Emanuela Amici, laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, è docente di Lettere a tempo indeterminato nella scuola secondaria di I grado dal 2009.
Si è dedicata alla stesura di un manuale sulla dislessia, dal titolo Dislessia e didattica, pubblicato con la casa editrice Armando Editore.
Ha scritto un romanzo dal titolo Quello che resta, pubblicato da Ianieri Editore.
La sintonia in una coppia avviene spontaneamente o la si può trovare?
“Non credo esista una formula valida in assoluto quando si parla di relazioni. Tra due persone si può stabilire una sintonia immediata e spontanea, oppure è possibile che la complicità sia il frutto di una conquista graduale, fatta di equilibri da costruire. Marco e Valentina, i protagonisti del romanzo, si conoscono in modo casuale; Marco, nel vedere Valentina per la prima volta alla stazione, resta colpito dal suo viso e dalla sua aria sfuggente, tanto da scendere dal treno per seguirla e lasciarle un biglietto nella borsa. Il loro rapporto, nato in un modo del tutto anticonvenzionale, è una continua e costante scoperta, non è mai scontato e la sintonia tra i due è basata su una condivisione profonda, elemento che credo sia alla base della buona riuscita di una coppia.”
Da scrittrice qual è la sua paura più grande?
“In questo momento storico parlare di paura è qualcosa di molto concreto, purtroppo. Abbiamo vissuto due anni durissimi a causa della pandemia, ci siamo sentiti fragili ed esposti, abbiamo forse riconsiderato l’idea della nostra vulnerabilità, della morte, che nella nostra società si tende a tacere, come non ci riguardasse. Le immagini della guerra, non più lontana, ma a un passo da noi, ci riporta indietro, alle pagine dei libri di storia che mai avremmo immaginato di rivivere. Tutto questo non può che spaventarmi. Da madre e da insegnante, prima ancora che da scrittrice, sento il peso di una grave responsabilità nei confronti delle giovani generazioni, perché stiamo consegnando ai nostri ragazzi un mondo incerto e poco rassicurante.”
Come difende il momento creativo dal frastuono della società?
“Il frastuono della società è in realtà uno dei motori che mi spingono a scrivere. Non mi ritrovo nella figura dello scrittore rintanato in uno studio, lontano da tutto e da tutti. Il sottofondo della vita che scorre è linfa vitale per me. Lo spunto inziale dei miei libri nasce sempre dall’osservazione delle persone, dei luoghi, delle immagini che mi circondano e che destano in me curiosità. Un giorno mi è capitato di vedere in mare una donna inglese con un grande cappello bianco, per me così affascinante che non ho potuto resistere dall’avvicinarmi per conoscerla. Nel vederla da vicino, ho subito capito che sarebbe stata la protagonista del libro che avrei iniziato a scrivere.
Dal frastuono del mondo bisogna secondo me entrare e uscire, a intermittenza, per poterlo descrivere e raccontare.”
Ha una stanza tutta per sé dove rifugiarsi per scrivere?
“Ho la mia scrivania, con il mio computer, ma potrei scrivere in qualunque altro luogo. Ho scritto questo romanzo in circa sei mesi, per lo più nella mia stanza.”
Qual è il suo rapporto con la scrittura?
“La scrittura è per me un gesto così spontaneo e necessario che potrei paragonarlo a quello di camminare. Ne sento il bisogno, quasi quotidiano, e mentre sono davanti al mio computer, magicamente sgorgano da zone recondite della mia mente storie che hanno l’urgenza d’essere raccontate, come non attendessero altro. Ho spesso la sensazione d’essere solo la mano che digita, obbedendo alla volontà di venire alla luce di personaggi che, di fatto, diventano indipendenti da me, acquistando un corpo e un’anima. La scrittura è dal mio punto di vista un vero e proprio miracolo creativo, a prescindere dalla bontà del risultato.”
Qual è il confine tra realtà e immaginazione?
“Vivere di sola realtà è forse una delle condanne peggiori dell’esistenza. I più grandi poeti e scrittori del passato hanno usato la loro immaginazione, la loro capacità intuitiva, per rifugiarsi, attraverso l’atto creativo, nella purezza del bello o nelle pieghe nascoste del loro animo. Si può diventare schiavi della realtà, schiacciati da essa. La realtà può risultare opprimente, con la sua logica razionale, fatta di obblighi e doveri, scadenze e ruoli imposti, compromessi e illusioni cadute. L’immaginazione è l’antidoto; va coltivata fin da piccoli e mai persa anche da adulti.
Mi preoccupa la scarsa capacità immaginifica dei bambini di oggi, che non sono più abituati a creare mondi con la loro fantasia. La scrittura, proprio come la lettura, è una sorgente ricchissima a cui i giovani dovrebbero attingere.”
Nel testo dice che “ogni sogno può diventare realtà”. Qual è il suo sogno più ricorrente”
“Sogno molto e ricordo con precisione i miei sogni, nei minimi dettagli. Spesso le immagini oniriche hanno a che fare con le mie paure profonde e mi mettono di fronte alla parte più nascosta di me, proprio come uno specchio. Sogno ad esempio spesso la morte di mio padre, a cui sono molto legata, perché una parte di me credo si stia preparando all’idea di un distacco inevitabile e doloroso.”
Ha in mente un altro libro?
“Ho inviato a un concorso un libro scritto tre anni fa e rimasto per lungo tempo in un cassetto, il racconto della mia esperienza di insegnante in una scuola molto particolare, per il grande numero di alunni con gravi situazioni di disagio. Mi piacerebbe molto pubblicarlo prima o poi.
Ho appena finito di scrivere un libro a quattro mani con Rosanna Fumai, una collega che insegna storia dell’arte, nel quale abbiamo cercato di raccontare come il Covid abbia inciso sulla scuola e sugli studenti, attraverso le loro voci e i loro disegni.
Sto poi lavorando a un romanzo dai contorni ancora sfumati, incentrato sulla figura di quella donna dal grande cappello bianco, incontrata un giorno d’estate di tre anni fa.”
Ha mai scritto un libro a quattro mani?
“Come dicevo, ho appena finito di scrivere un breve testo sulla scuola e il Covid, che dovrebbe presto uscire. Si tratta di un progetto che ho portato avanti con Rosanna Fumai, una collega che insegna storia dell’arte e che mi ha proposto di collaborare alla stesura del libro. Ho subito accettato con entusiasmo, perché l’idea mi è sembrata molto interessante. All’interno del volume ci saranno alcuni contributi dei ragazzi, perché lo scopo della pubblicazione è dare voce a chi più di tutti ha subito gli effetti della pandemia, attraverso testi e disegni, parole e immagini.”
Come gestisce il confine tra vita privata e scrittura?
“Mi ritengo fortunata perché riesco a ritagliarmi degli spazi per me e per la scrittura, nonostante gli impegni familiari e il lavoro. Riesco a trovare la concentrazione e l’ispirazione anche nei ritagli di tempo, fossero anche venti minuti o mezz’ora, magari con i rumori di sottofondo delle mie figlie o con quelli della casa che palpita. Questo mi consente di poter scrivere appena mi si presenta l’occasione, senza dovermi per forza isolare e senza trascurare eccessivamente la famiglia.”