è un libro popolare e amato dai lettori che, con grande riscontro sentimentale, vi hanno rintracciavano la loro stessa malinconia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». La vita del protagonista Massimo diventa, infatti, uno strumento narrativo per ampliare proprio quel paesaggio dipinto dalle pagine del romanzo, che fonde insieme natura e storia, l’implacabile fluire della vita con la critica politica, ma anche felicità e pessimismo, amicizia e amori mancati, ritorni e rimpianti sul palcoscenico di una Napoli mitica e reale. Così come continua a riflettere Roberto Andò: «Forse il grande tema di Ferito a morte è il tempo, l’irretimento e l’abbandono che convivono in modo speciale nel nostro modo di sostarvi dentro, nella nostra coscienza del suo scorrere incessante fuori e dentro di noi. Ferito a morte è un romanzo divenuto molto presto un classico, su cui molto è stato scritto. Di tutto quello che ho letto mi è rimasta una memoria molto viva del commento di Domenico Starnone, lì dove dice che “L’impressione più duratura di quella prima lettura fu la confusione emozionante delle voci. Mi sembrò di finire dentro la radio mentre qualcuno gira la manopola e l’asta scorre attraverso le stazioni. Ma con mia meraviglia tutto era comprensibile. Scoprivo e insieme riconoscevo luoghi, sensazioni, persone, formulari, toni, la mia stessa città. Insomma, c’era racconto, ma era un modo assolutamente diverso di raccontare. Era – mi sembrò – un modo assai più vero”. Parole che potrei fare mie, anche se Napoli non è la città dove sono nato. Parole che ritornano appropriate per questa scelta di portare in scena un romanzo così complesso e labirintico. Non sono il primo che porta un romanzo a teatro, basterebbe citare l’esempio del Pasticciaccio di Gadda con la regia di Luca Ronconi, per riconoscere un solco solido e riconoscibile. Ma perché un romanzo per fare teatro? […] E forse il grande tema del romanzo di questo meraviglioso, ed eternamente giovane, scrittore, Raffaele La Capria, è proprio quel continuo sfumare in cui la vita perde ogni presunzione di forma solida e diviene per sempre evanescente e liquida. In questa indeterminatezza è possibile accogliere in modo apparentemente disordinato il flusso delle voci e dei volti e riconsiderarne il messaggio cifrato. E probabilmente quello che più mi attrae, da scrittore e uomo di teatro, in Ferito a morte è proprio “il tentativo riuscito di raccontare la vita che succede prima ancora che diventi racconto, e la malinconia di raccontarla quando ormai lo è diventata”, come scrive ancora Starnone».