Due ori olimpici e un oscar. Due cose apparentemente lontane. Da un lato lo sport, dall’altro il cinema. Due massime onorificenze. I due picchi più alti che un atleta e un attore o un regista possano raggiungere. Eppure c’è stata una persona, la prima a farlo, che ha raggiunto entrambi questi traguardi: Kobe Bryant. Bryant è stato uno dei migliori giocatori di sempre dell’NBA, il campionato americano di basket, e la sua carriera sportiva è considerata una delle migliori di sempre nello sport professionistico. Kobe Bryant vinse nel 2008 e nel 2012 le olimpiadi con la nazionale USA di pallacanestro, e nel 2018 l’oscar con “Dear Basketball”, un cortometraggio animato in collaborazione con Glen Keane e ispirato alla sua lettera di addio al basket. Bryant questo voleva fare una volta andato in pensione dal basket, il narratore. Voleva raccontare storie. E nessuno si poteva aspettare che a soli 41 anni qualcun’altro raccontasse la sua di storia.
Kobe nasce in America, a Filadelfia, ma ha una parentesi italiana quando il padre lascia l’NBA e si trasferisce prima a Rieti, poi in Calabria, poi in Toscana ed infine a Reggio Emilia. Proprio quest’ultima gli ha intitolato una piazza dopo la sua morte. Kobe tornava spesso a Reggio che per lui era una seconda casa tanto da esprimere la sua volontà, in un’intervista svoltasi proprio nel capoluogo emiliano, di migliorare alcune strutture sportive della città. Come tanti grandi personaggi anche lui ha avuto i suoi problemi, alcuni personali e altri pubblici, ma ha avuto sempre la ferrea volontà di curarsi dei meno fortunati attraverso molte opere benefiche, tra le quali la fondazione che porta il suo nome e quello della moglie. In ambito sportivo nel basket si è distinto ampiamente nonostante alcune stagioni fortemente influenzate dagli infortuni: è detentore infatti di diversi record di statistiche, alcuni dei quali ancora imbattuti. Come tutti i grandi sportivi ha avuto, ha ed avrà grandi estimatori ma anche detrattori, ma quello che più ricorre quando si legge di quest’uomo è che per lui non sono mai esistiti giorni liberi: si allenava tutti i giorni, non c’era mai riposo, ogni momento era quello giusto per provare a cambiare qualcosa, oppure tentare di migliorare quel dettaglio.
Solo il sacrificio ed il sudore sono la strada giusta per raggiungere i traguardi della vita. Un Atleta con la A maiuscola, Ettore Messina lo ha definito un Superuomo del basket. Ma dietro all’atleta, al Superuomo c’è anche un uomo. Un uomo che ha avuto momenti bui, anche legati alla pallacanestro, ma che ha sempre tenuto a mente che alla fine è un gioco, e che giocare ha senso solo se ci si diverte. Kobe diceva così: “non importa quanto segni. Quello che conta è uscire dal campo felice.”
Oltre allo sport Bryant già dalla seconda metà degli anni ‘90 strizza l’occhio sia al piccolo schermo che al grande schermo, con apparizioni in alcune apparizioni cinematografiche e televisive. La sua vocazione di narratore lo porta a scrivere anche due libri, uno dei quali parla proprio della sua carriera. Il 26 Gennaio Bryant muore insieme alla figlia 13enne Gianna Maria e ad altre sette persone nello schianto del suo elicottero privato, un Sikorsky S-76B. Le cause ancora non sono note ma al momento sembrano esclusi guasti i motori, di sicuro la fitta nebbia e la mancanza a bordo di dispositivi di rilevamento dell’altitudine hanno avuto la loro parte.
“Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ma non posso amarti più con la stessa ossessione. Questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio.” Nessuno si aspettava di dover dire addio a te.