Ivan Canu

Eventi ha incontrato Ivan Canu, illustratore e scrittore, un uomo a tutto tondo nel mondo del sapere.

Nato a Alghero, dal 1996 lavora a Milano come illustratore (Salani, Feltrinelli, Principi & Princìpi, Pearson, De Agostini, The New York Times Book Review, Il Sole 24 Ore, La Repubblica, Capital, EL, Einaudi ragazzi, Rizzoli, Médecins sans Frontiéres) e scrittore (Gakken, Casterman, Salani, La Repubblica, Coccole Books, scrivo.me). Selezionato sui siti di American Illustration, Creative Quarterly, ha ricevuto il Communication Arts Award of Excellence. È stato art director della Fondazione Internazionale Balzan e della rivista Hystrio. Ha curato per l’AI-Associazione Illustratori il catalogo della mostra Favorisca, Carpi 2006 e gli Annual Illustratori italiani 2006, 2007 e 2008. Ha scritto la postfazione ad Amleto illustrato da Andrej Dugin, edito nel 2014 da Salani. Dal 2009 è direttore del Mimaster di Illustrazione di Milano.

Gli abbiamo chiesto di raccontare il suo lavoro per il libro di Paolo Mieli, “La storia del Comunismo in 50 ritratti”, edito da Centauria Libri.

Come nascono le sue illustrazioni e come si sposano con il testo?

“Quando mi è stato proposto il libro da Balthazar Pagani (publisher di Centauria) abbiamo parlato molto dei riferimenti culturali e uno dei fattori che credo abbia giocato a favore del mio coinvolgimento, è stato anche l’avere una cultura umanistica. È un lavoro complesso, quello del ritratto. Non solo per il comprensibile richiamo alla fisionomia, all’anatomia, alla tecnica, perché ogni ritratto contiene un’interpretazione di una storia, di un momento specifico e di una intima adesione di chi ritrae al soggetto ritratto e nello stesso momento, un distacco critico. In questo progetto, essendo tutti i protagonisti personalità storiche e storicizzate, il fatto di conoscere quel contesto, di averlo studiato e di averne poi approfondito alcuni aspetti, mi ha offerto una delle chiavi di lettura. Mieli lavorava in contemporanea all’introduzione storico-critica e alle schede, perciò io non avevo a disposizione la sua “lettura”, ma solo la mia. Per alcuni personaggi ho attinto alle avanguardie artistiche (il suprematismo di Maleevich per Lenin, la grafica di Lissitzky per Majakovskij, le incisioni espressioniste per Rosa Luxembourg, Dada e il Surrealismo per Aragon, il cubismo sintetico per Dolores Ibarruri), altri invece sono stati un omaggio alla storia della grafica e dell’illustrazione (Carrillo ai manifesti politici degli anni ’30, Che Guevara a Milton Glaser, Lumumba a Saul Bass, PolPot a Mike Mignola, Thorez a Cassandre). Poi ci sono riferimenti più o meno palesi o nascosti, che il lettore può cercare, supporre, ignorare.

Per alcuni ritratti è stato divertente essere irriverenti: Calvino sui tetti come il suo Barone, Castro come una laicissima apparizione in un cuba-libre rovesciato, la Davis che rivoluziona la bandiera americana, la voglia di URSS distrutta sulla pelata di Gorbaciov, la fierezza del pugno alzato di Ingrao o la V di Jaruzelsky ormai borghese e dimenticato, i colori pop esagerati della dinastia Kim in un paesaggio quasi post-atomico, Krusciov sotto il monumento abbattuto di Stalin a Budapest, Mao che nuota in un fiume giallo d’oro, Togliatti davanti al cartello che pubblicizza la cittadina a lui dedicata, Visconti che guarda nostalgico Tadzio che leva il pugno invece che il braccio steso all’orizzonte. Con Zdanov mi son molto divertito, era l’ultimo ritratto e lui è il personaggio che, se lo si chiede in giro, nessuno conosce. Perciò, unite i puntini per vedere com’era l’uomo a cui Stalin aveva affidato tutta la musica, il teatro, il cinema, la cultura sovietiche e ne disponeva con il terrore. Io sono sempre ironico, soprattutto nel lavorare sui personaggi. È il dato che mi consente di essere distaccato e cogliere aspetti della personalità che non potrei fare, non avendo conoscenza diretta della persona e – quindi – quell’adesione sentimentale, personale, che consentono una diversa interpretazione. Sono consapevole che, su un tema come la storia di persone che hanno aderito in vario modo al Comunismo, ci sia sotteso il senso – spesso tragico, sempre drammatico – di una vicenda umana e storica basilare nella contemporaneità. Quindi, io non “scherzo” su questo, ma invito a cogliere una visione altra, una prospettiva differente, uno spunto critico che offra una distanza. L’umorismo è critico, sempre, perché vive sul filo della crisi, può precipitare da un momento all’altro e quella tensione è la sua natura. In questo, credo che il mio lavoro abbia trovato nell’approccio di Paolo Mieli la migliore sintesi.
Tecnicamente, lavoro sempre in digitale, disegnando direttamente con la tavoletta grafica sul mio portatile, usando molte immagini come referenze e scomponendo e ricomponendo parti diverse. Tutto è disegnato e ri-disegnato, per quanto mi piaccia il segno realistico e a volte l’apparenza fotografica. Non uso il vettoriale, neppure quando l’esito è molto grafico e preciso: mi piace usare Photoshop come assemblatore, poi dipingo in digitale con Corel Painter, scegliendo carte, pennelli, cromie come se lavorassi ad acrilico o con campiture piatte. Per i primi 10-15 anni del mio lavoro, ho usato molte tecniche diverse, mi sono affezionato allo scratch-board o grattage per il bianco e nero più incisorio e all’acrilico per tutto il resto. La transizione al digitale è stata curiosità prima, poi ottimizzazione e necessità. Ora mi è inconcepibile fare un lavoro tornando al tradizionale, vivo volentieri il mio tempo nella rapidità d’esecuzione: il lavoro di illustratore è di risolvere problemi.

Quale un complimento ricorrente?

” Se intende un complimento fatto al mio lavoro, è di solito l’uso inatteso del colore e l’approccio criticamente ironico e stratificato ai personaggi e al contesto in cui li colloco. Mi piace anche quando lo definiscono: efficace. Non è male essere dei risolutori di problemi, invece che dei problematici”.

Cinquanta ritratti con una meticolosità grafica come i puntini di George Seurat; da dove nasce questa precisione grafica e cura al dettaglio?

“Nel mio passato professionale c’è un’abbastanza lunga parentesi come critico teatrale e cinematografico (per la rivista Hystrio), il lavoro di art director e consulente editoriale e quello attuale di direttore del Mimaster Illustrazione di Milano, scuola di formazione specialistica per illustratori. Sono declinazioni professionali del mio carattere, che si riversano quindi anche nel lavoro di illustratore e progettista. Come spesso accade, persone con alcune attitudini, invece di fare lavori unici e sfogare le creatività nel tempo libero, fanno delle loro passioni uno o più mestieri. Io sono un ottimizzatore di natura, credo mi appartenga in modo quasi letterale ogni principio della termodinamica e qualcosa delle leggi dell’entropia. È uno dei pregi connessi al dormire molto poco, avere tanto tempo a disposizione per far lavorare il cervello.”

Dove si vede tra dieci anni?

“Se avrò ben lavorato, al mare”.

 

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