Bobo Craxi da Route el Fawara verso la strada di casa. L’esilio non è un castigo ma una ricerca

Route el Fawara Hammamet. Si chiama ancora così la strada che portava a quella collina di sciacalli e di serpenti dove un vecchio leone stanco e annoiato termina il suo viaggio stroncato da una maledetta complicazione che l’unica compagna fedele degli ultimi anni gli riserva. Non è più la vecchia mulattiera dei tempi dell’esilio di Bettino e del resto tutto col tempo cambia, o no? Nel 2003 usciva il libro dove Vittorio Michele Craxi, per tutti Bobo, racconta a Gianni Pennacchi gli ultimi 6 anni della vita di suo padre fino la dipartita del 19 gennaio del 2000. Furono gli anni dei bilanci in solitudine, contrassegnati da momenti di tristezza, punte di depressione, la stessa gabbia in cui a volte si è sentito imprigionare anche lui, figlio del leader socialista poi dell’uomo. Le serate tunisine dove le cene duravano ore ed i commensali a volte erano costretti ad ascoltare per la centesima volta i particolari del caso Di Pietro, magari di quella volta che durante il processo Cusani durante l’interrogatorio pubblico, gli aveva chiesto del finanziamento illecito ai partiti e lui prontamente aveva risposto di esserne al corrente fin dai tempi in cui indossava i pantaloni alla zuava o la storia epica dei suoi anni d’oro.

Nelle pagine si parla di politica ma solo da lontano, come se la distanza fisica fornisse il necessario distacco e acuisse la sua già notevole capacità chirurgica di vivisezionare il particolare per trarne delle nuove connessioni sfuggite alla maggioranza. E Bettino parlava dell’amico Silvio. Era infastidito e deluso perché Berlusconi proseguiva l’opera di distruzione dei partiti e difendeva i giudici di Milano. Tra i due i rapporti si raffreddarono subito dopo il trasloco in Tunisia del maggio 1994 e rimasero tali fino alla sua morte. Soprattutto Benedetto non perdonò mai a Silvio l’appoggio che le reti Mediaset diedero alla causa giustizialista. Della seconda Repubblica a Craxi non piaceva quasi nulla, ma aveva un debole per Fausto Bertinotti che rappresentava a suo dire il nuovo più di tanti altri. Bobo ricorda che suo padre ne apprezzava quella sua capacità di manovra al di sopra degli assetti del potere. Ad Hammamet Bettino è pacifista e guarda con attenzione i no global. Condanna l’intervento in Kosovo. D’Alema a suo dire ha sbagliato ad inviare le truppe italiane a Timor Est che “la maggioranza degli italiani non sa neanche dove sta”, quando lui non poteva neanche mandare una missione di pace in Libano senza che i comunisti non protestassero veementemente. A volte un barlume di speranza….E se D’Alema gli favorisse un rientro almeno per sottoporsi alle cure di cui ha bisogno?….Le chiusure degli uffici di Milano e Roma, il doloroso addio alla casa di via Foppa fino all’epilogo ottenebrano a poco a poco l’orizzonte fugando i desideri impossibili. Se Abdelwahab Meddeb, poeta tunisino afferma che “L’esilio non è un castigo ma è una ricerca “, possiamo ipotizzare che entrambi, padre e figlio da lui arruolato sul campo abbiano avuto il tempo necessario per formulare almeno le domande.

Difficile stabilire se Bobo abbia scelto liberamente la carriera politica, se le passioni forti dei padri scorrano nelle vene dei figli per quel principio naturale della trasmissione del corredo genetico o se in qualche modo si sia sentito investito direttamente dal genitore, certo è che le ragioni si svelano con maggiore chiarezza solo alla fine della corsa, nel mentre di qualunque origine siano, esse contribuiscono solo a scrivere una parte del nostro racconto e forse della storia di tutti. Vittorio Michele ha le idee chiare circa lo tsunami che investì il padre e lo considera la vittima di una guerra sporca caratterizzata da quell’insieme di piccole e grandi attività liberticide che vengono attuate da magistrati ed inquirenti mentre i media e una parte della politica si incaricano di spargere veleni con l’intento di inquinare la scena e confondere l’opinione pubblica: questo accadeva a casa nostra nel 1992. Golpe bianco? Tecnicamente un colpo di stato. Furono assoldati contractors per le perquisizioni e le intimidazioni, ci furono lettere e telefonate anonime. Lo stesso Bobo scampò fortuitamente a due tentativi di omicidio perpetrati a suo danno da infiltrati incaricati di uccidere Craxi senior.

A Macerata ancora si ricordano con stima e affetto di quel ragazzo timido ed educatissimo, che fece la naja come tutti senza sconti, né trattamenti particolari. Si marciava per ore, tutti e Bobo era allineatissimo, tra le fontane nel grande piazzale di 5.000 m. Per pranzare, rispettava la fila come gli altri e a volte l’attesa era anche di ore dato che i commilitoni erano più di 400. L’unica richiesta il 24 enne Bobo la fece il giorno del suo giuramento nella caserma dell’Aereonautica, era il 17 dicembre del 1988, quando chiese al maresciallo e vicecomandante del plotone al quale era assegnato, Renato Brasili di poter deporre il fucile automatico SC70 alla fine della cerimonia. Sebbene in quel giorno così importante, la madre e la sorella fossero rimaste a

Milano bloccate dalla neve ed il segretario del Psi fosse in Nicaraya, prevedeva un vero e proprio assalto di fotografi, giornalisti e preferiva affrontarli…Disarmato!

Dopo aver prestato servizio come aviere nella caserma di Macerata, Vittorio Michele è stato consigliere comunale a Milano e segretario cittadino del PSI fino al 1992. Nel 2000 ha fondato la Lega Socialista poi confluita nel nuovo PSI e l’anno seguente è stato eletto deputato della Casa delle Libertà. Sottosegretario agli Affari Esteri nel 2006, decide dopo tre anni di abbandonare le cariche dirigenziali. Nel 2010 è capolista alle regionali del Lazio del PSI (Roma e Latina) e nel 2015 fonda Area Socialista. Nel 2021 è stato scelto come capolista alle elezioni comunali di Roma a sostegno di Roberto Gualtieri.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares