Qualche tempo fa mi capitò di leggere una riflessione assai profonda che, pur nella sua brevità, emanava a raggiera possibilità ulteriori di meditazioni e interrogazioni filosofiche profonde e stimolanti sul nostro tempo. L’articolo al quale mi riferisco aveva come tematica il coronavirus ma, ecco il punto, il modo in cui venivano man mano messi a fuoco alcuni aspetti filosofico-antropologici della pandemia non erano banali come quelli dei quali, purtroppo, quotidianamente facciamo indigestione. I temi via via messi sotto indagine prospettica descrivevano il coronavirus come acceleratore di immanenza (da qui il titolo del contributo: Il coronavirus come acceleratore di immanenza). La somiglianza dell’evento-coronavirus con il tragico avvenimento dell’11 settembre, ad esempio, è la prima tematica che l’autore dell’articolo ha messo a fuoco all’inizio della sua riflessione manifestando una capacità di lettura puntuale e attenta della situazione attuale e delle nervature, più o meno esplicite, che attraversano la nostra epoca. «L’accentuazione del monitoraggio e dei meccanismi di controllo», «smontaggio e rimontaggio delle nostre abituali interazioni», «promozione di una vasta comunità d’intenti a partire da una minaccia diffusa e invisibile» sono, per l’autore dell’articolo in questione, le note principali di una «musica silenziosa» nella cui melodia noi tutti, in quanto genere umano, siamo immersi ancora oggi a partire da quella fatidica data. L’evento-coronavirus si inscrive in questo scenario accentuando queste tensioni e velocizzando processi già in atto nella nostra società frammentata, monadica e iperconnessa. Il corpo, il sesso, il lavoro sono solo alcune delle dimensioni dell’umana natura che lo stato pandemico ha trasformato, non si sa se irrimediabilmente, ma comunque radicalmente. Solo uno sguardo filosofico acuto e penetrante, interprete del proprio tempo avrebbe potuto condurre un’analisi così profonda, coerente e di ampio respiro su di un fenomeno che, a ben vedere, coinvolge e tocca tutti, nessuno escluso.
L’autore di queste riflessioni è Federico Leoni, noto filosofo italiano e docente di antropologia filosofica dal 2017 all’Università degli Studi di Verona (Dipartimento di Scienze Umane). Queste mie righe vogliono quindi essere un invito non non solo al contributo di Leoni sul tema coronavirus ma al pensiero del filosofo considerato nella sua interezza e poliedricità. L’attività accademica di Leoni comincia con un seminario tenuto nell’anno accademico 1999-2000 all’Université de Genève sul tema «Introduction à la lecture de la “Critique de la faculté de juger”» e poi si arricchisce di ulteriori esperienze in vari atenei, da Milano a l’Aquila, da Venezia all’Université de Paris IV-Sorbonne soltanto per citarne alcune. Federico Leoni è un pensatore poliedrico e animato da un impetus teoretico che di volta in volta coraggiosamente si rinnova avventurandosi in nuovi territori di ricerca. Da J. Lacan a Bataille, da Sartre ad Heidegger, da M. Foucault a Bergson, da Platone a Hegel, da Kant a Goethe, dall’idealismo alla psicopatologia di Minkowski sono alcune delle tappe che segnano l’interessante itinerario filosofico di Leoni.
Mi permetto a questo punto di suggerire qui alcuni testi fondamentali del filosofo: L’inappropriabile. Figure del limite in Kant (Mimesis, Milano, 2004), Habeas corpus. Sei genealogie del corpo occidentale (Bruno Mondadori, Milano 2008), Follia come scrittura di mondo. Saggi su Minkowski, Straus, Kuhn (Jaca Book, Milano 2001), Jacques Lacan, l’economia dell’assoluto (Orthotes, Salerno 2016), L’automa. Leibniz, Bergson (Mimesis, Milano, 2019), Jacques Lacan, una scienza di fantasmi (Orthotes, Salerno, 2019).
Diversi sono anche gli interventi che è possibile visionare direttamemnte online, dei quali mi limito a segnalare soltanto quello tenuto da Leoni in occasione del Festivalfilosofia 2020 (Modena 18 settembre 2020) e intitolato Istinto. Bergson e l’automatismo (link per la visualizzazione: https://www.youtube.com/watch?v=g1sqPqCON9w). Sono certo che non solo i cultori delle tematiche filosofiche, ma anche i lettori appassionati sapranno trarre giovamento e beneficio dalla scoperta di questo fine e accattivamente interprete del nostro tempo.